Koinonia Luglio 2023


Sulle tracce della “Chiesa dei gentili”

DA DUE INTERVISTE A DANIEL MARGUERAT

 

Dunque Paolo predica la fede in Cristo. Come organizza la sua attività missionaria?

 

Per trent’anni, a partire dal suo “cambiamento” verso l’anno 32 fino alla sua morte tra il 62 e il 64, Paolo si dedica alla missione. Cittadino romano, ha una buona conoscenza del funzionamento dell’Impero, il che lo porta a far un uso efficace delle sue strutture. Procedendo sulle vie romane dell’Asia minore e della Grecia, si reca nelle principali metropoli regionali. Là comincia a rivolgersi alla sinagoga, il che gli permette di godere della generosa rete di ospitalità della diaspora.

Spesso, la rottura con gli ebrei del luogo avviene abbastanza presto, poiché la predicazione di Paolo è in contrasto con l’ebraismo maggioritario. Tuttavia riesce frequentemente a convincere alcuni individui, il che gli permette di far nascere una prima comunità cristiana. Appaiono allora delle “chiese domestiche”, distinte dalla sinagoga: coloro che Paolo raduna nella fede in Gesù si incontrano nella casa di uno di loro per la catechesi e per la celebrazione dell’eucaristia.

Rapidamente, Paolo forma dei collaboratori locali che incarica della gestione della nuova comunità, per poterle permettere di andare avanti. E poi, dopo alcuni mesi, parte verso un’altra città dove ricomincia a predicare. Crea così una rete di comunità con le quali resterà in contatto attraverso  lettere, che oggi vengono chiamate “epistole” (in greco antico, lettera è detta epistole).

 

Paolo è talvolta designato come “l’apostolo delle nazioni”, colui che, per primo, avrebbe predicato la fede cristiana ai non ebrei. È così?

 

Paolo predica sia agli ebrei che ai “gentili” (traduzione abituale dell’ebraico goyim, che indica i non ebrei) e fonda così delle comunità “miste”. Tuttavia, non è l’inventore di questa predicazione cristiana rivolta ai non ebrei. Diciamo che Paolo sistematizza quest’apertura.

Definisce del resto molto chiaramente l’identità cristiana come universale, superando la separazione tra ebrei e pagani. “Non c’è più ebreo né greco (…) perché voi siete tutti uno in Gesù Cristo” (Gal 3,28), scrive nella lettera ai Galati. In questa prospettiva, non senza ragione, il filosofo Alain Badiou fa di Paolo l’inventore dell’universalismo.

Resta il fatto che questa missione verso i pagani suscita controversie. Paolo ritiene infatti che i gentili che ricevono la sua predicazione non debbano sottomettersi alle prescrizioni rituali ebraiche, come la circoncisione. Ma tra i discepoli di Gesù, alcuni rifiutano assolutamente questo abbandono della Legge ebraica. La Chiesa di Gerusalemme, diretta da Giacomo, detto “il fratello del Signore”, sviluppa così una contro-missione nelle comunità fondate da Paolo, per far sì che si sottomettano al rispetto delle norme ebraiche.

 

Come ha adattato Paolo la sua predicazione ad un uditorio che riuniva ebrei e non ebrei?

 

Paolo è un uomo con una doppia cultura. Certo è ebreo, conosce l’ebraico e la Torah perfettamente. Ma è nato a Tarso, nell’attuale Turchia, lontano da Gerusalemme, e la sua lingua materna è il greco,  la lingua della comunicazione in tutto il Mediterraneo orientale. Rivolgendosi agli ebrei come ai gentili, integra nella sua predicazione sia elementi provenienti dalla tradizione ebraica – basandosi sulla Torah – e altri tratti dalla filosofia greca. In questo senso, è il primo artigiano della ellenizzazione del cristianesimo.

Si potrebbe prendere come esempio il tema della Chiesa come corpo di Cristo. Paolo riprende qui un’idea greca, poiché, nel mondo antico, molti pensatori vedono la società come un corpo nel quale alcuni organi nobili dirigono mentre gli organi inferiori eseguono. Anche Paolo considera la comunità dei fedeli come un corpo. Tuttavia ritiene che nella Chiesa non ci sia una gerarchia tra i membri, perché tutti hanno uguale dignità.

 

In L’apostolo Paolo, conservatore misogino e antisemita? «È un giudizio totalmente scorretto» - intervista a Daniel Marguerat, a cura di Cyprien Mycinskiin “www.lemonde.fr” del 18 maggio 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

 

Si può dire che Paolo è il fondatore del cristianesimo?

 

Non si è mai presentato come tale. Concepisce la sua parola come un Vangelo il cui fondamento è Cristo. Ma è un pioniere. Prima di lui, negli anni 40-50, il Vangelo era predicato nella sinagoga. Paolo è il primo a portare avanti in maniera sistematica una missione cristiana che si rivolge anche ai non-ebrei, senza che debbano integrarsi nel giudaismo. D’altra parte, deve affrontare problemi inediti, come mostra in particolare la Prima Lettera ai Corinti. Gesù non ha scritto nulla, né ha pensato l’organizzazione di una comunità dopo di sé. Viveva da nomade accompagnato da un gruppo di discepoli, prima di essere messo a morte. Dopo di lui, tutto era da inventare.

Paolo si rivolge ai Greco-Romani che si chiedono come vivere la loro nuova fede giorno per giorno, se possono condividere un pasto con i loro vicini pagani, se devono praticare la ritualità ebraica, se le donne possono avere un ruolo nel culto… Sono tutte domande che Gesù non si era posto direttamente, ma alle quali Paolo ha dovuto rispondere. Quindi non è un fondatore, perché rinvia continuamente a Gesù, ma è un pioniere. Diciamolo chiaramente: l’identità del cristianesimo non sarebbe quella che è senza di lui. È stato il primo a riformulare la parola di Gesù nella cultura del mondo romano, aprendo il cristianesimo all’universalità. Ha compiuto un lavoro di creazione e di innovazione impressionante.

 

Cosa pensa che Paolo direbbe ai cristiani oggi?

 

Penso che manifesterebbe stupore e indignazione davanti alle divisioni del cristianesimo. Credo anche che sarebbe molto afflitto nel constatare la povertà della vita comunitaria dei cristiani. Perché, per lui, è attraverso la vita comunitaria che si manifesta la nuova identità ricevuta col battesimo. Rimproverebbe ai credenti di trascurare ciò che Dio ha fatto di loro con il battesimo, di vivere al di sotto della loro identità, di accettare le discriminazioni dettate dalla società. Il cristianesimo oggi mi sembra stanco, per non dire disfattista. La lettura di Paolo è stimolante. È un autore creativo, ha forti attese rispetto al cristianesimo! Se la cristianità vuole rivitalizzare la sua cultura, sarebbe bene che leggesse e rileggesse le sue epistole. La visione che Paolo ha dell’identità cristiana è il nostro futuro, non il nostro passato.

 

In San Paolo, il futuro del cristianesimo, intervista a Daniel Marguerat, a cura di Christel Juquois in “La Croix” del 21 aprile 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

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