Koinonia Febbraio 2024
ALBERTO SIMONI
Caro Alberto, quanto mi hai fatto stare in pensiero per Natale! Non avevo ricevuto nessuna telefonata e mi mancavano gli auguri attesi per la festa del Signore, secondo la consuetudine di tanti anni di dialogo. Ho incominciato a cercarti sul cellulare per sgridarti. Poi ho riprovato e non ti ho più trovato: dunque c’erano dei problemi; sapevo che c’era qualche difficoltà di salute, ma le ultime chiacchierate non erano state preoccupanti. Quindi ero in ansia perché, pur conoscendo tutti (quasi tutti) gli amici di Koinonia, non avevo contatti diretti con nessuno. Così ho chiesto a Franco Ferrari. E allora ho capito che l’ansia corrispondeva a una situazione imprevista, grave.
Caro p. Alberto. Per noi sei una perdita a cui ci si rassegna male. Un uomo della Chiesa italiana della generazione in cui chi aveva in mente un’altra Chiesa, non aveva vissuto sempre felice. Anche se il Concilio era già nelle corde di teologi che tu continuavi a ricordare - da Chenu ai nostri Mongillo, Molari, Turoldo - il Vaticano rimaneva bloccato secondo lo stile di Pio XII, sconvolto poi dall’arrivo di un sorprendente Giovanni XXIII, immaginato pontefice di transizione, ma rivoluzionario nei metodi prima ancora che nella sostanza: riuscì a proclamare l’indizione del Concilio perché conoscendo bene la curia romana la aggirò. Tuttavia non poté risarcire i tanti che erano stati emarginati o ridotti al silenzio, quelli che, in realtà, hanno fatto l’interesse della chiesa rinnovandola e ne erano stati i precursori per la loro capacità di capire: erano loro stessi un “segno dei tempi”. Non a caso tu, che li avevi letti quando eri il giovane domenicano contento di spendere la sua fedeltà alla Chiesa nel rinnovamento, ce li hai continuamente proposti sulle pagine della tua Koinonia. Nemmeno tra voi domenicani era stato sempre facile per gli spiriti più aperti della tua generazione. Ma tu eri un uomo libero e non hai mai abbandonato né le tue idee né la lealtà all’istituzione. Non diciamo quanto ti è costato. Quante volte sei stato solo.
Francesco sta richiamando la chiesa “dal basso”. Forse non ce la farà nemmeno lui, ma è la società così com’è che va riaccompagnata a un Cristianesimo esigente, adatto a una modernità che vive trasformazioni forti e rischia di restarne schiacciata. Tu da sempre facevi sinodalità, una parola da me criticata come poco trasparente per i cristiani d’oggi che hanno lauree, ma non sanno molto delle ragioni della loro fede, pur dichiarata. Ne abbiamo parlato più volte e tu, da addetto ai lavori, arricchivi le mie considerazioni approfondendo le questioni che rendono sempre più complessa e difficile la vita, tanto religiosa e valoriale, quanto sociale e politica. Ti preoccupava che le parole teologia e liturgia non riescano a entrare in quella volontà di riforma di cui la base si deve impadronire: davi per scontato che fossero “i” problemi e sollecitavi ad evitare i contraccolpi della spinta reazionaria che è venuta dalla violenza scatenata dalle guerre (che sono venute da noi, ma nel mondo sono sempre state attive, alimentate dalle armi che vendiamo) e che ha prodotto lo scisma nell’ortodossia con la definizione del patriarcato ortodosso ucraino “contro” quello russo, il cui primate è oggi un ricercato in terra ucraina. Sei sempre stato indulgente con i miei interventi di “individua” pensante - sempre stata scomoda per la Chiesa - in quanto donna. Dell’importanza della presenza femminile eri convinto, anche se non era in cima alla tua ricerca e non hai riso quando avevo definito una contraddizione dei domenicani aver accolto le donne nell’Ordo Praedicatorum senza dare loro la parità del Praedicatarum. Mi mancherà tanto l’amico che accompagnava le mie scelte con la sua passione etica nei confronti della società civile con un orientamento politico più radicale del mio e non so che cosa avrebbe detto, anche se non c’è stato tempo per parlarne, delle inquietudini crescenti per lo smarrimento della gente nel mondo a rischio di perdere la democrazia. Mentre ti scrivo anche la Finlandia, che votava oggi, ha scelto la destra: dove sei tu non ci si inquieta, ma se eri qui ti avrei telefonato. Non avresti perso tempo a seguire il festival di Sanremo, ma più di dieci milioni di italiani hanno sentito un tale dire che “non voleva essere considerato uno che fa politica” tra gli applausi generali: un segnale che mostra un paese che non comprende l’importanza di “impegnarsi”. Eppure i cittadini, cattolici o laici, hanno bisogno di quell’Europa che oggi conoscono meno di quando era vivo Spinelli e forse ne avrei scritto per la tua Koinonia. Gli amici della redazione ti dedicano un numero e noi amici siamo tutti insieme, un modo per tenerti vicino. Non so se sarà possibile riprendere i tuoi pezzi settimanali che anticipavano il Vangelo delle domeniche con “parole” tue e preghiere sempre illuminanti, di uomo di fede. Perché - adesso lo sai - tu eri un prete che ci credeva davvero.
Giancarla Codrignani