25 dicembre 2021 - NATALE DEL
SIGNORE
Sandro Botticelli: La derelitta (1495)
Roma, Collezione Rospigliosi
Isaia 54,1-10
Esulta, o sterile che non hai partorito,
prorompi in grida di giubilo e di gioia,
tu che non hai provato i dolori,
perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata
che i figli della maritata, dice il Signore.
Allarga lo spazio della tua tenda,
stendi i teli della tua dimora senza risparmio,
allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti,
poiché ti allargherai a destra e a sinistra
e la tua discendenza entrerà in possesso delle nazioni,
popolerà le città un tempo deserte.
Non temere, perché non dovrai più arrossire;
non vergognarti, perché non sarai più disonorata;
anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza
e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza.
Poiché tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome;
tuo redentore è il Santo di Israele,
è chiamato Dio di tutta la terra.
Come una donna abbandonata
e con l'animo afflitto, ti ha il Signore richiamata.
Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù?
Dice il tuo Dio.
Per un breve istante ti ho abbandonata,
ma ti riprenderò con immenso amore.
In un impeto di collera ti ho nascosto
per un poco il mio volto;
ma con affetto perenne ho avuto pietà di te,
dice il tuo redentore, il Signore.
Ora è per me come ai giorni di Noè,
quando giurai che non avrei più riversato
le acque di Noè sulla terra;
così ora giuro di non più adirarmi
con te e di non farti più minacce.
Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero,
non si allontanerebbe da te il mio affetto,
né vacillerebbe la mia alleanza di pace;
dice il Signore che ti usa misericordia.
In altre parole…
Per andare verso il Natale, più che considerazioni intimistiche si richiede il discernimento di come stiamo procedendo qui ed ora, nel contesto di un mondo e di una chiesa in continuo cambiamento. Come punto di partenza potremmo rifarci alle parole di Matteo 5,4: “E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due”. C’è da tener conto di come stanno le cose che ci costringono ad un cammino obbligato, ma c’è soprattutto da andare oltre le convenienze. Natale per la verità è quanto di più ripetitivo e di convenzionale ci sia dato di vivere, nonostante tutti i correttivi per far emergere il “vero Natale”, e nonostante tutti gli accorgimenti spirituali per sottrarsi alla superficialità imperante. Anche qui c’è da svincolarsi da tante abitudini mentali e pratiche, per tentare di proiettarlo nel futuro e nella storia, se vogliamo che abbia senso anche qui ed ora: qualcosa che deve sempre accadere!
Noi siamo soliti chiamare questa proiezione in avanti “cammino di avvento”, ma al tempo stesso sappiamo di essere dentro una chiesa che si è rimessa in cammino nella storia nel senso di marcia del Vaticano II, appunto entrando in “Sinodo” e convocando l’intero Popolo di Dio per esplorare sentieri nuovi di servizio del vangelo, al di là di ogni assuefazione e scetticismo. Se si legge il documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi ci si rende conto che tutto è incentrato sulla missione, per perseguire “obiettivi di grande rilevanza per la qualità della vita ecclesiale e lo svolgimento della missione di evangelizzazione, alla quale tutti partecipiamo”. Non a caso si parla di comunione, partecipazione, missione, che devono diventare sempre più le tre dimensioni che strutturano il Popolo di Dio
Se la spinta è a misurarsi col futuro, questo però non va pensato e modellato sulla base del presente come semplice modificazione dell’esistente, ma si tratta della nascita del nuovo Popolo di Dio sempre in fieri nella storia, e che trova nelle profondità della Parola di Dio e della fede la sua scaturigine. Bisogna riandare al disegno biblico originario sotteso a tutte le sue possibili realizzazioni. E questo è possibile per noi attraverso la parola dei profeti, che di questo disegno si sono fatti voce e interpreti: e che ci riporta sul piano in cui l’opera di Dio è primaria. È la dimensione teologica del cammino della chiesa, che non può ridursi a puro pragmatismo pastorale.
Per questo è necessario recuperare una visione globale della storia della salvezza, se davvero vogliamo essere un “popolo profetico”: forse abbiamo esagerato troppo nella volgarizzazione dell’annuncio della salvezza, senza che diventasse “sensus fidei” e coscienza viva del Popolo di Dio. Possiamo attenerci per ora al passo del profeta Isaia 54,1-10, in cui il cammino del Popolo di Dio ci appare nella prospettiva della liberazione e della redenzione, che è il senso stesso del mistero della fede: ed è qui che si innesta anche il nostro cammino di credenti e di chiesa. Non si deve pensare che questo orizzonte di fede sia riservato ad addetti o a teologi di professione, ma è esigenza e prerogativa di ogni credente.
In realtà, ci troviamo in una situazione di chiesa sempre più minoritaria rispetto al mondo che conta, e anche di piccolo resto dentro quella chiesa che a sua volta conta. Non possiamo più nasconderci le tante situazioni di marginalità dentro un quadro di chiesa clericale e autoreferenziale, più volte denunciato da Papa Francesco. Ma è proprio a questa realtà di insignificanza della chiesa e nella chiesa che è detto di rallegrarsi e di gioire da parte del profeta: di non sentirsi perduta e finita, senza figli e senza discendenza, perché nei piani di Dio “i figli dell'abbandonata saranno più numerosi dei figli di colei che ha marito, dice il Signore”. La coscienza di essere sotto lo sguardo di Dio nella nostra povertà e abiezione deve portarci all’esultanza per quanto egli potrà e vorrà fare di noi: il passo decisivo da fare è rimettersi alla sua promessa e lasciare al Signore libertà di azione!
Grazie ad una ritrovata fecondità dello spirito, ci sarà dato di dilatare i nostri confini, di creare spazi più ampi a destra e sinistra, di mettere su e moltiplicare tende nuove senza risparmio, perché “la sua discendenza possederà le nazioni e popolerà le città deserte”: è importante perciò rimanere dentro il raggio d’azione dell’opera di Dio . Tutto avviene semplicemente per fede: senza sapere e vedere quale possa essere il futuro da generare! Ma è chiaro che bisogna dare a Dio la possibilità di agire liberamente a nostro favore.
Nessuna meraviglia che in questo travaglio la madre chiesa sia invitata a non temere, a non sentirsi confusa, a non vergognarsi, a non arrossire, a non ricordare più l’infamia della propria vedovanza, “poiché - le viene detto - il tuo creatore è il tuo sposo; il tuo redentore è il Santo d'Israele… poiché il Signore ti richiama come una donna abbandonata, il cui spirito è afflitto, come la sposa della giovinezza, che è stata ripudiata», dice il tuo Dio”.
Abbandonata per un istante in un eccesso d’ira, ma raccolta con immensa compassione e con un amore eterno, perché “io avrò pietà di te, dice il Signore, il tuo Redentore”. Colei che è derelitta e momentaneamente ripudiata ritroverà il suo sposo e avverrà per lei come delle acque di Noè, quando il Signore giurò “che non si sarebbero più sparse sopra la terra”. Ora egli giura di non irritarsi più con lei e di non minacciarla più, in piena fedeltà al suo patto. È importante uscire da uno stato di prostrazione e di rassegnazione e puntare sull’impossibile agli uomini ma possibile a Dio. Sono queste le linee di forza e i motivi di speranza per un nuovo cammino di chiesa o sinodale a dispetto di ogni speranza: un cammino di fede senza riserve e senza condizionamenti.
È questo in sostanza il messaggio profetico che ci viene da Isaia, e noi non abbiamo nessun diritto di ridurlo a routine o ad espressione poetica, quando invece è l’istanza di sempre e compito di tutti. Le sue parole sono il punto di appoggio per assecondare l’iniziativa di salvezza di Dio, che è primaria in assoluto; sono una forte spinta a muoversi sul piano della fede, se davvero vogliamo che la promessa di Dio al suo Popolo vada a compimento: “Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia”.
Si tratta di una promessa che va al di là di tutte le sue realizzazioni storiche e anche al di là dello stesso compimento in Cristo che apre ancora di più al futuro: è il farsi inarrestabile di un disegno di salvezza, che va al di là della storia e del cammino percorso fino a ora dal Popolo di Dio, per proiettarsi oltre ogni umana intelligenza. Ed è a questo disegno che siamo chiamati a prestarci sempre di nuovo, perché si arrivi sempre più ad una chiesa sacramento di salvezza nel mondo: un compito storico irrinunciabile nel quale investire tutte le nostre forze. Bisognerebbe però che la parola salvezza ritrovasse tutta la sua carica di mistero, di ministero e di annuncio: di coinvolgimento e di responsabilità. E allora avrebbe senso accogliere e rilanciare l’annuncio dell’angelo fatto ai pastori: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,10-11). Da qui il nostro vivo augurio in reciprocità di preghiera. (ABS)