5 giugno 2022 - DOMENICA DI PENTECOSTE (ANNO C)

 

Tiziano Vecellio: Discesa dello Spirito Santo (1545-1546 ca.)

Venezia, Basilica di Santa Maria della Salute

 

 

PRIMA LETTURA (Atti degli Apostoli 2,1-11)

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

SALMO RESPONSORIALE (Salmo 103)


Rit. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

 

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

 

 

SECONDA LETTURA (Romani 8,8-17)

 

Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.

Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.

E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

 

SEQUENZA


Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nell'intimo
il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,
nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.

Lava ciò che è sórdido,
bagna ciò che è árido,
sana ciò che sánguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.

 

VANGELO (Giovanni 14,15-16.23-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».




In altre parole

 

La Discesa dello Spirito santo di Tiziano Vecellio  traduce al meglio visivamente quanto troviamo espresso a parole nel 2 capitolo degli Atti, per darci il senso della irruzione al tempo stesso incontenibile  e confortante dello Spirito santo su quanti erano riuniti nel Cenacolo: compimento di una promessa, ma qualcosa di improvviso e di impetuoso al di là di ogni attesa e di ogni umana previsione. Tutti quelli che si trovavano insieme nello stesso luogo si scoprono profondamente trasformati quasi a non essere più se stessi.  Quel Gesù che aveva cercato di plasmarli come suoi discepoli con la sua parola e la sua vita aveva lasciato la sua opera incompiuta. Ma ecco che ora, con la sua resurrezione, era diventato egli stesso “spirito datore di vita”: egli poteva infondere loro il soffio necessario per farne uomini nuovi, capaci di intraprendere l’opera per la quale erano stati chiamati ed a cui erano stati associati. Infatti: “il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita” (1Cor 15,45). In questo senso “Pentecoste” è irradiazione e pienezza della Pasqua, una nuova creazione e una terra rinnovata.

 

Ma Pentecoste è sì nella narrazione della Parola di Dio che rinnova i prodigi; è sì nella  attualizzazione liturgica della chiesa; ma essa è soprattutto dentro di noi come discesa di Dio verso l’uomo non solo nel Verbo fatto carne, ma col suo stesso Spirito vivificante, qualcosa che deve prolungarsi nel mondo e sulla umanità, così come il mistero della creazione, della incarnazione, della redenzione. Tutto insomma concorre a realizzare il disegno del Padre e a portarci alla misura di Cristo che vive e opera in noi. Tutto questo, come sappiamo, ha avuto un tempo di gestazione nella intera vicenda di Gesù, dal momento in cui nel Giordano lo Spirito si posa su di lui ed egli è indotto a comunicare grazia e verità in opere e in parole. Ma in ultima analisi è nella sua totale chenosi di uomo crocifisso che si creano le condizioni di una nuova creazione, che è poi la resurrezione di quel corpo dilaniato, ma oramai messo in grado di essere principio di rinascita per tutti e per tutto: il Verbo di Dio che non solo ha fatto tutte le cose, ma le ha anche rigenerate e redente.  

 

Questo annientamento per una rinascita si riproduce in noi quando con la fede in lui ci innestiamo in Cristo come tralci nella vite e attraverso il battesimo diventiamo la vigna di cui il Padre stesso è il vignaiolo: battezzati nella morte di Cristo, non solo con acqua, ma in acqua e Spirito santo che dà vita!  Dovrebbe diventare questa la condizione permanente e dimensione portante della vita cristiana. È strano che quando si parla di spiritualità o di vita spirituale si faccia ricorso a fonti o a individualistiche metodologie psicologiche le più varie e non ci si avvalga invece della vita nello Spirito che investe l’intera comunità: sarebbe necessaria una riqualificazione della spiritualità ecclesiale, a patto che ci sia consapevolezza e decisione di imboccare questa strada stretta. Non basta che la vita nello Spirito diventi appannaggio di frange  particolari nel variegato caleidoscopio ecclesiale, quando cioè la totalità della chiesa è nella sua frammentazione e non nella sostanza della sua fede.

 

Rispecchiamoci per quanto possibile nelle letture bibliche proposte: il passo degli Atti degli apostoli fissa il momento topico in cui tutti quelli che si trovavano insieme nello stesso luogo sono chiamati ad uscire fuori per “parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”, a gente di ogni nazione che sente proclamare le grandi opere di Dio nella propria lingua. Vuol dire che la chiesa non è qualcosa di precostituito se non potenzialmente, ma diviene e si dimostra tale al momento in cui è “chiamata fuori da” (stando alla etimologia di ek-klesia): un raduno di gente per convocazione! Non solo quindi i discepoli usciti allo scoperto ma anche la moltitudine che, per quanto turbata, li ascolta e prende atto di qualcosa di totalmente imprevisto: c’è chiesa, insomma, quando questa è in atto di uscire a convocare le genti, ciò a cui non può sottrarsi senza per questo tradire se stessa! Potrebbe essere questo un criterio ermeneutico di vita ecclesiale dalle conseguenze pastorali non indifferenti: una chiesa sotto la potenza dello Spirito e solo sotto il suo dominio, in stato di Pentecoste perenne! Nel segno della predicazione prima che della amministrazione! Quando si ripete che la chiesa è missionaria per natura, non bastano dei correttivi per renderla tale, ma bisogna riandare al suo nascere, da rivivere come Pentecoste perenne.

 

Quanto ci dice il passo della lettera ai Romani non va preso come consiglio spirituale per aspiranti alla perfezione, ma ci richiama al dato di fatto e alla necessità di rimanere sotto il dominio dello Spirito che abita in noi e che ci fa appartenere al Cristo, fino a farci risorgere con lui e diventare così realmente figli di Dio. Potremmo dire che si presenta così il volto di chi può gridare “Abbà! Padre”. Sono le fattezze di quanti si ritengono eredi di Dio e coeredi di Cristo, “se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria”: perché si tratta di morire in Cristo secondo la carne per vivere la sua stessa vita di Risorto secondo lo Spirito. Ci sarebbe da far presente che tutto questo è costitutivo e fisiologico della vita cristiana e non solo qualcosa di opzionale per pochi eletti.

 

Stando a quanto Gesù stesso ci ripete, all’origine non c’è altro che l’amore per lui vissuto nell’ascolto fattivo della sua Parola: forse c’è troppo amore di Gesù fatto di devozioni gratificanti più che di passione per la sua sequela, come se si trattasse di un di più. Egli si impegna ad ottenerci dal Padre il loro stesso Spirito come dono di amore per noi, fino a fare di noi la loro dimora: non ha dell’incredibile tutto questo? D’altra parte, a cosa serve la fede se non a scommettere sull’impossibile e impensabile? In realtà c’è troppa fede esangue o resa a tutti i costi plausibile e accettabile per ragioni di contorno o di bottega. Bisognerebbe che la fede in senso soggettivo tornasse ad essere fede in senso oggettivo, e cioè di mondo reale per quanto “altro”. A proposito di differenza, potremmo ricordare 1Corinzi 15,19: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”.

 

In effetti, se c’è una urgenza pastorale di cui essere coscienti, è quella di ritrovare la sostanza del credere tra gli infiniti rivestimenti che la fede subisce: di riandare alla sorgente di tanti rivoli dispersi. Infatti, non siamo lontani dal meritare il rimprovero del profeta Geremia: “Perché il mio popolo ha commesso due iniquità: essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua” (Ger 2,13). Ma noi preferiamo continuare a tappare buchi o mettere toppe, quando l’esperienza stessa ci insegna che così la situazione è destinata a peggiorare!

 

Non ci mancano quindi motivi di impegno e di fiducia per tentare questa impresa di riqualificazione della fede della chiesa (non mirava a questo il Concilio Vaticano II?), se prendiamo sul serio quanto Gesù ci assicura al momento del suo distacco dai suoi: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. È solo questione di mettersi alla scuola del Paraclito, e quando si dice di voler ascoltare ciò che lo Spirito dice alle chiese, non possiamo dimenticare che quanto ci dice è tutto ciò che Gesù già ci ha detto ma che noi non abbiamo compreso: ce lo ricorda perché non siano più soltanto parole, ma siano spirito e vita, memoria viva di lui! Un’ultima cosa: Pentecoste non è accadimento che si inserisce in contesti ecclesiali preesistenti, ma è evento e mistero che ricrea il contesto e l’orizzonte in cui muoversi! (ABS)


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