1 novembre 2020 -  TUTTI I SANTI

 

Beato Angelico: Cristo glorificato nella corte del cielo (1423), part.

 

 

PRIMA LETTURA (Apocalisse 7,2-4.9-14)

 

Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».

E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.

Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».

E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».

Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo23)


Rit. Ecco la generazione che cerca il tuo volto, Signore.

 

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

 

 

SECONDA LETTURA (1 Giovanni 3,1-3)


Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.

 

 

VANGELO (Matteo 5,1-12a)

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».


In altre parole…

 

Alla sorprendente immagine del Beato Angelico, tutta da contemplare, si sintonizzano a meraviglia queste altrettanto luminose parole di San Tommaso d’Aquino: “La vita eterna consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti estremamente deliziosa, perché ognuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio. Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la gioia di tutti gli altri beati”.

Basterebbe questo per renderci conto di come la “gioconda fraternità di tutti i santi” dovrebbe riflettersi sul nostro mondo da fraternizzare. Permettete che vi dica che siamo nella lunghezza d’onda del carisma di san Domenico, da rivivere nel prossimo 8° centenario della sua morte nel 2021 come modo di essere nella Chiesa. Non a caso la figura di Domenico ha un suo particolare rilievo nell’immagine dell’Angelico. Dico questo, non per spirito di corpo e orgoglio di famiglia, ma per capire i diversi carismi espressi dai santi nella chiesa: tutte quelle figure tanto unite quanto differenziate danno il senso di una grande armonia in tanta varietà. Un invito ad evitare una malintesa unità fatta di uniformità e assuefazione!

E viene da chiedersi se la santità sia frutto solo di impegno personale o prerogativa dei singoli o nasca da un clima ecclesiale e culturale che bisognerebbe ricreare, per fondere e rifondare un’esperienza di fede tanto umana quanto di grazia, senza ibridismi spiritualistici o fughe umanitarie. Un’impresa che richiederebbe almeno quei due o tre necessari perché Cristo sia in mezzo a noi e non solo come rifugio di anime pie, lui che invece è via, verità e vita. Quanto la nostra fede è sentimento religioso di circostanza e quanto esistenza vissuta di comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo? Quanto è un fatto cultuale e rituale e quanto cultura e visione di vita? Quanto perbenismo di praticanti e quanto esistenza cristiana teologale?

La festa di “Tutti i santi” dovrebbe essere occasione di  una risposta collettiva, nel comune cammino di santità come “imitatori di Dio, perché  figli da lui amati” (Ef 5,1): dobbiamo chiederci se essi sono per noi una garanzia e uno stimolo per mettersi insieme a loro sulla scia di Gesù o sono nicchie di vicoli ciechi in cui cercare protezione e illusoria sicurezza, senza sfociare nella fede che salva. Per parlare di santità alla portata di tutti, partiamo pure dalle “beatitudini evangeliche”, con cui Gesù inaugura in piena regola la sua missione. Aveva chiamato alcuni a stare con lui, aveva ripreso in mano l’opera del Battista e aveva cominciato a predicare il vangelo del regno di Dio; aveva dato segni di sé venendo incontro ad infermi. Forse era ormai il momento di esporsi pubblicamente e far capire le ragioni della sua azione nel mondo.

Eccolo allora, sotto gli occhi delle folle, sedere sul monte, alla maniera di Mosè, per promulgare le Tavole della sua nuova Legge, le beatitudini. Era come se ancora una volta Dio avesse guardato la miseria del suo popolo e fosse sceso per liberarlo: si stava avverando quanto gli angeli avevano cantato a Betlemme della gloria e dell’amore di Dio per gli uomini, il vangelo annunciato ai poveri! In effetti, il punto di forza del discorso di Gesù è questa dichiarazione di gioia e di felicita assicurata per i miseri tutti della terra col Regno di Dio ad essi dato (cfr Lc 12,32): la consolazione, la misericordia, l’adozione a figli e la visione del Padre. Siamo invitati a rallegrarci ed esultare, perché fin da ora siamo chiamati a ricevere cento volte tanto in “case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eterna”.

Questa è la nostra nuova condizione di partenza verso la libertà e la “santità” dei figli di Dio e la partecipazione alla gioia dei beati, perché “la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore” (Fil 3,20). È chiaro che non si tratta di automatismi miracolistici che ci passano sopra la testa, ma di una nuova nascita nel Regno di Dio, nella vita e nel mondo di Cristo Gesù, che naturalmente impegna quanto e più del nostro essere al mondo.  Sapendo che già il nostro operare è dono e frutto di grazia e non il contrario.

A riprova di tutto questo abbiamo le poche ma decisive parole di Giovanni, che ci invita a considerare il grande amore del Padre per noi: qualcosa che ci fa essere realmente suoi figli in un mondo che non ci può conoscere perché siamo fuori campo rispetto ai suoi orizzonti. Noi stessi del resto non sappiamo quello che realmente siamo, perché deve esserci ancora rivelato, e “quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui”. Ecco perché dobbiamo purificare il nostro sguardo, perché i puri di cuore vedranno Dio, e per questo saremo beati, santi tra i santi.

Se vogliamo una proiezione ed anticipazione di questa vita beata o vita eterna - così come la presenta san Tommaso - la troviamo nel passo del libro dell’Apocalisse, che ci fa guardare alla Gerusalemme di lassù che “è libera, ed è nostra madre” (Gal 4,26). È quello che professiamo quando diciamo: “Credo la comunione dei santi”. Purtroppo, il modo distorto di rapportarsi ai santi – devozionistico e paganeggiante - ce li fa percepire come figure aliene e taumaturgiche, mentre in realtà la loro presenza e solidarietà è vissuta dalla chiesa orante ad ogni passo. Pensiamo a quante volte si ripetono parola come queste: “uniti agli angeli e i santi cantiamo la tua gloria”; “in comunione con la Beata vergine Maria e tutti i santi”…

Quel sigillo impresso sulla fronte dei servi del nostro Dio è loro ed è nostro come battezzati in Cristo, “provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele”: “Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”. Non è ecumenismo realizzato e fraternità universale compiuta a cui ispirarsi e da fare nostra? Avendo ben presente che “la salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello”.

 

C’è da ritrovare il senso e la fonte della salvezza di cui farsi partecipi e portatori, perché di questo il Popolo di Dio è segno e strumento nel mondo, non di altro! Un Popolo avvolto di vesti candide e con rami di palma nelle mani, a testimonianza di purezza di cuore, di autenticità, di offerta di sé. Senza dimenticare che è sempre un Popolo fatto uscire dalla tribolazione di ogni Egitto attraverso il sangue dell’Agnello nella Pasqua di morte e resurrezione di Cristo.

 

È un’esperienza tutta da vivere in solidarietà o in solitudine, e forse è proprio qui il “cambiamento d’epoca” e di scenario da operare: riappropriarsi dell’iniziativa di santità come vera rivoluzione evangelica, sottraendola all’egemonia del cultualismo dominante, del protezionismo deresponsabilizzante, del mercanteggiamento   interessato.  La chiesa, che è confessata “santa”, sembra essere irrilevante agli effetti delle sorti del mondo, mentre si presenta come sistema religioso per affiliati. Bisognerebbe cominciare a tener conto che è sul piano delle “pietà” – liturgica, popolare, tradizionale, modernizzata – che la vera modificazione deve avvenire, con la disponibilità e l’apporto di tutti.

 

La santità è sì buona volontà, buoni sentimenti, buone azioni, ma è anche verità e intelligenza della fede! La preghiera di Gesù al Padre per i discepoli è un’indicazione di impegno in questo senso: “Santificali nella verità: la tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch'io ho mandato loro nel mondo. Per loro io santifico me stesso, affinché anch'essi siano santificati nella verità” (Gv 17,17-19). C’è tanta fede pietista, buonista, attivista a sfondo personale od organizzativo. Fa difetto una fede che sia e diventi cultura di vita e non mera ideologia religiosa. In questo campo, anche se la messe è molta, che non manchino i pochi operai dell’ultima ora! (ABS)


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