Koinonia Aprile 2023


VENTI ANNI FA LA PASQUA DI FREI GIORGIO CALLEGARI

 

Il tempo passa rapido! Quest’anno, 2023, si compiono venti anni da quando frei Giorgio Callegari, frate domenicano di Venezia, missionario in Brasile e fondatore del CEPE e di Colonia Venezia, ci ha lasciati. È stato il 26 dicembre del 2003, e sembra ieri! Ricordo il ritorno dall’Italia, a fine aprile di quell’anno, di un frei Giorgio strano e stanco come mai lo avevamo visto, con febbre persistente, brividi di freddo e il ragionare scombinato. Ricordo il “precetto formale” che, come suo priore, gli ho dovuto dare per indurlo ad andare dal medico: cosa impensabile per uno come lui, che in vita sua mai aveva assaggiato la minestra dell’ospedale. Poi, agli inizi di maggio, la scoperta del male che non perdona e l’intervento d’urgenza alla testa: era un tumore in fase già molto avanzata. Dopo l’operazione ben riuscita, ma inutile, i medici gli avevano dato un massimo di nove mesi di vita. Sono stati otto mesi, fino al giorno di Santo Stefano. Fu realmente una lunga agonia, un vai e vieni tra l’ospedale e il convento Sagrada Familia di San Paolo.

Frei Giorgio era venuto in Brasile nel 1966, quando era ancora studente di teologia. Qui aveva frequentato lo Studium domenicano di Perdizes a San Paolo e si stava preparando per l’ordinazione sacerdotale. Il Brasile si trovava in quel momento sotto la morsa della dittatura militare, contro la quale si era sviluppata una forte resistenza popolare. Anche Giorgio, assieme ad altri confratelli domenicani, si era fortemente impegnato in questa lotta per la libertà. Identificato e incarcerato, aveva passato un anno in prigione, con diritto alle più atroci torture. Dopo era stato liberato, ma espulso dal paese. È vissuto per alcuni anni in Perù e in altri paesi dell’America Latina. La nostalgia del suo Brasile è stata più forte e lui è rientrato ed ha vissuto da clandestino in una di quelle favelas della periferia di San

Paolo dove, ancora oggi, la polizia non ha nessuna voglia di addentrarsi. Qui ha conosciuto da vicino la sofferenza e la grande miseria in cui vivono i poveri, che sono la maggioranza in questo paese. Ha conosciuto il grave rischio che minaccia il futuro dei bambini e adolescenti, figli del “popolo in più” delle favelas brasiliane. Si è dato da fare ed ha creato vari Centri per la Gioventù, dove questi ragazzi sono accolti, protetti dai pericoli e dalla “scuola della strada”, alimentati e preparati alla vita. Per creare e mantenere questi progetti ha fatto appello alla generosità di tante persone generose in Brasile, in Italia e Svizzera.

Fu in queste circostanze che io ho scoperto il “mondo di Giorgio”: la fitta rete di amicizie che lui coltivava in Brasile, in Italia e Svizzera, e che gli permetteva di portare avanti la grande Opera che aveva creato, con Colonia Venezia e gli altri Centri della Gioventù. Gli amici italiani si sono dati il turno per stargli vicino il più possibile. In otto mesi di malattia gli sono mancati per una sola settimana! Sempre c’era qualcuno che, attraversato l’oceano, gli faceva compagnia, dandogli conforto e amicizia. Io li ospitavo nel nostro convento e così sono diventati anche miei amici. Un po’ alla volta, in quegli otto mesi, l’Opera di frei Giorgo è entrata a far parte anche della mia vita e delle mie preoccupazioni quotidiane. Ricordo che poco prima di morire mi aveva raccomandato di aiutarlo a portare avanti la grande impresa. In realtà lui non ha mai smesso di credere nella possibilità di guarire e riprendere il suo posto nella vita.

Negli ultimi mesi, i medici ci avevano messo in guardia sul rischio grande di un attacco di embolia polmonare; e di fatto così è stato. Il rischio era ancora più grave date le difficoltà per superare le barriere della burocrazia, quando si trattava di riportarlo d’urgenza in ospedale. Gli amici italiani si erano offerti di finanziare il sistema “Home care”, montando praticamente un “ospedale” in casa. Un sistema che dava maggiore sicurezza, ma aveva il difetto di essere... carissimo! Ho dovuto parlargliene, perché lo sapesse. La risposta è stata un ‘no’ secco: “no, quelli sono sanguisughe, e togliamo i soldi per il pane dei nostri ragazzi. E poi a che serve: da qui a poco starò meglio!”. Mi prese un nodo alla gola e dovetti uscire dalla stanza.

Ricordo che siamo arrivati alla festa di Natale. La vigilia era stato un andirivieni di amici che venivano al convento per fargli gli auguri e stare un po’ con lui: erano tanti! Alla sera frei Giorgio ha partecipato alla Messa della Vigilia nella nostra chiesa Sagrada Famiglia, assieme agli amici Paola e Luciano Scavia, gli “angeli custodi” di turno in quei giorni. Con Paola Scavia e Giulia, la cuoca del convento, avevamo preparato una bella cenetta di Natale. Giorgio era raggiante!

La festa è continuata il giorno dopo. A pranzo avevamo con noi Oliviero, direttore dell’Agenzia Ansa del Brasile, amico fedele e prezioso collaboratore da vari anni. Oliviero era in partenza per la Patagonia con un amico, ed era venuto a salutare Giorgio. Ricordo la lunga stretta di mano tra i due: era l’ultima. Giorgio, con quelle sue manone, che di mani ne poteva stringere tre alla volta! Alla sera, prima di andare a dormire, è venuto in carrozzella nella sala della TV dove eravamo riuniti, per dirci la sua riconoscenza per il bel Natale che gli avevamo preparato. La mattina dopo si è svegliato tutto allegro, ha chiesto alla Giulia di preparargli quel solito uovo stracciato che gli piaceva tanto. Lo abbiamo lasciato a fare colazione in stanza, assistito dall’infermiere Renato e siamo andati in refettorio per fare anche noi colazione. Poco dopo Renato è venuto di corsa a chiamarci. Era pallido in viso: frei Giorgio sta male! Lo abbiamo trovato boccheggiante, in cerca di respiro, nella lotta finale tra la vita e la morte. Era l’embolia polmonare annunciata dai medici, e sarebbe stato impossibile e inutile portarlo in ospedale in quelle condizioni. In pochi minuti ci ha lasciato. Gli ho dato l’assoluzione “in articulo mortis” ed abbiamo cantato la Salve Regina, come usiamo fare noi domenicani riuniti attorno letto del confratello morente.

Mai dimenticherò l’ultimo omaggio nel cimitero dove lo abbiamo sepolto. Si dovette attendere un po’ per la preparazione della tomba: la cassa da morto formato GG che avevo provveduto, date le dimensioni del suo fisico, non riusciva a entrare nel loculo troppo stretto. Erano presenti nel cimitero più di un centinaio le persone, venute a dargli l’estremo saluto. Mentre si aspettava, si levava la voce di uno e dell’altro per dare testimonianza della amicizia con Giorgio, del tanto bene che aveva ricevuto dalle mani e dal cuore generoso del frate buono. Ogni tanto qualcuno intonava uno dei canti che erano piaciuti a Giorgio, come “Bella ciao”, “Gracias a la vida”, ‘A jangada’, e tutti rispondevano in coro. Fu un momento emozionante di omaggio spontaneo, indimenticabile!

Quando siamo tornati in convento, eravamo un gruppetto di amici e collaboratori più stretti di Giorgio, seduti attorno al tavolo della cucina. Ci siamo guardati negli occhi e ci siamo chiesti: e ora che facciamo? Era chiaro che Giorgio ci aveva lasciato una eredità non indifferente da portare avanti. È stata la grande sfida di questi anni! Con giusto orgoglio possiamo constatare che sono passati ormai venti anni e la bella Opera di Giorgio è in piedi e continua la sua missione.

Il suo grande ideale è più che mai vivo nel cuore di tanti amici, antichi e nuovi, di tante persone di buona volontà che, ispirate dall’esempio di lui, si sono rimboccate le maniche e stanno dando continuità al suo ‘sogno’ di un mondo differente, più umano e giusto.

Non è facile, in questo breve spazio, fare memoria di questi venti anni di lotte, di conquiste, ma anche di grandi difficoltà. Mi è capitato molte volte di desiderare che Giorgio potesse tornare nella sua Colonia Venezia e nei Centri della gioventù di San Paolo. A volte, in momenti di festa e di allegria dei nostri ragazzi, mi ha preso un sentimento di tristezza, per il fatto che Giorgio non era presente.

Pensavo che con certezza non gli sarebbe dispiaciuto lasciare, almeno per un po’, il suo paradiso e tornare tra di noi, in mezzo ai suoi ragazzi, e fare festa con loro! Se lui venisse di nuovo tra di noi a Colonia Venezia di Peruibe incontrerebbe tante belle novità: i mosaici della cappella completati, il nuovo grande salone per gli incontri e le celebrazioni, il campo sportivo coperto, la banda musicale, l’orchestra, il ballet e tante altre cose, piccole e grandi, che rappresentano le conquiste materiali di questi anni. Ma troverebbe soprattutto la Colonia piena di ragazzi, piena di vita! È il bel progetto educativo, ormai consolidato da tanti anni di esperienza, che è diventato un riferimento esemplare per altri Centri della gioventù.

A San Paolo frei Giorgio troverebbe una bella sorpresa: il suo progetto della Escola Esperança pienamente realizzato, con più di cento giovani delle favelas che frequentano i suoi corsi e si preparano per il mondo del lavoro, per una vita degna e onesta. Vicino alla Escola Esperança troverebbe il Centro Santa Terezinha e un po’ più in là il Centro frei Tito de Alencar, e ancora più lontano, nelle favelas della regione Nord, i Centri Vila Nova Curuçá, Cidade Nova e Jardim Japão, che lui ha aiutato a fondare ed ha appoggiato in tutti i modi. Vedrà che questi Centri per la Gioventù, grazie agli aiuti che vengono loro per la mediazio ne del CEPE, continuano la loro missione di accoglienza e formazione dei figli del “popolo in più” che lui ha tanto amato e per i cui diritti ha tanto lottato.

Me lo immagino a mettermi la sua manona amica sulla spalla e dirmi nel suo bel dialetto veneziano: “Te si on sorze de tera ferma, ma te si bravo!”. E io gli direi: “E ti te si na pantegana de laguna, ma anca ti te si sta proprio bravo!”. A dire il vero, questo elogio di Giorgio se lo meritano tutti: i responsabili, gli educatori e funzionari del CEPE e di Colonia Venezia e Escola Esperança, gli amici brasiliani,  italiani e svizzeri, che in tutti questi anni, lavorando insieme, hanno reso possibile la continuità di questa “profezia”: che un mondo differente è possibile! Giorgio grazie del tuo dono, e ora che sei più vicino alla divina Provvidenza, dalle ogni tanto un bel pizzicotto perché ci aiuti, che qui la battaglia è grande!

 

Fra Mariano Foralosso op

In Corrispondenze, Amici Colonia Venezia, 4/3,23 

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