2 febbraio 2020 - PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

 

 

Beato Angelico: Presentazione di Gesù al Tempio (1438-40)

 

PRIMA LETTURA (Malachia 3,1-4)

Così dice il Signore Dio:

«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.

Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.

Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia.

Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».



SALMO RESPONSORIALE (Salmo 23)


Rit. Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.

 

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e valoroso,
il Signore valoroso in battaglia.

Alzate, o porte, la vostra fronte,
alzatevi, soglie antiche,
ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.

 

 

SECONDA LETTURA (Ebrei 2,14-18)


Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.

Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.

 

VANGELO (Luca 2,22-40)

 

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:


«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».


Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di Contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

 

 

In altre parole…

La “Domenica della parola di Dio” alla prova! È stata varata appena una settimana fa, ma rischia subito una smentita: infatti, il normale ciclo liturgico viene sospeso, per fare posto alla festa della “Presentazione del Signore” che va sotto il nome di “Candelora”. Il rischio è, appunto, che una tradizione popolare prenda il primo piano rispetto a quella Parola di Dio che si vorrebbe centrale, per cui il mezzo diventa il messaggio: qualcosa che va bene per una cerchia sempre più ristretta di persone assuefatte, ma che non arriva più al mondo che ci circonda. L’innegabile significato della celebrazione in sé non può farci dimenticare l’impatto pastorale che essa ha in un contesto sociale non più di “cristianità”.

Per la verità, è una festa che nasce dal passo del vangelo di Luca, ma che si presenta in pratica come vetrina della “vita consacrata”, o “vita religiosa” e “stato di perfezione”, e cioè di qualcosa che non dice più nulla già come terminologia, se non come eredità di un mondo in progressiva sparizione: quel mondo di frati, suore, monasteri e conventi che, al di là di idealizzazioni e mistificazioni, presenterebbe non pochi problemi sul piano ecclesiale. Come si fa a parlare di “conversione pastorale” senza guardare lo stato delle cose?

Siamo davanti ad uno di quei casi tipici in cui la Parola di Dio – che dovrebbe dare il la alla nostra esistenza cristiana e alla celebrazione del mistero della fede – di fatto viene asservita ad intenti diversi a sfondo spirituale, liturgico, morale o sociale, viene “modellata sull’uomo”. Ma è anche quando la Parola di Dio si dimostra “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). E ci spinge a ristabilire il giusto ordine dei valori, se viene accolta “non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete”. (1Ts 2,13).

Essa ci mette oggi davanti alla circoncisione di Gesù, alla purificazione di Maria e alla presentazione del bambino per il prescritto riscatto dei primogeniti, tutto secondo la Legge di Mosè e secondo quanto prescrive la legge del Signore. Quindi una situazione di totale sottomissione alla Legge, di pieno adempimento della giustizia, di totale consegna a Dio da parte della madre, del bambino e di Giuseppe. E forse è proprio da questo atto di consacrazione che nasce l’intuizione di associarvi la vita religiosa. Ma è da vedere se poi tutto tiene e se non si tratti invece di un più decisivo passaggio dalla Legge di Mosè alla grazia e verità di Cristo.

È quanto Gesù stesso dirà al Battista quando si rifiuta di battezzarlo: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,15). È quanto ci farà capire la lettera ai Galati 4,3-5: “Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli”. Addirittura Gesù stesso arriverà a dire parole che gli meriteranno la condanna: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).  Ed è in questo senso - ci dice la Scrittura – che bisogna guardare circoncisione, purificazione e presentazione al tempio di Gesù: come eventi di liberazione più che come pratiche da adottare, se non come passaggio alla libertà dei figli di Dio!

È questo passaggio da compiere che ci viene presentato: tutto infatti si svolge in maniera burocraticamente corretta, ma non tutto si esaurisce lì, tant’è che non ci interessa neanche sapere chi abbia officiato questi adempimenti rituali. Maria e Giuseppe col bambino sarebbero potuti tornare tranquillamente a Nazareth, come faranno più tardi, se all’improvviso non fosse apparso un uomo giusto e pio, un vero israelita chiamato Simeone, che scruta in profondità quanto stava accadendo e lo proclama pubblicamente, per cui quel bambino diventa il vero protagonista della scena, colui che sottomettendosi alla legge ci avrebbe liberato dalla legge.

Questo Simeone non era un ministro di culto, ma semplicemente “uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele”. Viveva ai margini di un sistema religioso in sé compiuto ed autosufficiente, ma portava nel cuore tutta la speranza messianica di un popolo e per i popoli. Personaggio storico o simbolico che sia, ci dice che solo una fiduciosa tensione interiore di ricerca del regno di Dio ci dà la sensibilità per cogliere i suoi segni e le sue manifestazioni. Ed è in questo ordine diverso di rapporti e di comunicazione che egli percepisce il senso e il mistero di quel bambino che prende in braccio. E al tempo stesso è così che si rivela l’opera dello Spirito che lo aveva preparato e guidato a quell’incontro per la vera presentazione al mondo di Gesù, dopo e oltre quella rituale! I due momenti non coincidono.

Il suo cantico completa il trittico col “Magnificat” e il “Benedictus”; dopo che Maria ha esaltato le grandi opere di Dio in lei e Zaccaria l’intervento di salvezza a favore del suo popolo Israele, Simeone è colui che per primo riconosce e accoglie la salvezza fatta carne in quel bambino, sia come visione personale che come luce per le genti. Egli in qualche modo è il proto-credente senza un ruolo preciso nel disegno di salvezza – a differenza di Maria e Giovanni – mosso e guidato unicamente dallo “Spirito Santo che era sopra di lui”. 

Siamo davanti ad un testimone della dimensione carismatico-profetica del Popolo di Dio, tanto da sorprendere anche Maria e Giuseppe riguardo al loro stesso bambino, dicendo cose che sconcertano anche noi oggi: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Che è il dramma di sempre della presenza di Cristo nel mondo e nella storia, qualcosa che trafigge l’anima della madre e che non può lasciarci indifferenti. Non potrebbe essere qui il cuore di tutto il messaggio di oggi?

Una pronta conferma di questa potenzialità profetica nascosta nel popolo l’abbiamo in colei che chiamiamo la “profetessa Anna” che “non si allontanava mai dal tempio” e che fa da controcanto a Simeone lodando Dio e a sua volta parlando “del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Veramente un quadro illuminante e promettente di una “comunità di salvezza” sempre alla ricerca di se stessa nel tempo.

Simeone ed Anna – testimoni dell’attesa messianica - ci riportano al profeta Malachia, quando ci dice che “subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate”. Sembra quasi che essi ripropongano le sue parole a quanti aspettano la consolazione e la redenzione di Gerusalemme: colui che “è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai”, colui che è mandato a purificare il tempio e a diventare egli stesso il nuovo Tempio di Dio, in modo che “l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore”.

 

In realtà si tratta di purificare il culto al Dio vivente e dare vita ad un sacerdozio capace di offrire se stessi più che sacrifici, e nel quale il popolo tutto sia e si senta coinvolto nel dono di sé: “Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1Pt 2,9). Più che a celebrare la “vita religiosa”, forse la presentazione del Signore inviterebbe a riscoprirsi “Popolo sacerdotale”: a goderne la dignità, ma assumendone la responsabilità come servizio a Dio per il mondo.

 

È ciò a cui ci richiama anche il passo della lettera agli Ebrei, che ci parla di Cristo che si prende cura di noi, che è partecipe del nostro sangue e della nostra carne al fine di poter morire e liberarci dal timore della morte: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo”. Forse, se meditassimo di più questo mistero e lo vivessimo con maggiore consapevolezza, daremmo meno importanza e spazio a questioni di costume inerenti il sacerdozio (vedi questione celibato), e soprattutto non ne parleremmo più in termini di clericalismo, di ritualità, di potere sacrale: non è strano che a fronte di colui che “doveva rendersi in tutto simile ai fratelli”, da parte nostra si faccia di tutto per elevare il sacerdote al di sopra degli angeli in un mondo separato e irrealistico?

Un criterio di discernimento e di comportamento, per un effettivo esercizio del nostro sacerdozio comune e solidale, lo abbiamo dall’esempio di Cristo Signore: “Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova”. Parlare a questo punto di “Presentazione del Signore” è più significativo ed impegnativo di quanto non si pensi, e ci chiama in causa come “Popolo sacerdotale”! (ABS)


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