Koinonia Febbraio 2024


ALL’ALTEZZA DELLA MORTE

 

Devo dire che già qualcosa presentivo, non era normale che non mi giungessero più da padre Alberto i suoi commenti settimanali alla Parola di Dio,  i suoi consueti messaggi, e nemmeno un cenno di risposta al mio libretto che gli avevo da poco inviato. Poi, ecco che ricevo, in ritardo come al solito abitando nella sperduta campagna di Isola del Piano, Koinonia di gennaio, con le parole di apertura che ha voluto dedicarmi e che ho letto e riletto commuovendomi ogni volta. Ma soltanto qualche giorno dopo ho appreso della sua morte. E allora a quelle di commozione e gratitudine si sono in me aggiunte le lacrime di dolore per la perdita di un fratello.

Sì, i pensieri che mi aveva dedicato col cuore - mettendoli in koinonia, in comunione,  un po’ come facevano i primi cristiani radunandosi insieme nelle case, condividendo la Parola, i pensieri, la mensa, fino a unirsi con “un bacio d’amore fraterno” (1Pt 5,14), col “bacio santo” (Rm 16,16; 1Cor 16,20; 1Ts 5,26), la con-spiratio, il bacio sulla bocca attraverso il quale lo Spirito che univa il Padre al Figlio univa anche i credenti - padre Alberto me li aveva dedicati di fronte alla propria morte, quando l’agàpe diventa più che mai coinvolgente e forte.

C’è un pensiero di Kierkegaard nel suo Diario che dice così: “Dopo tutto chi mai ama tanto come un moribondo?”. E certamente questo accade perché il suo bisogno di amare è pari a quello di essere a sua volta amato, non dimenticato. E Dio, nel Figlio in agonia nell’orto e nel Padre impotente e muto che stava ad ascoltarlo, ha vissuto entrambi.

Ma a riempirmi il cuore di gratitudine in quel che padre Alberto ha scritto, è la riconoscenza per il mio avere immesso nel percorso di Koinonia “la dimensione escatologica”, che sapeva venirmi dal mio “essere discepolo di Sergio Quinzio”, una dimensione che ho visto con gioia espressa anche nel retro di copertina dello stesso numero, dov’è riportato un passo di Sant’Agostino in cui si parla delle novità assolute di cui avremo esperienza “quando verrà nostro Signore Gesù Cristo”. E poi a conclusione del suo intervento alle giornate organizzate dalla Comunità dell’Isolotto a Firenze nell’ottobre 2018, del quale citerò soltanto questo breve passaggio: “Siamo in continua dialettica tra la prospettiva escatologica – le cose ultime – e le anticipazioni nel tempo (le cose penultime), tra il Regno di Dio che viene e le sue manifestazioni…, dal ritrovarsi uniti in due o tre nell’attesa e alla ricerca prioritaria del Regno”.

 

Il rapporto tra noi ebbe inizio verso la fine del 2001 e da allora non ci siamo mai lasciati, restando uniti in fraterna amicizia, condividendo il cammino e il pensiero, perché la fede necessita anche di pensiero oltre che di parola e ascolto. Ma soprattutto di fedeltà e coerenza, davanti a Dio e tra noi. La fede è in primo luogo da vivere in quanto singoli, con momenti di solitudine con Dio, ma non può assolutamente mancare il momento di unirsi almeno a un altro simile a sé: soltanto così possiamo permettere a Cristo di essere con noi e tra noi tutti i giorni fino alla fine del mondo.

Ciò che più teme chi muore è di essere dimenticato, abbandonato come un ferro vecchio. Per questo, diceva ancora Kierkegaard, “l’atto d’amore di ricordare un morto è un atto che è proprio dell’amore più libero” (Gli atti dell’amore), libero perché in grado di amare chi più di ogni altro tende a sfuggire dalla nostra memoria, un amore che ha trascinato Dio stesso negli abissi della morte pur di liberarci da essa.

Il 15 marzo 1996, una settimana prima di lasciarci, Sergio Quinzio scrisse in un appunto: “La vita di un uomo non è tale che dinanzi alla sua morte. Così anche la storia”. Un profeta dei nostri giorni quale egli era non si fermava soltanto al pensiero della propria morte, ma anche a quella di coloro che amava e della storia intera, mettendosi nei panni di Dio. E come dicendo alla morte fissandola in faccia: “Tu sei la più grande nemica, la più potente, l’ultima, quella che Dio non avrebbe mai voluto far entrare nel mondo e nella storia, quella che l’ha fatto finire sulla croce, ma non sarà tua l’ultima parola!”.

 

Daniele Garota

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