Koinonia Maggio 2023


Un’analisi di J.B.Metz del 1978, ma siamo sempre lì!

 

“Scisma” tra chiesa e popolo e la teologia come paravento

 

La situazione religiosa del mio paese (Germania) sembra caratterizzata da un crescente ‘scisma’ fra chiesa e popolo. A quanto pare, la chiesa, pur continuando ad avere un suo ‘ambiente’ [Milieu] nettamente delineato, ha sempre meno ‘popolo’. Se non vado errato, essa si trova ad aver a che fare sempre di più con i dubbi del suo popolo, della sua ‘gente semplice’: con dubbi ben più grevi, per essa, di quanto non siano quelli dei suoi teologi e dei suoi intellettuali. Si va diffondendo un’apostasia silenziosa; nonché crescere, diminuiscono i casi in cui il popolo s’identifica con la chiesa.

Si cercano i colpevoli. La ‘teologia moderna’ è messa alla gogna. «Confonde le idee alla gente», si dice. «Il popolo non sa più dove sbattere la testa». Di fatto, invece, il problema sarebbe tutto sommato innocuo se, in definitiva, l’avesse provocato solo una teologia senza scrupoli. La crisi in realtà ha radici ben più  profonde. L’ultimo concilio non l’ha provocata, ma solo svelata. La chiesa paga lo scotto di un rapporto eccessivamente populistico-protezionistico col popolo; paga lo scotto d’aver permesso che finora il popolo fosse troppo poco il soggetto nella chiesa, che nel linguaggio di questa ben poco si rispecchiasse la storia dell’esistenza e della sofferenza del popolo, paga lo scotto d’essere stata, sì, `chiesa per il popolo’, ma troppo poco ‘chiesa del popolo’.

Chi ricerca le cause della crisi solo `negli altri’, nei teologi e nella `gente’ medesima, nel suo crescente indifferentismo, nel suo scetticismo rinunciatario, nella sua crisi di identità religiosa, non salva nulla, non fa altro che tracciare altre esiziali linee di separazione fra chiesa e popolo. Di fronte a questa linea di evoluzione si sente raccomandare non di rado un deciso isolamento, un nuovo fondamentalismo chiuso e infantasioso. Il parlare del `piccolo gregge’ cade quanto mai a proposito, eppure ha il sapore involontario d’un meccanismo di difesa, di asserto autoprotettivo d’una chiesa borghese elitaria [Milieukirche] più che di un richiamo rischioso e liberante a quella `chiesa degli umili’ di cui ha parlato Gesù. L’underground religioso si espande timidamente; s’importano subculture e controculture religiose, che però restano tagliate fuori dal popolo per lo meno quanto la chiesa ufficiale di cui intendono essere correttivo o contraltare.

E la teologia? Al suo protagonista pressoché esclusivo - il professore  o il teologo di professione - riesce indubbiamente gravoso esporre una teologia ‘per il popolo’, e tanto più, enucleare una teologia ‘del popolo’, mettersi a scrivere la biografia mistica del prossimo. La teologia, anche se progressista, se socialmente e politicamente impegnata, è teologia libresca, teologia `culturale’ [Bildungstheologie], parla delle opinioni e dei dissensi degli addetti ai lavori assai più che della storia religiosa vissuta e sofferta dalla gente, della mistica del popolo cristiano, quasi sempre ignota a se stessa.

Un ideale di scienza standardizzata fa sì che nell’ambito della teologia si diffonda la fobia della volgarizzazione, fra i teologi la fobia di contatti con i dubbi inespressi della. gente. Lo slogan ecclesiologico dell’ultimo concilio, `popolo di Dio’, l’abbiamo canalizzato verso una strana chiusa: ha finito con lo sfociare in un dibattito sui ministeri ecclesiastici; il tema del popolo, che il concilio aveva scolpito in cima all’ordine del giorno, è rimasto praticamente tagliato fuori. Certo, soprattutto in sede di teologia pastorale, si parla molto di ‘chiesa per il popolo’, ma si guarda ben poco alla ‘chiesa come popolo’ e, men che meno, alla ‘chiesa del popolo’. La teologia è una bella parvenza che cela il crescente scisma fra chiesa e popolo. Eppure a me sembra che il problema sia quasi tutto qui: la ‘chiesa per il popolo’ può diventare una ‘chiesa del popolo’?

 

Johann Baptist Metz

da La fede nella storia e nella società, Queriniana 1978, pp.134-35

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