Koinonia Febbraio 2024


Buon giorno, padre Bruno!”:

questo era il saluto che noi, uno sparuto gruppo di ragazzini di Patrica (FR), molto amici tra noi, ti rivolgevamo negli anni 60-70, dai primi giorni del mese di agosto fin quasi dopo il giorno venti dello stesso mese. Era uno stare insieme tra noi, che frequentavamo la chiesetta di san Francesco Saverio, officiata allora, e non più ora, dai Missionari di san Gaspare del Bufalo. Era un ritrovarci anche con te. Con la tua, come scherzavamo dire senza farci sentire da te, ‘tonaca bianca’: un vestito da prete molto strano, insolito per noi, abituati alle giornaliere ‘tonache nere’, indossate dai sacerdoti del luogo.

Ti rivolgevamo quel “Buon giorno, padre Bruno”, dopo che noi avevamo servito la Messa a don… e dopo che, avendo fatto colazione tutti insieme nel refettorio dei Missionari, scendevamo sulla piazzetta, antistante la chiesetta, per giochi che conoscevi e che avevi praticato anche tu: i giochi di ‘Patre Girolamo’, ‘Gli iacino longo’, ‘Lu pippitillo’, ‘I testucci’ ed altri ancora.

Ti rivolgevamo quel “Buon giorno, padre Bruno”, dopo che tu eri arrivato fin lì, percorrendo un piccolo sentiero di campagna, solo poi strada asfaltata, che da casa dei tuoi conduce fino alla ‘scola’ e che, poi, dalla piccola piazzetta dell’edificio scolastico sale, sale, sale fino alla chiesetta di san Francesco Saverio.

E tu: ”Buon giorno a tutti. A tutti quanti!”. Espresso più con il tuo sorriso e con i tuoi occhi che con il volume della tua voce. E, poi, chiedevi come stavamo, che gioco stavamo facendo, come stavano le nostre famiglie. Non eri e non sei stato come gli altri preti, francescani e non, che in quegli stessi giorni venivano anche loro a Patrica in occasione della festa “prima du’ san Rocco e, doppo, du’ la Madonna”. Ed anche se quello era un modo di dire strettamente patricano, che noi apprezzavamo molto, tenevamo piuttosto conto del fatto che quei nuovi arrivati anteponevano il dire di sé stessi (chi erano, da dove venivano, che facevano…) alla nostra curiosità, alle nostre domande. Al nostro stare lì. Vivere lì. Sperare il nostro futuro a Patrica e a partire da Patrica.  

Tu, invece, padre Bruno, ci ponevi domande per interessarti di noi. Tu, padre Bruno, quando ripartivi, non ci portavi con te, ma ci covavi dentro di te. E, poi, chiedendo scusa, entravi nella chiesetta in silenzio, da solo, perché amavi celebrare da solo. In solitudine. Chi sa il perché? Non solo io ma, da quello che so e riesco a capire, nessuno di noi ti ha servito mai la Messa. Ti ricordo solo quando il giorno della festività dell’Assunta ed il giorno della festa di san Rocco celebravi con gli altri sacerdoti. Ma mai, mai come celebrante principale. E che nelle processioni indossavi sempre il tuo saio bianco, domenicano.

Alcuni di questi tuoi e miei amici, dei quali un paio sono ora insieme a te, sono venuti a trovarti nei vari conventi, nei quali tu sei stato parte attiva di quelle comunità. Altri avrebbero preferito farlo, ma impossibilitati da cause diverse. Da parte mia, io e la mia famiglia ti siamo venuti a trovare a Pistoia, nella ricorrenza del trigesimo della memoria del tuo confratello, mio professore, mio amico ed ancor di più, padre Dalmazio Mongillo. In quei due giorni abbiamo assaporato la certezza di un relazionarsi nella fede in maniera personale ma comunitaria. E questo, proprio questo, è stato e proprio questo è ancora il sapore che tu, padre Bruno, e tu, padre Quore - così chiamavo abitualmente padre Dalmazio - avete saputo farmi gustare con il dono della vostra amicizia. Non so: in voi ho sperimentato e vissuto una consequenzialità di impegno molto spesso sconcertante. Teoria fondata nella Verità. Pratica radicata nella teoria della Verità. È stato ed è ancora come l’alveo di un fiume e come l’acqua contenuta in esso, affinché scorra più limpida.

Tu, padre Quore, con la tua fede vissuta in maniera del tutto singolare e personale, hai saputo unire per riunificare nella verità della fede. E tu, padre Bruno, con la tua fede, vissuta in maniera altrettanto personale e singolare, ci hai insegnato a vivere la nostra fede nella condivisione comunitaria non priva, però, dell’apporto personale. Come è scritto nel Vangelo: se il sale perde sapore… Tra te, padre Bruno, e te, padre Quore, esiste una continuità dal sapore evangelico: alla sana teoria segue una sana applicazione. Una fede diretta, personale ma comunitaria, comunitaria e personale, ispirata e fondata sulla Koinonia non può che generare - voi, al posto mio, usereste il verbo ‘incarnare’ - altre Koinonie.

Tu, padre Quore, e tu, padre Bruno, avete ben testimoniato meno a parole e tutto con i fatti che: “... se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se, invece, muore, produce molto frutto”.

Talvolta resto disarmato mentre rifletto sul fatto che tu, padre Quore affidavi proprio a me le chiavi della tua camera, per sbrigare cose pratiche durante le tue assenze: posta, articoli, pubblicazioni...Talvolta resto a pensare perché tu, padre Bruno, mi hai chiesto e mi hai richiesto ripetutamente di scrivere per te e per gli amici di Koinonia quello che intendevo dire con una mia frase: “Dio non è amore”. Sono certo: voi vivete GIÀ nella realtà e con la realtà vivente, alla quale san Tommaso d’Aquino intendeva rivolgersi con la sua professione di fede, pronunciata poco prima di morire: ‘Te solo ho cercato’. Essa svela che la sua e la vostra esistenza sono totalmente ed integralmente immerse nella contemplazione e nell’adorazione della beatitudine di Dio. Proprio come dice il brano di sant’Agostino inserito nell’ultima pagina di copertina del numero 1/2024 di Koinonia: “… consideriamoci quali semplici pellegrini quaggiù… Vedrai quella luce, di cui solo un raggio, per vie indirette ed oblique, ha raggiunto il tuo cuore… noi saremo simili a lui… Ci siamo trovati assai bene sotto questa luce comune, ne abbiamo davvero gioito, ne abbiamo davvero esultato: ma, mentre ci separiamo gli uni gli altri, badiamo bene a non allontanarci da lui”.

Riguardo a te, padre Bruno, coincidenza strana questa citazione, ma anche altre coincidenze strane: il contenuto dell’ultima telefonata intercorsa tra noi. Coincidenza strana il tuo salutarci nel di qua il 26 gennaio, poco prima della festività liturgica dedicata a s. Tommaso d’Aquino. E coincidenza, strana anch’essa, il fatto che tu hai firmato il tuo articolo di presentazione del numero di Koinonia, al quale abbiamo già fatto riferimento, non con Alberto Simoni op, ma con Alberto Bruno Simoni op.

Da parte tua, certamente un identificarti del tuo essere persona con il tuo essere sacerdote: vero uomo e vero sacerdote. Come Lui è vivo nei Vangeli e come di Lui ha scritto il santo, del quale hai scelto di assumere il nome. La tua vita è stata un apprendere dall’esempio di san Tommaso come interiorizzare, seguendo la via dell’interiorizzazione di sant’Agostino, l’imitazione di Cristo non in te, ma con te.

Grazie a te, padre Quore. Grazie a te, padre Alberto Bruno.

Ma…

Ma in noi resiste un ma: “… se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se, invece, muore, produce molto frutto”?    

 

Pierino Montini


Ultima Cena. Ricordino di p. Alberto Bruno Simoni, domenicano, prima messa Patrica 8 maggio 1963[1].



[1] GIOACCHINO GIAMMARIA, Canti popolari religiosi nel dialetto patricano, Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale, Anagni, 2021, p. 86.

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