Koinonia Aprile 2023


VATICANO II – ISTRUZIONI PER L’USO

 

Recentemente mi è capitato, su suggerimento di p. Alberto, di scorrere un numero della rivista francese Lettres, uscito nel 1985, poco dopo la convocazione del sinodo straordinario, sinodo che doveva “ridare al concilio un’attualità che i 20 anni trascorsi avevano un po’ offuscato e, nello stesso tempo, far rinascere un dibattito fondamentale per il futuro della Chiesa”. Oggi che siamo nuovamente, dopo 40 anni, in tempo di sinodo, sembra che le cose da allora non siano molto migliorate (o forse sono solo più confuse?), se si esclude la nomina di un papa veramente evangelico che però stenta ad impregnare del suo stesso spirito la Chiesa che a lui dovrebbe far riferimento.

Nell’editoriale, p. Chatagner, riportando i tre obiettivi che Giovanni Paolo II aveva dato al sinodo – rivivere lo straordinario clima del concilio, verificarne ed approfondirne l’applicazione, favorire una costante integrazione del Vaticano II nella Chiesa – si chiede: “Come non applaudire? Ma anche come non chiedersi se tutti danno lo stesso significato alle stesse parole”. Infatti era appena uscito il libro del cardinal Ratzinger, nominato da papa Wojtyla al prestigioso incarico di Segretario del Santo Uffizio, libro che non era altro che un processo allo stesso Concilio, e non a qualche sua deformazione come sosteneva l’autore, nelle sue intuizioni più essenziali, come il rapporto fra la Chiesa e il mondo.  Concludeva l’editorialista: “Certo Ratzinger non è la Chiesa, per fortuna!”

Diceva allora Chatagner, e oggi non si può che riconfermarlo: “Bisogna che il sinodo segni la fine di questo movimento che va controcorrente rispetto al Concilio, ricordando, secondo l’espressione di Paolo VI che ‘i decreti conciliari, più che un punto d’arrivo sono un punto di partenza verso nuovi obbiettivi’”.

Più in là nella rivista, padre Chenu parla di “ricezione creativa” e dice:“Se dovessi ricapitolare i benefici di questa ‘recezione creativa’ che tiene aperte le prospettive del Co ncilio, riprenderei le parole di un rapporto inviato al Segretariato per i non-credenti, a Roma, nel 1984, nel quale il rettore dell’Università Saint-Paul di Ottawa traccia queste linee direttrici:

 

“Siamo passati

Da una Chiesa clericale a una Chiesa Popolo di Dio

Da una Chiesa di cristianità a una Chiesa missionaria

Da una Chiesa del rito a una Chiesa della Parola

Da una Chiesa delle norme a una Chiesa dell’esperienza umana

Da una Chiesa uniforme a una Chiesa plurale

Da una Chiesa di adattamento al mondo a una Chiesa di partecipazione ai mutamenti del mondo

Da una Chiesa garante dell’ordine sociale a una Chiesa dalla parte dei poveri

Da una Chiesa provveditrice di servizi religiosi a una Chiesa comunità responsabile.

 

Le direttrici di questa ‘recezione creativa’ sono più che mai attuali. Tornando all’editoriale, l’autore cita Paul Ricoeur quando parla di come “il cristianesimo e la modernità abbiano un rapporto complesso, fatto nello stesso tempo di vicinanza e di distanza… c’è una ‘estraneità ‘del cristianesimo che non può essere distrutta, se non distruggendo la fede stessa”. Ma bisogna che essa sia colta per quello che è, invece di apparire come “una stranezza che diverte, ma non ‘scandalizza’ più nessuno. Bisogna, per questo ripensare teologicamente le verità essenziali del cristianesimo e riformularle nella lingua della cultura contemporanea, sapendo evidentemente che questa espressione sarà plurale come la stessa cultura: il Vaticano II è stato l’ultimo Concilio dell’Occidente”.  E conclude: “Il cristianesimo non deve soltanto ascoltare il mondo, deve anche rispondere. Ma come rispondere senza ascoltare? Come rispondere senza inventare? È dal dialogo fra la parola del mondo e la Parola di Dio che nascerà quella risposta: saranno i cristiani di oggi a scriverla”.

 

Donatella Coppi

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