Koinonia Febbraio 2024


SUL “TESTAMENTO SPIRITUALE” DI P. ALBERTO SIMONI

Non so se P. Alberto Simoni abbia lasciato un testamento spirituale, ma gli scritti contenuti nell’ultimo numero di Koinonia, gennaio 2024, che ho ricevuto dopo la sua morte, sono stati letti da me come un suo testamento; d’altra parte, ho seguito il suo itinerario spirituale per più di cinquanta anni e mi sembra che le sue ultime parole ribadiscano ciò che egli ha sempre sostenuto, a costo di essere emarginato e forse deriso.

Ci sono i “visionari”, sono rari, ma ci sono; potremmo dire che dal punto di vista mondano Gesù era un “visionario”, il visionario propone qualcosa che ancora non si dà, ma che è possibile realizzare se ci si impegna. È vero che ci sono i visionari utopici, che elaborano solo fantasie, ma ci sono anche i visionari “positivi” che lottano per la realizzazione del bene. È vero che nella nostra dimensione esistenziale il male non può essere completamente eliminato, ma si può agire in modo da contenerlo e da consentire il  trionfo del bene, come dimostrano le vite dei santi e delle sante, per questo sono santificati! E P. Alberto Simoni è stato un grande visionario positivo, sostenitore dell’ecclesia semper reformanda! In questa direzione il suo cruccio era che non si riuscisse a realizzare pienamente ciò che era stato deciso nel Concilio Vaticano  II, come dimostra il continuo riferimento ad esso e, in particolare, il numero di Koinonia 2/2023 dedicato a “Ancora dal Vaticano II: reti nuove da gettare” (vedi Luca 5,4).

Mi sembra opportuno esaminare, allora, la sua “predicazione”, perché di predicazione si tratta; egli era un autentico domenicano, come dimostra il numero di Koinonia di settembre 2023, intitolato “Il trionfo di san Tommaso d’Aquino”, anche lui domenicano come tutti sanno. E la sua era una predicazione particolare. Riguardo a tutti gli avvenimenti, riguardo a tutti i proclami, egli cercava sempre di scavare fino in fondo per andare al cuore del problema.   

Un esempio si trova nel suo commento all’articolo di Paola Bignardi del 3 dicembre 2023 su “Una generazione in ricerca. Nelle domande dei giovani c’è la Chiesa di domani”; egli scrive «Lo spinoso problema “i giovani e la fede” non manca per la verità di soluzioni di massa e di facile retorica, al tempo stesso in cui si aggroviglia sempre di più su se stesso e rivela così il problema di fondo che rimane in sordina» (p.15). E qual è il problema di fondo? P. Simoni lo esplicita: «… si pensa che una soluzione tecnica ad un singolo problema possa chiudere il discorso sempre aperto di una chiesa intera non più società ma comunione». Questa affermazione mi sembra molto importante: la chiesa non dovrebbe essere considerata una società, perché l’ecclesia è una comunità e come tale dovrebbe essere trattata.

È importante questa distinzione fra società e comunità che è stata messa in evidenza in modo magistrale dalla filosofa e santa della chiesa cattolica, Edith Stein, che P. Simoni conosceva molto bene. La differenza si trova nei legami diversi fra gli esseri umani che compongono la prima e la seconda: nella società ci si aggrega per uno scopo comune, ma non si stabilisce un rapporto personale di assunzione di responsabilità reciproca, come deve accadere in una comunità. È l’amore fraterno, messo in evidenza anche da Papa Francesco  nella sua Enciclica “Fratelli tutti”, che riguarda, in verità, tutta l’umanità, come sosteneva la Stein, quando considerava un punto d’arrivo il riconoscimento dell’umanità come la più grande comunità che tutte le include: la famiglia, la comunità di amicizia, la comunità religiosa e perfino la comunità statale.

P. Simoni sarebbe d’accordo, ma, poiché questa visione nasce sul suolo cristiano, in questo caso vorrebbe in primo luogo che la Chiesa cattolica fosse una comunità e, a suo avviso, ciò che la può rendere tale è il ritorno radicale al Vangelo, alla fede, alla predicazione e questo ritorno implica «… un coinvolgimento convinto e condiviso» e non solo un generico consenso. Vangelo vissuto fino in fondo da tutti i fedeli, e soprattutto dai pastori: questo è l’obiettivo indicato nella sua missione con insistenza.

Egli esplicita per l’ennesima volta, senza stancarsi, il senso della fede, prendendo in esame un breve testo di Daniela Garota, tenace collaboratore di Koinonia, intitolato “Il chicco di grano” e pubblicato nella Collana “Perle” su richiesta delle edizioni di Frate Indovino. Scrive P. Alberto: «Non si parla di fede come virtù o prerogativa personale dei singoli, ma della fede che rappresenta una risorsa, una via di partecipazione al mistero stesso della salvezza, un modo di stare davanti a Dio che non nasce dall’uomo ma da Dio stesso che opera in noi» (p. 4). Egli condivide ciò che afferma Daniele Garota, secondo il quale importanti sono l’etica e la morale, ma soprattutto la fede, che indica un oltre che ci è dato dal Signore.

Prima abbiamo fatto riferimento a Edith Stein, ora mi viene in mente a proposito della morale e della fede, un testo del suo maestro, il filosofo Edmund Husserl - entrambi provenivano da famiglie ebree e si erano convertiti al cristianesimo, cattolico la Stein e luterano Husserl. Costui scrive nelle sue meditazioni private ora pubblicate: «Non posso fare altro che credere e credere nello scoprire me stesso e il mondo in modo universale. La fede è la forza di Dio. Finché vivo nella fede e vivo seguendo la mia vocazione vive in me la forza di Dio» (E. Husserl, La preghiera e il divino. Scritti etico-religiosi, a cura di A. Ales Bello, Studium, Roma 2022, p. 133).

Questa è la via per superare il rischio denunciato da P. Simoni  «… di rimanere in un cristianesimo ereditato, pensato, celebrato» (p. 5), aggiungerei rimanere in una “cristianità” che non è cristianesimo, ma solo un’etichetta che indica un’appartenenza solo formale. La fede: «È un fatto di verità e di coscienza, prima che ecclesiale o di appartenenza», così scrive P. Alberto e si rivolge ai non credenti affermando che la fede si dà in un «… rapporto che sfugge  ad ogni sguardo e ad ogni indagine perché si tratta di  un’intimità con Dio, fatto davvero eccezionale» (p.6); tuttavia, a coloro che credono ricorda che non è solo qualcosa di personale, ma il legame con il divino: «… è presente nel mondo con un suo assoluto valore obiettivo e trascendente» (p.5). La presenza del divino in noi ci apre alla sua trascendenza.

Immanenza e trascendenza di Dio; P. Simoni ci mostra di essere un teologo, ma anche un filosofo, la sua tesi di Licenza in teologia era stata sull’utilizzazione della filosofia di Edmund Husserl nella teologia. Abbiamo molto discusso su questo argomento che mi ha anche aperto nuovi orizzonti; poi egli si è dedicato soprattutto alla pastorale, ma una pastorale, come si è visto, basata sulla teologia e sulla filosofia, come strumento interpretativo della Rivelazione.  

Ho accennato all’attenzione rivolta alla dimensione pastorale ed era quello che colpiva di più della sua personalità. Attenzione minuziosa verso tutti, non passava un onomastico o un compleanno senza un messaggio di P. Alberto. E la sua presenza diventava “diffusiva”. Ben presto dalla conoscenza personale, dovuta alla mediazione della mia amica Marina Storoni Piazza, tutti i miei parenti e molti amici hanno conosciuto P. Simoni; ha battezzato i nostri figli e ha dato loro la Prima Comunione, ha celebrato alcune nozze e dato anche il sacramento degli infermi. È stato una presenza costante, affidabile, ha mostrato concretamente di vivere una vita cristiana: la sua profonda fede si è estrinsecata nella sua inesauribile carità. Sta pregando per noi e la nostra speranza è di ritrovarci con lui nell’eternità.                                                                                 

                                                                                         

 Angela Ales Bello

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