Koinonia Giugno 2023


Una riflessione di Vannino Chiti.

Se non siamo in grado di dare vita a una “riforma dei vecchi riformismi” (utilizzo un’espressione di Romano Prodi) siamo anni luce al di sotto del presente, dei nostri compiti e delle necessità.

 

CATTOLICI E PARTITO DEMOCRATICO

 

Dopo il congresso del Partito Democratico e l’elezione a segretario di Elly Schlein si è aperto, nel PD e ancor più intorno al PD, un dibattito sulla presenza e il ruolo dei cattolici nel partito. In questa discussione si sono uniti vari aspetti, che andrebbero separati tra loro: le pregiudiziali rispetto alla nuova segretaria, per le sue convinzioni, non nascoste, sui temi etici; i timori per un ribaltamento negli equilibri interni, dopo che per la prima volta nella storia del PD le primarie hanno cambiato il voto degli iscritti (è incredibile che tanti cantori dello statuto del partito, refrattari alle critiche che diversi di noi negli anni hanno fatto alla elezione del segretario e degli organismi dirigenti da parte di chi una mattina passa dai gazebo, ora si strappino inconsolati i capelli!); l’esigenza, questa sì da cogliere, di un confronto che approfondisca le nostre scelte su temi rilevanti e inediti per la politica, di fronte a una rivoluzione nelle concezioni antropologiche, alle conquiste della scienza che, nelle loro attuazioni, non possono non richiedere regole democratiche, di fronte al cambiamento, che ne segue, delle sensibilità, dei modi di vivere, della espressione dei sentimenti e delle opzioni sessuali. Anche su questo ultimo tema, che merita un dibattito non banale né ristretto all’interno degli iscritti, ma in grado di coinvolgere le varie competenze, si leggono approcci con motivazioni assai diverse. Bisogna liberarsi di una “malattia politica” che ci continua a colpire, come se il PD fosse nato ieri: non si possono leggere le posizioni sui temi etici, come del resto non si dovrebbe fare su quelli economici, sociali, delle riforme della democrazia, delle scelte di politica internazionale come se si dovessero cementare i fondamenti tra i DS, i Popolari e la Margherita. Se non siamo in grado di dare vita a una “riforma dei vecchi riformismi” (utilizzo un’espressione di Romano Prodi) siamo anni luce al di sotto del presente, dei nostri compiti e delle necessità. Il ruolo dei cattolici democratici nel PD o più in generale nella politica italiana non si misura dal numero di loro presente nelle segreterie o nelle assemblee elettive, o meglio non solo né principalmente da quello. Si misura dalla nostra capacità -nostra, perché non rivelo un segreto sottolineando, ora che non ho più funzioni operative nella vita politica e dunque non possono esserci ricadute strumentali e per me di convenienza, che io sono un credente- di dare gambe nella dimensione pubblica all’insegnamento della Chiesa rispetto alle sfide che sono di fronte a noi, dal modello di sviluppo alla dignità di ogni persona, dall’accoglienza dei migranti che si traduca in integrazione al disarmo e alla pace. Faccio riferimento a tre documenti fondamentali: le encicliche di papa Francesco Laudato sì e Fratelli tutti, la Dichiarazione sulla “Fratellanza umana, per la Pace mondiale e la convivenza comune”, firmata ad Abu Dhabi dal papa e dal grande imam dell’Università di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, la più grande autorità religiosa dell’islam sunnita. Bisogna conoscere e diffondere quelle impostazioni, dare loro attuazione concreta in politica, sapendo che è un compito tanto necessario quanto impegnativo, perché occorre fare i conti con i rapporti di forza, le mediazioni, gli inevitabili compromessi, realizzati senza smarrire o peggio tradire la coerenza della prospettiva, gli obiettivi che la preparano e avvicinano. Quelle encicliche e quella Dichiarazione rappresentano innovazioni profonde. Solo cenni schematici, per un percorso da compiere, che non vedo presente nei timori espressi da alcuni cattolici sugli equilibri nei gruppi dirigenti del PD: nel nostro tempo giustizia sociale e giustizia ecologica sono inseparabili e devono guidare la transizione a una nuova convivenza e società; le tre parole guida della Rivoluzione francese e della modernità - libertà, uguaglianza e fraternità - non sono revocate, ma cambia l’ordine che ne segna la priorità. La fratellanza è la base: senza di essa la libertà può scadere, come sta avvenendo, in individualismo egoistico e l’uguaglianza in omogeneità, magari imposta, che opprime ogni creatività personale; la guerra è sempre ingiusta e nell’epoca degli armamenti nucleari causa l’estinzione dell’umanità; nella società non ci sono minoranze, forgiate sulla razza, la cultura, la fede, ma donne e uomini con uguali diritti e doveri; la religione non può mai giustificare violenza, uso delle armi, terrorismo, intolleranza.

 

Nella politica, non solo in quella italiana ma quantomeno europea, si assiste a questo fenomeno: la destra rivendica regole per l’etica e le rifiuta per l’economia; la sinistra è su una linea simile e al tempo stesso contraria, vuole regole per lo sviluppo ed è contraria a quelle che riguardino i diritti civili. Né la destra né la sinistra riescono così a rispondere a domande e bisogni che attraversano la nostra vita. Restringo, ovviamente, ora l’osservazione al mio campo ideale, quello della sinistra. Diritti civili e diritti sociali sono entrambi importanti: devono camminare gli uni e gli altri. Da Zapatero in poi la sinistra europea si è piuttosto concentrata sui primi, abdicando a proposte e programmi sui temi economici e sociali. In alcune concezioni trapela una tendenza a trasformare i desideri in diritti, facendo di questo dogma il fondamento della libertà individuale. Per me la libertà è indissolubile dalla giustizia e dalla responsabilità: se si preferisce, sono inseparabili i diritti e i doveri, non i diritti e i desideri! Ritengo sacrosanti il riconoscimento delle unioni civili, dei diritti delle persone gay, la lotta all’omofobia, il dovere di garantire i più deboli e dunque anche i bambini nati all’estero, non negando loro i certificati di nascita e l’inserimento nell’anagrafe dei Comuni, come impone il governo di destra. Sono contrario, come tante associazioni femministe, alla maternità surrogata, per dirlo in modo comprensibile a tutti “all’utero in affitto”, che premia l’egoismo dei più ricchi e si serve della debolezza della donna, in tante parti del mondo, e (sempre) pratica una visione proprietaria e per me strumentale del corpo femminile. Non mi scandalizza che Elly Schlein abbia su questi temi una posizione diversa e opposta alla mia. Quello che è necessario non è l’abiura degli uni o degli altri, ma il confronto serio, approfondito, una decisione politica che ne tenga conto. E sempre, ribadisco sempre, che sui temi etici come su quelli della Costituzione, sia garantito a tutti il diritto alla libertà di coscienza, non solo all’interno del PD, ma nelle sedi pubbliche e nelle istituzioni.

 

Un’ultima considerazione: se il PD vuole essere una sinistra plurale, moderna ed europea, deve confermare e rafforzare la sua laicità, essere la casa comune dei progressisti, credenti e non credenti. Ecco l’altro punto che segna, o dovrebbe segnare, il nostro presente: non basta più, in Italia, essere un partito di cattolici democratici e non credenti, e neanche di cristiani e non credenti. Il PD deve essere il partito laico dei progressisti credenti e non credenti, perché nel nostro paese il pluralismo delle fedi religiose non è più teoria ma esperienza quotidiana. Nel mondo cristiano la seconda comunità di fede è quella ortodossa e in Italia dopo il cattolicesimo la religione che ha più fedeli è quella islamica. Le novità non indeboliscono il contributo che il cattolicesimo può dare a una sinistra plurale: al contrario lo arricchiscono ed elevano se sapremo comprendere che non siamo alla nascita del PD e alla negoziazione degli equilibri interni per fargli solcare il mare. Sono passati sedici anni. Il PD può naufragare se si ragiona ancora con gli occhiali del passato, che non poco hanno determinato i suoi insuccessi e il rischio di fallimento, a cominciare dalla incapacità di radicarsi sul territorio, di formare e selezionare una classe dirigente fuori da fedeltà a correnti elettorali, senza spessore culturale, dalla indifferenza per l’esistenza di una comunità di donne e uomini, unita da valori e solidarietà. Riprendo le parole con cui ho iniziato questa riflessione: il PD deve “riformare i riformismi” ed essere una forza progressista di credenti e non credenti, con un pluralismo interno ricco di idee ed elaborazioni, non concentrato solo su equilibri di piccolo potere e nella promozione di candidature, capace di proporre un progetto di società e un programma.

 

Vannino Chiti

In www.soloriformisti.it

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