Koinonia Aprile 2023


TUTTI I DIAVOLI DELLA BIBBIA

 

Questa estate, durante le udienze del mercoledì, il papa si è soffermato a lungo sulla credenza cattolica negli angeli e nel diavolo. Ne è nata, sorprendentemente, una vivace discussione sui  giornali, limitata però al motivo demoniaco, con interventi di «laici» e di credenti: si sono ascoltate  voci di consenso e prese di posizione di dissenso (anche di matrice cattolica); chi si è spinto a deridere il punto di vista del papa e chi ha creduto di vedervi un dogma cattolico al pari di altri e  quindi un patrimonio della chiesa, degno comunque di rispetto se non di accettazione. Non sono  mancate neppure disquisizioni sottili a quale dei due fronti opposti spettasse l’onus probandi. In realtà, il papa si era costantemente appellato alla Bibbia, fonte religiosa quanto mai autorevole agli  occhi dei credenti, siano essi cristiani o ebrei. A questo punto si potrebbe essere tentati di concludere che, per i credenti, è già stata detta l’ultima parola e che la credenza negli angeli e nel  diavolo appare un dato inattaccabile. Eppure sembra necessario porre l’interrogativo: la credenza  suddetta fa parte integrante del messaggio religioso della Bibbia, oppure è da annoverare tra i detriti di natura culturale che un’interpretazione rigorosamente storica dei testi sacri si lascia dietro senza  rimpianti? Certo, a una lettura cosiddetta fondamentalista della Bibbia, creduto libro calato direttamente dal cielo sulla terra, questo punto di domanda apparirà addirittura blasfemo. Ma così,  volenti o nolenti, saremmo risospinti al tempo delle discussioni sul famoso «Fermati, o sole!» di Giosuè e della condanna ecclesiastica di Galileo.

Oggi anche per i cattolici la lettura storica dei testi biblici rappresenta un’acquisizione di pacifico  possesso. Solo che la stessa cosa non si può dire dei risultati concreti del metodo astrattamente accettato. Ebbene, sembra di poter sostenere, con cognizione di causa, che quanto la Bibbia afferma degli  angeli e del diavolo ha valore funzionale, puramente funzionale. Intendo dire che non appartiene al  messaggio vitale che si vuole comunicare, ma costituisce un modo simbolico, immaginario,  culturalmente datato, proprio di ristretti circoli, di esprimere articoli fondamentali di fede. In  concreto, se si crede in un Dio trascendente, appare logico che uomini di cultura  monarchico-orientale se lo rappresentino nelle vesti di un potente sovrano seduto in trono e  circondato da una variopinta corte di angeli che lo esaltano e lo servono (cf. Isaia 6,1ss). Se si è particolarmente sensibili alla trascendenza e spiritualità di Dio, con ogni cura si eviterà di metterlo a immediato contatto con il mondo e gli uomini, introducendovi quali mediatori gli angeli. Questi,  intatti, sono per definizione messaggeri di annunci divini. Al contrario, la corrente cosiddetta  javistica, per esempio, non tradisce alcuno scrupolo nell’umanizzare Dio e quindi non ha bisogno di  ricorrere agli angeli per confessare ed esprimere la sua fede in Dio che si comunica agli uomini.

Soprattutto, è fuori dubbio che le Sacre Scritture ebraiche conoscono, come mediatori paradigmatici tra Dio e il suo popolo, Mosè e i profeti, dunque degli uomini. Procedendo sempre per esemplificazioni, se nei vangeli di Marco, Matteo e Luca è un angelo che  annuncia alle donne stupefatte di fronte al sepolcro vuoto di Gesù: «Il crocifisso è risorto!»; da parte sua, Paolo, teologo avvertito e raffinato, afferma con forza di aver ricevuto l’annuncio della  risurrezione di Gesù per diretta rivelazione divina, mentre arriva all’umanità attraverso la parola  degli apostoli. In ogni modo le Scritture cristiane stanno uniformemente ad attestare che Gesù di  Nazaret è l’unico mediatore tra Dio e l’uomo (cf. prima lettera a Timoteo 2,5) e il messaggero,  dunque l’«angelo», della parola definitiva del Padre al mondo (cf. il vangelo di Giovanni). Per  questo forse non è casuale che nelle tradizioni evangeliche più antiche, delle quali non fanno parte i  racconti del natale e dell’epifania di Gesù, sia assente qualsiasi «svolazzo» angelico.

Quanto al diavolo o a Satana, le stesse testimonianze bibliche mostrano uno sviluppo culturale di  approccio al problema, assai avvertito, della sollecitazione al male. Nel libro della Genesi il  linguaggio appare di timbro decisamente mitologico: è il serpente, «il più astuto animale della  campagna», che induce i progenitori alla ribellione contro Dio (cf. cap. 3). Molti secoli dopo,  secondo il libro della Sapienza, scritto originariamente in greco e nato nell’illuminata diaspora ebraica di Alessandria d’Egitto, il peccato originale di Adamo ed Eva fu consumato «per invidia del  diavolo» (cf. 2,24). Scrivendo ai cristiani dl Roma, Paolo di Tarso spiegherà la tragedia originaria  dell’umanità facendo appello a un meccanismo perverso interno all’uomo, a una specie di Superio schiavizzante la persona, da lui chiamato teologicamente «il Peccato» (cf. 5,12ss). In sintesi, tre  modi diversi per spiegare la medesima realtà: un male oscuro è presente nell’esistenza e nella storia  umana fin dalle origini.

Il prologo del libro di Giobbe mette in campo, come tentatore del pio protagonista di questo  dramma religioso, un essere celeste appartenente alla corte di Dio, appunto Satana, vale a dire il  tentatore. Più tardi, ormai pienamente «demonizzato», Satana ha fatto la sua apparizione nella vita  di Gesù: così i racconti evangelici delle sue tentazioni. Ma il vangelo di Matteo ci ha conservato la  seguente invettiva del Maestro a Pietro: «Vattene via da me, Satana!» (16,23). È stato dunque  l’apostolo a rivestire storicamente il ruolo del grande tentatore di Cristo. E la lettera di Giacomo  chiarisce, in linea di principio, da dove viene l’istigazione al male: dall’interno dell’uomo,  esattamente dalla sua cupidigia (cf.1,14).

Perciò non sembra un azzardo ipotizzare che il diavolo o Satana sia una proiezione all’esterno di un  dinamismo interno che spinge la persona al male. In ogni modo, al di là delle differenze culturali  che li separano, i testi biblici concordano nel respingere ogni banalizzazione delle forze del male  presenti e operanti nell’esistenza umana e nella storia. Esse hanno appunto un volto «demoniaco»,  terribile; sono l’adeguato contraltare alla potenza della grazia liberatrice, che ogni pagina biblica  proclama quale vangelo, lieto annuncio.

 

Giuseppe Barbaglio

in “il manifesto” del 25 settembre 1986

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