Koinonia Luglio 2023


PRIMO: NON UCCIDERE

 

Contro il luogo comune “se vuoi la pace prepara la guerra” affermiamo con padre Balducci: “se vuoi la pace prepara la pace”. Perché se entri in una logica di guerra, la guerra non finirà mai. Ci saranno solo intervalli tra una guerra e un’altra.

La Carta dei Diritti Umani dell’ONU e la nostra Costituzione bandivano la stessa idea che le controversie internazionali potessero ancora risolversi, come in passato, attraverso uno scontro armato. Ma in realtà è stata solo utopia.

Prima ci fu la guerra fredda, che in realtà fredda non è mai stata: come poter dimenticare i carri armati sovietici a Budapest e poi a Praga? E la sciagurata guerra del Vietnam? Poi lo sgretolarsi dell’impero sovietico creò in tanti l’illusione che i conflitti sarebbero terminati. Fior di sociologi, economisti, politologi profetarono che il mondo avrebbe camminato verso un futuro di benessere e di pace.

Niente di tutto questo. In Russia e nei Paesi dell’Est l’ideologia comunista di stampo staliniano lasciò il posto ad un nazionalismo talvolta venato di fondamentalismo religioso: si pensi a Putin e alla sua ossessione di ricreare la Grande Russia degli zar, sentendosi il padre-padrone di tutti i popoli slavi. D’altro canto il capitalismo mondiale a guida americana (che per decenni si era presentato come baluardo dell’Occidente contro il comunismo internazionale) non trovando più ostacoli venne ad assumere il volto feroce del neoliberismo: nessun freno al libero mercato voluto dai ceti privilegiati, con fratture sempre più incolmabili fra ricchi e poveri.

Ieri tutto era più semplice, almeno in apparenza. O stavi da una parte o stavi dall’altra. O se no, se ritenevi che fosse necessario per tutta l’umanità uscire da una spirale di muri contrapposti fra Est e Ovest, allora manifestavi per la pace, contro la possibilità, tutt’altro che peregrina, di una guerra nucleare.

In realtà per i poveri dei paesi poveri del pianeta la percezione del pericolo di un conflitto mondiale e delle sue conseguenze era ben diversa che da noi. Lì da loro non c’è bisogno di una catastrofe nucleare per conoscere l’inferno. Perché l’inferno ce l’hanno in casa. E oggi tutto questo lo vediamo in diretta: guerre, conflitti etnici, carestie, migranti che affogano nel mare o muoiono di freddo e di stenti lungo la rotta balcanica sono parte dello spettacolo televisivo quotidiano. Talvolta, per non guastarci l’appetito, cambiamo canale; oppure continuiamo a guardare, interessati o annoiati, comunque assuefatti. E ignari. Sì, ignari. Perché solo raramente vengono approfondite la cause di tante miserie, disperazioni, orrori che sembrerebbero inconcepibili in un mondo che vive di sovrapproduzione, dove si spreca una enorme quantità di cibo, mentre centinaia di milioni di persone muoiono letteralmente di fame. Quanta ignoranza sulle cause delle ingiustizie e delle guerre!

Ieri, in epoca di guerra fredda Stati Uniti e Unione Sovietica si combattevano per procura. Decine di nazioni, fra Africa, Asia e America Latina furono teatri di conflitti sanguinosi, col solo scopo di aggiudicare all’uno o all’altro aspirante al dominio mondiale qualche punto in più verso il traguardo finale.

Oggi è tutto più incerto, confuso. L’Occidente, che però è minoritario rispetto al resto del mondo, sembra non aver dubbi sul suo ruolo di guida per tutta l’umanità: un Occidente portatore di libertà e democrazia a tutti i popoli. E molti ci credono, dimenticando i disastri causati in mezzo mondo dalle missioni “liberatrici” degli USA e della Nato.

Dall’altro lato, senza qui parlare della Cina che si è innalzata ormai a seconda potenza del pianeta, c’è un ex impero sovietico dissolto, umiliato, che ha assorbito il peggio del capitalismo occidentale in fatto di consumismo e squilibri sociali, senza recepire, se non in modo solo formale, le istituzioni democratiche. Una Russia che nel giro di pochissimo tempo ha cercato una sua nuova identità in un nazionalismo esasperato e in un tentativo, in parte riuscito, di marcare la sua presenza a difesa dei propri interessi economici e politici in vaste aree dell’Africa e del Medio Oriente.

E poi tutti i paesi del mondo, dai più piccoli a quelli assurti a potenze regionali come la Turchia, l’Iran o Israele che cercano ognuno di fare la propria corsa o appoggiandosi a una delle grandi potenze, o tenendo i piedi in due staffe, secondo l’utilità del momento. E tutto questo accompagnato da una rincorsa al riarmo generalizzato, accelerato dall’attuale guerra tra Russia e Ucraina.

La richiesta perentoria, assoluta, di bandire la guerra, come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per non citare la nostra Costituzione, pare essersi ribaltata nel suo contrario. Sembra oggi che sia la pace a essere bandita. Non a caso i tentativi di papa Francesco di favorire almeno una tregua tra le due parti in conflitto vengono descritti come pie illusioni, naturalmente destinati al fallimento.

E tuttavia la scelta delle armi così decisa, almeno in apparenza, in quasi tutta la leadership dell’Occidente, non lo è altrettanto a livello di base. Indubbiamente il fatto che le sanzioni imposte alla Russia abbiano avuto pesanti ripercussioni da noi, con un’impennata dei prezzi dei generi di prima necessità che ha penalizzato soprattutto i ceti medi e poveri, cioè la grande maggioranza della popolazione, ha reso meno convinte le ragioni della guerra. Ma la forza del “partito della pace”, oltre che su ragioni di ordine etico, si fonda sulla certezza (basata sull’evidenza dei fatti) che in questa guerra sciagurata non possa esserci un vincitore, ma solo morte per i civili ucraini e per i soldati di entrambe le parti.

Sappiamo bene che in questa guerra, come in tutte le guerre, ci sono coloro che ci guadagnano, e molto. Cosa c’è meglio di una guerra per i produttori e i venditori di armi (oggi) e per coloro ai quali verrà appaltata la ricostruzione dell’Ucraina distrutta (domani)? Ma non credo che i loro interessi stiano nei nostri cuori. Casomai dovrebbe preoccuparci il fatto che gli arsenali militari, probabilmente ancora parzialmente pieni a guerra conclusa, richiederanno nuove guerre per essere svuotati, in una spirale senza fine.

Una nota di speranza. I movimenti della pace si stanno moltiplicando e stanno lentamente alzando la propria voce. Sembra che le parole di Francesco sulla pace, in sintonia con tutto il suo messaggio, stiano facendo presa su settori sempre più larghi di popolo.

Sarà solo una mia opinione, forse indotta da una scelta di fondo pacifista, ma credo che una conferma di quanto vado dicendo la si possa trovare anche nell’incredibile miriade di iniziative che hanno caratterizzato le celebrazioni del centenario della nascita di Don Milani, culminate nella presenza a Barbiana dello stesso Presidente Mattarella. In mille manifestazioni, in tutta Italia, hanno risuonato le parole di pace di Don Lorenzo, assurto a simbolo di tutto il movimento pacifista, al di là delle fedi o delle appartenenze ideologiche.

Di una cosa sono sicuro: si è parlato di Milani guardando al presente.

 

Bruno D’Avanzo

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