6 agosto 2023
- TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE (ANNO A)
Pietro Perugino: Trasfigurazione di Cristo (1497-1500)
Perugia, Collegio del Cambio
PRIMA LETTURA (Daniele
7,9-10.13-14)
Io continuavo a guardare,
quand’ecco furono collocati troni
e un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve
e i capelli del suo capo erano candidi come la lana;
il suo trono era come vampe di fuoco
con le ruote come fuoco ardente.
Un fiume di fuoco scorreva
e usciva dinanzi a lui,
mille migliaia lo servivano
e diecimila miriadi lo assistevano.
La corte sedette e i libri furono aperti.
Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco venire con le nubi del cielo
uno simile a un figlio d’uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano:
il suo potere è un potere eterno,
che non finirà mai,
e
il suo regno non sarà mai distrutto.
SALMO RESPONSORIALE (Salmo 96)
Rit. Il Signore
regna, il Dio di tutta la terra.
Il Signore regna: esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sostengono il suo trono.
I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
Annunciano i cieli la sua giustizia,
e tutti i popoli vedono la sua gloria.
Perché tu, Signore,
sei l’Altissimo su tutta la terra,
eccelso su tutti gli dèi.
SECONDA LETTURA (2Pietro
1,16-19)
Carissimi, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.
E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino.
VANGELO (Matteo 17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
In altre parole…
Il profeta Daniele trova e osa le parole per dire quanto è riposto da sempre nelle viscere del mondo: il desiderio spesso represso di “vedere Dio”, di tornare ad avere la visione di un bene tanto rassicurante quanto sconcertante, tanto desiderato quanto incredibile. Non è però in forza delle sue parole che questa visione nasce, ma egli stesso si fa interprete di quanto rimane nascosto ai nostri occhi come fonte e orizzonte della nostra esistenza: di quanto ci costituisce interiormente e ci orienta esteriormente, che è poi la forza di un indecifrabile desiderio che ci abita.
È il desiderio di vedere un vegliardo seduto sul trono che regna sul mondo: un vegliardo che appare in tutto il suo splendore ma al tempo stesso circonfuso da vampe di fuoco ardente che scorre come un fiume davanti a lui. Non a caso si parla di desiderio ardente e si dice di bruciare di desiderio, mentre sarà sempre il fuoco a purificare e a metterci alla prova, appunto la prova del fuoco. È quando il desiderio è di una giustizia da parte di una corte pronta ad aprire i libri. Se riuscissimo a sostenerla, sarebbe questa la visione a cui siamo votati, salvo smarrirsi in piccole voglie del momento.
Lasciandoci
guidare ancora dalle parole del profeta Daniele, siamo portati a
vedere approssimarsi questa presenza sognata del vegliardo
attraverso qualcuno simile a un figlio d’uomo che viene tra le
nubi, ma dopo che dal vegliardo ha ricevuto potere, gloria e
regno, affinché tutti i popoli, nazioni e lingue lo servano. È
un messianismo ante litteram che è nelle cose prima che
nella presa di coscienza dei popoli e dei profeti, perché è
chiaro che siamo portatori inconsci dell’attesa della creazione
tutta: la speranza di qualcuno il cui “potere sia un potere
eterno, che non finirà mai”, e il cui “regno non sarà mai
distrutto”. Quali che siano le sue interpretazioni nella storia
e nelle culture, è questa però la speranza riposta o smarrita
nel cuore dell’umanità, sempre da riportare alla luce. È la
condizione di chi è “da Dio” o è “dalla verità”: rientra cioè
nel nucleo originario della propria creaturalità, senza
amputazioni ma anche senza mascheramenti. Leggiamo infatti:
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”.
Quando l’apostolo Pietro ci fa presente che per un risveglio di coscienza abbiamo “la parola dei profeti, alla quale volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro”, vuol dire che la possibilità di arrivare alla luce c’è per tutti, “finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino”: vuol dire che è quanto dobbiamo desiderare e assecondare nei giorni della nostra esistenza. Probabilmente Pietro rivedeva Mosè ed Elia in dialogo con Gesù sul monte e voleva testimoniare quanto egli stesso aveva sperimentato. Tanto che a questo punto impegna se stesso insieme a Giacomo e Giovanni per farci conoscere ”la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”: per garantirci che tutta la sofferta speranza messianica tenuta viva dai profeti ora è realtà, precisamente nella “venuta” del Figlio dell’uomo, che riceveva onore e gloria da Dio Padre, e viene accreditato dalla voce che risuona dal cielo: “Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”.
Siamo avvertiti che non andiamo dietro a favole artificiosamente inventate o a racconti fatti passare come tali, ma ad eventi che lasciano trasparire e traspirare quanto è scritto nella storia della salvezza e che, prima di acquisire valenza religiosa e prima di venire tematizzati, chiamano in causa gli orientamenti di fondo della vita e di ciascuno. In ogni caso, Pietro ci riporta alla centralità di quanto accade “sul santo monte”, dove Gesù ha voluto che ci fosse lui con Giacomo e Giovanni, non come spettatori entusiasti (la tentazione di Pietro), ma come ascoltatori memori, anche se perplessi. È un momento rivelativo e di luce in cui Gesù vuole aprire gli occhi a questi tre discepoli sul cammino messianico che egli sta compiendo e nel quale li vuole coinvolti. Tutt’altro che un discorso spirituale, ma quanto accade sotto gli occhi di chi vuol vedere e arriva agli orecchi di chi vuol sentire.
È una esperienza che essi devono custodire gelosamente, prima di poter arrivare a condividerla apertamente nei confronti del Risorto, quando anche i tre prescelti si troveranno in difficoltà nel credere. Non è un fatto di cronaca da potersi raccontare, ma è un evento di grazia da metabolizzare e di cui non parlare a nessuno, “prima che il Figlio dell’uomo sia risorto dai morti”. Come ci dimostra quanto Pietro ci fa presente nella sua lettera, qualcosa che li segna, perché lì c’è quanto dovrà ripetersi nel tempo come condizione del Popolo messianico: c’è la visione del Figlio dell’uomo come destinato alla gloria; c’è la conversazione con Mosè ed Elia e quindi la voce dei profeti; c’è l’entusiasmo e insieme la prostrazione di Pietro e compagni; ma c’è soprattutto la voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. Ci può essere qualcosa di più significativo e impegnativo? Dove il dialogo previene appartenenze e confessionalismi.
Si rinnova la scena del Battesimo nel Giordano, ma questa volta in vista del battesimo finale che genera angoscia: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Per la verità, noi ci chiamiamo fuori dall’avere a che fare col fuoco e dall’essere lambiti dall’angoscia, pensando che sia tutto riconducibile alla vocazione messianica di Gesù. Di fatto egli rivolge anche a noi la domanda fatta ai figli di Zebedeo che avevano chiesto posti d’onore: “Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?” (Mc 10,38). Se riportassimo a questi livelli tutte le nostre questioni e preoccupazioni ecclesiali, ci renderemmo conto che basterebbe recuperare una “normalità” e naturalezza evangelica di fede, senza troppi voli pindarici o fughe in avanti. (ABS)