Koinonia Luglio 2023


RESURREZIONE DELLA CARNE

 

Oggi, se domandiamo ad un credente che cos’è la resurrezione della carne, siamo sicuri che sappia dare una risposta? Da troppo tempo, sia nella predicazione che nella catechesi cattolica, non si sente più neppure un accenno a questo tema. È un argomento ormai desueto. Nel cristianesimo la risurrezione della carne sta a significare che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma anche i nostri corpi mortali riprenderanno vita. Lo affermiamo ogni volta che recitiamo il Credo. Ma anche nel Catechismo si dice chiaramente che con la morte il corpo va in dissoluzione mentre l’anima sale a Dio in attesa di essere riunita al proprio corpo alla fine dei tempi.

Nell’Antico Testamento - a differenza di come forse può pensare la vulgata comune - risulta che gli antichi Israeliti non credevano in una sopravvivenza piena e felice nell’aldilà. Il testo non accenna a una vita dopo la morte, ma a un luogo - lo Sceol (quello che i greci chiamano Ade e i romani Campi Elisi) - un mondo oscuro, nebbioso dove i morti vivono una non-vita. Il fatto che i grandi personaggi della storia della salvezza si addormentino e si riuniscano agli antenati, denota la credenza in un qualche tipo di sopravvivenza. In seguito alla cattività degli ebrei in Babilonia (VI secolo), nella comunità la morte raggiunge un alto grado di insopportabilità a causa del massacro anche di innocenti come donne, vecchi e bambini. Inizia a farsi largo la fede in una vita in Dio attraverso la griglia esplicativa dell’etica: l’esistenza umana non è più sentita solo come un processo biologico, ma come una creazione animata dall’amore di Dio. Per questo chi si è comportato bene e ha obbedito alla Legge vivrà nel seno di Dio, chi ha disobbedito ad essa morirà. Per un ebreo il giusto, una volta morto, non poteva essere abbandonato da Dio come il malvagio e nell’aldilà era accolto con il corpo e ricompensato per tutta la sofferenza subita in terra.

Che origine ha la dottrina della resurrezione dei corpi? La distinzione che siamo soliti fare tra anima e corpo, tra spirito e materia, è del tutto estranea al messaggio biblico. Gli ebrei, e in seguito i cristiani, non dividevano l’anima dal corpo: non si trattava di due cose distinte, ma di un’unica realtà con due diverse manifestazioni. Quando dunque troviamo nella Bibbia l’espressione “corpo” non ci si riferisce ad una dimensione dell’essere che si oppone allo spirito, bensì all’uomo in quanto tale: “l‘uomo è il proprio corpo, non ha un corpo”.

È interessante leggere nell’Antico Testamento quei pochi testi che per primi accennano alla resurrezione della carne, anche in seguito ad influssi culturali di popoli venuti in contatto con Israele. Basti pensare alla politica di espansione dell’antica Persia (VI sec. a.C.) che aveva tenuto gli ebrei a lungo soggetti al suo dominio politico e culturale tanto che, attraverso la religione di Zaratustra, era passata nel popolo di Dio una prima idea della resurrezione dei morti e della vita ultraterrena.

Il profeta Ezechiele (Ezechiele 37) scrive nel periodo esilico a Babilonia (VI secolo a.C.). In una visione parla di una valle piena di ossa tutte inaridite e del Signore che gli comanda: “Profetizza su queste ossa e annunzia loro: ossa inaridite, udite la parola del Signore. Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete.  Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: saprete che io sono il Signore.” […] Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato”.

Nel Secondo Libro dei Maccabei (2 Mac. 12,43-36 - II secolo a.C.) si legge: “In quei giorni il nobile Giuda, fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti”.

Anche Daniele, Enoch e gli Esseni riportano brani che si riferiscono alla resurrezione nel periodo che va dal IV sec. a.C. al I sec. d.C., periodo in cui tale concetto raggiunge un’acquisizione abbastanza ampia. Nel I seco d.C. il gruppo di discepoli che si è raccolto attorno a Gesù di Nazaret fa di questo evento il fulcro della sua predicazione. Con il Nuovo Testamento sia ha una vera e propria rivalutazione del corpo contro la cultura del tempo di matrice greca. Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini.

Venendo ai giorni d’oggi, possiamo dire che tale dottrina è troppo “dura” per essere accettata dalla nostra cultura tecnologica. Una cosa è credere in una vita dopo la morte, alla sopravvivenza dell’anima, un’altra è credere in ciò che la realtà stessa pare contraddire: tutto nell’universo invecchia e muore, niente vive in eterno, né l’uomo, né i pianeti, né le galassie, né le stelle. Tutto si trasforma. Pensare invece che i nostri corpi dopo la morte risorgeranno è contro ogni esperienza concreta. Tale concetto può essere accettato solo in termini di fede.

Il DNA di noi occidentali è intriso di cultura ebraica ma anche di quella greco-romana. In quest’ultima c’è una netta divisione, un dualismo, fra corpo ed anima. Il corpo ha poca importanza, l’interesse filosofico è tutto proiettato verso lo spirito sede del pensiero, dell’intelletto, del mondo etico. Questi concetti, passati nel mondo giudaico-cristiano dei primi secoli d.C. in seguito ai contatti tra le due culture, sono divenuti parte del nostro vissuto di occidentali. Ma gli antichi greci non credevano nella resurrezione della carne, bensì nella reincarnazione o metempsicosi, teoria proveniente dell’antica India con la quale la civiltà greca era venuta in contatto già secoli prima dell’invasione di Alessandro Magno nel IV sec. a.C. (nella cultura indiana troviamo spesso riferimenti ai greci nei grandi poemi epici, nell’arte e nella scienza). Essa consiste in un processo di ascesi e purificazione che prepara a migliori esistenze future. Quindi sappiamo che il mondo ebraico conosceva entrambe le dottrine, tant’è che alcuni ritengono che certi passi dei vangeli facciano riferimento proprio alla reincarnazione, idea che sappiamo circolava anche ai tempi di Gesù.

Nei primi secoli il messaggio cristiano ebbe molta difficoltà a introdurre la rivalutazione del corpo in un ambiente di cultura greco-romana. Basti pensare all’episodio di Paolo ad Atene narrato in Atti 17,32. Al termine del suo discorso Paolo venne quasi deriso. Quando la gente sentì parlare di resurrezione dei corpi si allontanò dicendo: “Su questo ti sentiremo un’altra volta”. Per la cultura greca quella proclamata dall’apostolo era una realtà inaccettabile. La salvezza, intesa come resurrezione del corpo e non come liberazione da esso, fu un annuncio di assoluta novità e di non facile comprensione per i non ebrei. In seguito fu proprio l’influsso delle idee di Platone e dei neoplatonici a penetrare anche nella riflessione cristiana quando questa entrò in contatto con questa cultura. Le conseguenze furono destabilizzanti per il cristianesimo: una tendenza sempre più forte a considerare la materia inferiore allo spirito, il corpo inferiore all’anima, con tutti i risvolti etici conseguenti fino a giungere, nei primi secoli del medio evo, a cercare di eliminare le passioni del corpo, a mortificarlo per raggiungere la purezza spirituale fino ad alienarsi dal mondo corrotto. Tutto ciò fu un ideale a lungo perseguito dal cristianesimo. Si può dire quindi che all’interno della religione cristiana per secoli c’è stata una forte discontinuità in proposito: da un lato una particolare attenzione - di tradizione ebraica - alla dimensione del corpo, dall’altro l’adozione di elementi propri della filosofia ellenistica che sembrano contraddire l’importanza del corpo stesso. Tutto questo ci porta oggi a riflettere sulla resurrezione della carne attraverso un pensiero laico, libero, che si interroga, che ragiona attraverso categorie mentali proprie di questo tempo e propone nuovi approcci. In un momento di forte crisi e cambiamenti nella società e nella cultura occidentale, dopo 2000 anni di storia del cristianesimo, c’è bisogno di un rinnovamento del pensiero teologico. Oggi sempre più persone sono in cerca di “qualcosa o qualcuno” che riempia la loro vita, vogliono capire, vogliono approfondire la loro esperienza religiosa o spirituale, non sono più disposte ad accettare supinamente quelle verità immutabili della tradizione che per secoli sono state loro insegnate. Sono in cerca di nuovi modi, nuovi linguaggi per sentire ed esprimere la propria la fede. Sono credenti adulti che vogliono dialogare senza il timore di essere messi all’indice, come è successo in passato. È tempo di apertura, di dialogo, di un confronto aperto e coraggioso, di un approccio sincero ai nuovi paradigmi che si sono sviluppati nella scienza e nella società e che non possono più essere ignorati.

Detto questo, cosa risponde oggi la teologia alle legittime domande di un credente sulla resurrezione della carne?

 

Daniela Nucci

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