Koinonia Maggio 2023


Credere al Vangelo:

o ha valenza “politica” intrinseca

o è spiritualismo introverso

 

Volendo andare avanti nella scia del Vaticano II, c’è da dire che in questi anni la chiesa ha ricreato un suo assetto liturgico e organizzativo (si pensi alla crisi della “parrocchia” poi rientrata!), un suo clima di spiritualità, un suo stile  di carità, tanto da dare l’impressione che tutto sia ormai sistemato, salvo problemi specifici di modernizzazione figlia del tempo. Quanto basta per non farci rendere conto  che è mancata la risposta alla istanza centrale del Concilio: il nuovo rapporto col mondo e con la storia in quanto Popolo di Dio. Da una chiesa che era insediata nel mondo con tutto il suo “potere”, si è guardato ad una chiesa evangelica che fosse sì “nel” mondo, ma non “del” mondo. È questo il punto nevralgico che ha dato adito ad ambiguità, a tensioni, a conflitti, a rotture e quindi all’abbandono di quel ritorno al senso della storia e della laicità che era nelle attese, mentre ha prevalso il recupero di un sistema sacrale aggiornato nel linguaggio e negli strumenti.

Ragion per cui, la presenza della chiesa nella società è tornata ad essere quella di spazio religioso e di “funzione sacra”,  magari in versione spettacolo. E a far sentire la sua valenza pubblica c’è la voce isolata di Papa Francesco, che però sembra avulsa da una coscienza ecclesiale di base. La fede in questo caso è un a-priori funzionale alla pratica e al sentimento religiosi, non ha più una sua rilevanza obiettiva e comunicativa di verità, per cui ciò che si crede è più il risultato di un sentimento religioso comune che una partecipazione critica o consapevole del “mistero della fede”: e cioè del “credere al vangelo” come forma di esistenza nel mondo. Tutto può essere accettabile dal punto di vista personale (la buona fede!), ma è chiaro che una fede a prevalente carattere “religioso” manca di una sua identità culturale intrinseca e si riduce ad evento emozionale o devozionale. Di conseguenza, essa manca della valenza e testimonianza “politica” dei suoi interpreti, che non sia affermazione rituale di “dottrina sociale” con relativi progetti “cattolici” contrari a derive laiciste: staremmo comunque sul piano del “potere” diversamente motivato, ma sempre lontani da una presenza e coscienza evangelica d’insieme, possibilmente orientativa verso un futuro di speranza e di salvezza.

Se il Concilio - come risulta - ha prodotto inizialmente la crisi della “parrocchia”, presto tornata al centro dell’azione pastorale come se nulla fosse, un sommovimento l’ha provocato anche  nel cosiddetto  “mondo cattolico”,  Azione cattolica compresa, a cui si è cercato di rimediare con l’entrata in campo dei movimenti ecclesiali, alla fine complementari e tutt’altro che risolutivi per una presenza di Popolo di Dio nella storia. Ma è ormai chiaro che niente più tiene, e la chiesa nel suo insieme è tornata ad essere autoreferenziale (ecclesiocentrismo, clericalismo), non risponde più in proprio all’istanza di una testimonianza evangelica senza troppe  mediazioni accessorie, ed è nella necessità di trovare una sua collocazione storica, che presupporrebbe una maturazione “laicale” del Popolo di Dio e quindi una modificazione genetica interna all’evento-fede, se questo non fosse solo esercizio sacrale e ministeriale, ma ritrovasse la sua coscienza messianica e profetica,che manca di un suo soggetto storico.

Inutile dire quanto negli anni sia stato investito in Convegni ecclesiali e progetti culturali che sono passati sulla testa della chiesa esistente, senza mai farci chiedere se fosse quello delle mediazioni il problema, e non invece lo stesso soggetto-chiesa  nel suo credere, lasciato però ad esibirsi in pietismi e spiritualismi modernizzati e invasivi. Di fatto è venuto meno ogni tipo di interazione tra chiesa e presenza politica, e questo ha portato a pensare a nuove formule e a nuove aggregazioni di “cattolici in politica”. Nel presupposto che si trattasse sempre di una “vocazione nella vocazione” da parte di esponenti laici  impegnati nel “temporale” e non invece di una dimensione politica intrinseca alla fede e quindi di una nuova presenza pubblica della chiesa nel mondo. Ma questo presupporrebbe il salto di qualità di cristiani adulti da parte di una base ecclesiale  passiva e negata a pensare e a rendere feconda la propria fede nella storia.

È di questi giorni la Lettera aperta “Chiesa dei poveri, Chiesa fuori”: verso l’impegno politico, il cui primo firmatario è Francesco Domenico Capizzi. Si parte da un collegamento ideale tra Vaticano II e magistero di Papa Francesco, con riferimento alla controversa scelta dell’elezione di Elly Schlein alla guida del PD. Non manca uno sguardo retrospettivo alle fasi critiche di questo impegno, ma soprattutto si  vuole guardare al futuro, per valorizzare “la Storia di donne e uomini (che) chiedono di aprirsi al mondo moderno, oggi in piena crisi di valori”. E qui veniamo subito al punctum dolens o punctum saliens di roncalliana memoria: l’interazione chiesa-mondo, che andrebbe ripensata, reinterpretata e riqualificata globalmente e non solo settorialmente da parte di soggetti di una chiesa povera ed estroversa: una chiesa che non si contenta più di avere una funzione sociale predefinita di “servizio religioso” a carattere civile, per diventare presenza pubblica di annuncio evangelico, predicazione vivente. A parte prendere ispirazione dal vangelo in termini di dottrina sociale e di impegno temporale, non è pensabile che possa avere una rilevanza politica nel mondo una istituzione che all’interno è regolata da un principio prevalentemente gerarchico e verticistico, e cioè di potere sacro, e non gode invece di un ordinamento di “Popolo” e di base, cosa che presupporrebbe cristiani  adulti e liberi. Non abbiamo realizzato che un diverso rapporto col mondo avrebbe comportato un ripensamento e una ristrutturazione della stessa chiesa in senso “laicale”, mentre le due sfere hanno continuato ad andare avanti in maniera parallela secondo vecchi schemi di coordinamento e di giustapposizione  tra esercizio sacrale e impegno temporale.

A parte l’appello che ci viene dalla “Lettera aperta”, se ci guardiamo intorno, vediamo che l’auspicato ritorno alla presenza politica è comunque inteso in termini di “cattolici e politica”, e quindi come vocazione specifica “nel temporale”, e cioè  come impegno a difesa di principi e di valori “cristiani” a confronto di scelte antropologiche ed etiche di segno diverso. Se ne può avere una riprova dal settimanale regionale di informazione “Toscana oggi” del 2 aprile, che torna a ripetere il mantra che “l’impegno deve essere culturale” in vista di un “Rinascimento” cristiano.

È possibile pensare ad una rinascita e vocazione culturale senza una rigenerazione della fede stessa in tutto il suo potenziale? Chi, dove e come deve provvedere a questo? Si direbbe che non si fa che costruire cornici per quadri  di fatto in via di sparizione. Non è questione neanche di essere innovatori o conservatori, ma di essere semplicemente veri ed autentici al di là di sigle e di identità posticce. Davanti a  processi reali in atto, sono inutili forzature e resistenze, se non si ritrova la vena originaria e la convinzione che possiamo dissetarci alla fonte di acqua viva e non fare ricorso a cisterne screpolate. Il recupero di punti di partenza validi prima ancora che di traguardi sognati ci deve stare a cuore!

Ecco perché il ritorno al clima “culturale” del Vaticano II, sia pure attraverso tracce  secondarie, può essere opportuno e salutare: respirare quell’aria  ci fa sentire destinatari e portatori di un messaggio che è come la voce del vento, che non sappiamo di dove venga e dove ci possa portare. Non è questa la libertà di cui abbiamo bisogno in tempi di pianificazioni pastorali che piovono sul bagnato? Banco di prova e “terra di missione”  torna ad essere l’Europa, cantiere e crogiuolo  in cui una chiesa deve ritrovare e ridire il vangelo sine glossa e senza vergogna, “poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco” (Romani 1,16). Saremo capaci di ritrovare questa ispirazione e vena  evangelica? Ma questo come soggetti pienamente coinvolti con mano all’aratro!

 

Alberto B.Simoni op

.