Koinonia Giugno 2023


I TERMINI ISTITUZIONALI DEL PROBLEMA

SECONDO MONS. MARCEL LEFEBVRE

 

C’è dunque qualche cosa di cambiato nella Chiesa, qualche cosa che è stato cambiato dagli uomini della Chiesa, nella storia della Chiesa.

Non voglio risalire alle origini lontane di questo cambiamento e del mutamento della nostra religione perché bisognerebbe risalire al Rinascimento, alla Rivoluzione Francese, bisognerebbe risalire alla storia di tutto il liberalismo del XIX secolo e a tutte le condanne che i Papi hanno pronunciato contro di esso, in particolare i Papi Gregorio XVII, Pio IX, Leone XIII, S. Pio X. No, non voglio risalire a quest’epoca: voi conoscete i libri, conoscete la storia, la storia del liberalismo, del cattolicesimo liberale. Non è necessario risalire sin là. È stato pubblicato recentemente un libro, il libro di Jacques Ploncard D’assac (Ed. Diffusion de la pensée française) dal titolo «La Chiesa occupata» che riporta tutti i documenti i quali mostrano l’evoluzione avvenuta all’interno della Chiesa durante l’ultimo secolo. Io vorrei risalire solo al 1960, anzi al 1958: a quell’epoca è successo qualche cosa nella Chiesa? Che cosa? È impossibile conoscere i fatti a fondo: personalmente non li conosco; ma di questi cambiamenti ci siamo accorti dal 1958, dopo il conclave che ha eletto Giovanni XXIII. Il card. Roncalli, patriarca di Venezia, quando partì per il conclave, e non era ancora eletto, scriveva già al vescovo di Bergamo: «Il Papa che sarà eletto, bergamasco o no, dovrà cambiare molto nella Chiesa. Dovrà esserci una nuova Pentecoste».

In tutta la sua lettera si sente il desiderio di cambiare in modo profondo la Chiesa ed io penso sia stato lui a denominare il Concilio, “Concilio dell’aggiornamento”. Aggiornamento. È una parola molto pericolosa, può essere usata in senso buono, ma può anche portare a delle conseguenze imprevedibili. Aggiornare la Chiesa: sino a che punto? in quali campi? Poi ho avuto l’occasione di avere tra le mani una conferenza del card. Frings: conferenza fatta nel 1961 a Genova. Mi domando perché a Genova. Nella conferenza del card. Frings si sente lo stesso desiderio di un cambiamento profondo nella Chiesa: egli dice che ormai bisognerà fare della Chiesa Cattolica una Chiesa più universale. Nella sua conferenza, egli dice a chiare note che il compito particolare della Chiesa di oggi è lo sguardo sull’umanità tutta intera come un tutto: «Essa dovrà diventare Chiesa universale in un senso ancora più vasto di quello che sia stato sinora ». Dunque la Chiesa deve diventare universale. Voi direte, che «universale» è la traduzione del termine «cattolica» («cattolica» è la parola greca, «universale» la corrispondente latina). Ma la Tradizione ha dato ormai al termine «cattolica» un senso ben preciso per significare che la Chiesa deve «coadunare» riunire, portare all’unità. «Adunare, coadunare» sono termini liturgici - che si trovano nella nostra messa di S. Pio V - ricondurre all’unità le persone che non sono in unità. Ecco cosa è la Chiesa Cattolica: la Chiesa è cattolica perché riconduce tutti all’unità, all’unità della verità, e all’unità della fede. Ma il termine di «Chiesa universale» è inteso, ormai, come definizione di una chiesa aperta. Molti oggi parlano di «un’apertura», apertura a tutti i movimenti, a tutte le teologie. Bisogna che la Chiesa si apra, ecco l’idea che spunta già nella conferenza del card. Frings, il quale aggiunge: «Ci si può tuttavia domandare se non permanga altrettanto urgente il  dovere di rivolgere lo sguardo a nuove forme dell’annuncio cristiano». Cosa vuol significare? Sono espressioni molto, molto pericolose. Cambiare i termini e le parole dell’annuncio evangelico non vuol forse dire cambiare anche il Vangelo? Come si possono cambiare i termini senza cambiarne anche l’essenza? Non è possibile cambiare in modo indefinito, in continuazione, il modo di esprimere la fede, senza cambiare la fede. Devo raccontarvi un piccolo incidente accaduto nel 1962, quando ero membro della Commissione centrale preparatoria del Concilio. Noi tenevamo le nostre riunioni in Vaticano ma l’ultima fu drammatica.

Nei fascicoli dati alla Commissione centrale ve ne erano due sullo stesso soggetto: uno veniva dal card. Bea, presidente della Commissione per l’unità, e l’altro veniva dal card. Ottaviani, presidente della Commissione teologica. Quando li abbiamo letti, quando io stesso ho letto questi due schemi, ho detto: «È molto strano, sono due punti di vista sullo stesso soggetto completamente diversi, ossia la libertà religiosa o l’attitudine della Chiesa di fronte alle altre religioni». Quello del card. Bea era intitolato «De libertate religiosa»; quello del card. Ottaviani «De tolerantia religiosa». Vedete la differenza, la profonda differenza? Cosa accadeva? Per qual motivo due schemi completamente diversi sullo stesso soggetto? Al momento della riunione, il card. Ottaviani si alza e, segnandolo col dito, dice al card. Bea: «Eminenza, Lei non aveva il diritto di fare questo schema, non aveva il diritto di farlo, perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della Commissione di teologia». E il card. Bea alzandosi dice: «Scusi, avevo il diritto di fare questo schema, come presidente della commissione dell’unità: se c’è un soggetto che interessa l’unità è proprio l’unità religiosa», ed aggiunse, rivolto al card. Ottaviani: «Mi oppongo radicalmente a quanto dite nel vostro schema “De tolerantia religiosa”» .

Allora i settanta cardinali presenti, i venti vescovi ed arcivescovi, di cui facevo parte, i quattro Superiori generali di congregazioni religiose che erano membri della Commissione centrale si sono tutti guardati ed hanno detto: «Ma cosa succederà?». Due cardinali radicalmente in contrasto su una tesi importante come quella della libertà religiosa e della tolleranza religiosa, tesi fondamentali che regolano tutti i rapporti tra la Chiesa e gli stati cattolici, tutti i rapporti tra la Chiesa e le altre religioni. Si è alzato il card. Ruffini, cardinale di Palermo, e disse: «Siamo spiacenti, ma davanti a questa opposizione tra due nostri confratelli su tesi così importanti siamo obbligati a riferire il fatto all’autorità superiore». E voleva dire «al Papa» il quale spessissimo veniva a presiedere le nostre riunioni, ma a quest’ultima non era presente. Malgrado ciò siamo passati al voto, perché alcuni car dinali dissero di voler decisamente votare i due schemi. Si vide, allora, immediatamente l’immagine del Concilio: i cardinali che erano per il card. Bea erano evidentemente i cardinali liberali, con altrettanta evidenza per il card. Ottaviani erano i cardinali conservatori.

 

Mons. Marcel Lefebvre

in “La Chiesa dopo il Concilio”, Roma, giugno 1977

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