Koinonia Marzo 2023


Prefazione al libro di Roberto Ugolini “Turchia, terra di incontri e di frontiere”*

 

IL VANGELO DEI POVERI

 

Ventun anni in Turchia per rispondere alla chiamata del Signore. Ventun anni trascorsi, nella condivisione di vita e cultura, con i curdi, i turchi, i rifugiati afghani, iraniani, siriani e i migranti di ogni provenienza. Ventun anni donati, nella gioia di dare alla propria esistenza un significato più profondo, una prospettiva più ampia. La famiglia Ugolini – Gabriella, Roberto e la loro figlia Costanza – ha vissuto così dal 2000 al 2021, con il cuore aperto ad un grande orizzonte, grande quanto questa terra percorsa da patriarchi, santi e profeti. Da est a ovest. Da Şanlıurfa, la terra di Abramo, fino a Van, estremo lembo orientale del Paese, patria di Gregorio di Narek, fino a Istanbul, l’antica Costantinopoli, città dai tanti colori, con lo sguardo rivolto a occidente.

Le pagine di questo libro non sono la storia di una grande impresa, ma la testimonianza di un’esperienza intensamente vissuta. Episodi di vita. Una raccolta di racconti per entrare a contatto con la realtà di un mondo abitato dai poveri e dagli ultimi della terra, ma trasformato alla luce del vangelo. Riflessioni profonde e semplici su incontri, esperienze, relazioni intrecciate negli anni e nel cammino, che ci insegnano a guardare la realtà di un mondo così variegato con gli occhi della fede.

 

Il vissuto nella relazione

 La famiglia Ugolini ci offre un luminoso esempio di missione familiare. Un modello di famiglia che ha voluto e saputo inculturarsi, inserendosi nel tessuto sociale della Turchia attraverso relazioni semplici e sincere, senza nessuna pretesa. Inculturazione significa innanzitutto dimenticarsi, andare oltre il proprio modo di essere e di pensare. Ma questo esige un movimento, un desiderio di mettersi in cammino. La famiglia Ugolini si è messa in viaggio, lasciando patria, casa, sicurezze e benessere. Per andare in missione. Per essere segno eloquente e concreto della dinamica della vita di ogni cristiano, chiamato a camminare tra incertezze e speranze, ad essere sempre in movimento, perché la certezza assoluta di una stabile dimora è sempre più avanti. Sempre più in alto.

Anche imparare una lingua è un viaggio, che inizia in un punto preciso, con un primo passo, una prima parola, e segue un suo percorso, che non può mai dirsi concluso. Un cammino spesso arduo, ma indispensabile per costruire la comunione. C’è bisogno di ascoltare per conoscere la verità, per comprendere l’altro semplicemente nella sua verità ed entrare in una relazione sincera. Ma questo può avvenire solo conoscendo la sua lingua. “Conoscere la lingua del posto è un’opportunità unica perché permette di entrare in contatto con persone…”. Ricchezza di conoscenza che alla famiglia Ugolini non manca. Parlano l’inglese, il francese, il turco, il persiano (Costanza conosce anche la lingua curda). Ricchezza donata e messa a servizio per entrare in contatto con le persone, per conoscere la loro vita e la loro sofferenza. E farsi prossimo.

 

La vita

Il libro apre davanti ai nostri occhi innumerevoli storie di persone, esistenze diverse, molteplici appartenenze. Storie di profughi e di migranti, incontri con la loro realtà, coinvolgimento nelle loro problematiche. Ne delinea la mentalità, ne descrive il modo di fare e di vivere. Attraverso queste pagine facciamo conoscenza con le tragiche situazioni di vita di quelle persone che, sconosciute alla società, rinnovano nel nostro tempo la vicenda del samaritano, con il suo carico di dolore e di speranza. Perché ad ogni vicenda penosa e drammatica risponde il coraggio e la fiducia di chi non esita a mettersi in gioco per trasformare in gioia ogni tristezza.

 

I significati del vissuto

Quello che leggiamo tra le righe di questi racconti non è soltanto una descrizione di avvenimenti, ma è un tentativo di rileggere e riflettere su quanto si è vissuto, di scoprire e rivelare nelle vicende narrate il mistero dell’altro, della sua storia, della sua vita. Ci vuole coraggio per lasciarsi interrogare da situazioni che sembrano senza risposta, da quelle vicende che lasciano impotenti, senza nessuna, o con pochissime, possibilità di intervenire per cambiare o migliorare la realtà.

Per la famiglia Ugolini quello che veramente conta è la “scelta di vita condivisa”. Una scelta che non ha in sé soluzioni definitive, ma lascia aperta la tormentosa domanda: “Potrà cambiare le cose, questo nostro vivere semplicemente accanto?”.  Gli Ugolini non hanno trovato una risposta razionale a questo interrogativo, ma accettando di non capire tutto hanno scelto di restare radicati all’essenziale: “quello che stiamo vivendo in questa terra con questi compagni di cammino è tutto ciò che possiamo fare e dare”. Questa è la sfida più eloquente – ciò che possiamo fare e dare. Se la vita cristiana di ciascuno di noi fosse dono di “tutto ciò che possiamo fare e dare”, anche la più modesta offerta, come le due monetine della povera vedova del tempio, renderebbe diversa la Chiesa, e anche il mondo.

 

Il senso del vissuto

La perla, scoperta nella chiamata e comprata dopo aver venduto tutto, è la fede, la fiducia in Dio, l’incessante ricerca del Regno, in se stessi e nelle relazioni. Gli Ugolini hanno vissuto la loro esperienza nella continua preghiera e nella lettura costante della Bibbia. Alla luce della parola di Dio hanno imparato ad interpretare la realtà e ad agire in una dimensione soprannaturale. Davanti alle tragedie umane non dobbiamo smettere di perseverare nel credere alla “sacralità” della relazione umana, malgrado il male colpisca le persone fino a farle vivere talvolta ai margini della disperazione. L’esperienza missionaria degli Ugolini ha un punto fermo: “L’importanza delle vite degli altri”. Esistenze lontane da cui si sono lasciati coinvolgere, di cui non hanno temuto l’impatto, spesso violento, che ha operato un cambiamento profondo nelle loro vite.

Gli Ugolini riconoscono con umiltà che non tutte le domande hanno una risposta, che non tutti i problemi hanno una soluzione, che non è sempre semplice trovare il giusto equilibrio tra dignità ed emergenze quotidiane, tra giustizia e urgenza di sopravvivere. Non smettono di cercare, è vero. Non smettono di chiedersi quale sia la risposta alla loro vita donata agli ultimi. Perché la risposta è nella speranza. Speranza in quel mondo più giusto che il Signore ci ha promesso e ci ha dato il potere di costruire. Il senso della vita condivisa con gli altri è nel continuare a seguirlo, senza fermarsi a porsi domande che, fuori di Lui, non hanno risposta.

In questa famiglia di missionari è radicata una certezza: la vita in Turchia li ha cambiati.  “Siamo stati catturati, abbracciati da tanta, forte, semplice umanità che la nostra vita, in un continuo divenire, ne è stata profondamente scossa”. Tutto è divenuto dono: “Siamo convinti che se noi tre sapremo riflettere e meditare bene su quanto abbiamo vissuto in questi ultimi tempi, proprio in tutto ciò troveremo il Dono preparato per noi”. Tutto il senso della vita è nell’essere consapevoli dei doni che abbiamo ricevuto, della bellezza dell’esistenza di ogni uomo, che il male cerca di offuscare, ma la speranza riveste di luce nuova.

 

Il testo del libro

Sapientemente intrecciato, come un tessuto prezioso, il libro si compone di attente descrizioni di persone e delle loro storie, di vicende e avvenimenti, nei quali si inseriscono “ricordi”, “immagini di condivisioni” e “parole scambiate”. La voce narrante – per lo più i membri della famiglia, talvolta altri a nome loro – racconta, con ritmo coinvolgente ed immagini suggestive, piacevoli da leggere, le situazioni vissute nel corso degli anni trascorsi in Turchia. La narrazione è vivace e molto suggestiva; la descrizione di persone e situazioni sempre delicata e discreta.

Il testo, diviso in racconti, è scandito da citazioni della Bibbia, della letteratura mondiale e italiana, di pensieri di teologi e parole dei santi, che, attraverso analogie immediate, conferiscono luce e rilievo alle vicende narrate.  Anche il Corano, con la sua millenaria saggezza, trova il suo posto nella narrazione degli avvenimenti.

Tra le varie immagini attraenti ed emozionanti che passano davanti ai nostri occhi, non può non suscitare commozione e fascino la splendida descrizione del ritorno dei pastori con le pecore dalla montagna, che esprime “tanta dignità e tutta la bellezza del creato”. L’autore ci fa osservare gli operai stagionali impegnati nei lavori di agricoltura, il lavoro dei bambini, la loro lotta per sopravvivenza, il loro stile di vita, abbandonato all’ “oggi”, alla gioia e all’ospitalità. Anche i loro nomi: Rukiye, Zahra, Necla, Nuri… sono un’occasione per ricordare l’unicità e la preziosità della persona umana agli occhi di Dio: “La loro vita era stata sempre cosi, tra bassi e bassi… però erano felici”.

Suggestive analogie attraversano il testo e creano immagini profondamente spirituali. C’è un cammino dal significato profondo nella dinamica del salire-scendere che i profughi vivono oltrepassando i 3000 metri delle montagne tra Iran e Turchia. Un cammino che Gesù ha già intrapreso, come raccontano i versetti del Vangelo, che lo descrivono mentre sale e scende dal monte.

Uno sguardo attento e non superficiale sulle usanze, la vita sociale, i riti religiosi, le condizioni politiche di paesi come Afghanistan, Iran, Siria e Turchia accresce l’interesse e la ricchezza del libro. L’autore mette in luce il significato profondo delle feste musulmane, come il Ramadan; riflette sulla dinamica mangiare/aver fame; si ferma a considerare il valore del pane, innalzando lo sguardo verso l’Eucaristia; descrive nei dettagli feste di altri Paesi, come il Capodanno iraniano, il Nowruz, con la varietà dei suoi cibi e delle sue tradizioni.

 

Il dialogo di vita

Come si crea un rapporto di amicizia semplice, bello e significativo? Molti avvenimenti descritti in questo libro sono legati all’ospitalità, caratteristica dell’Oriente. Spesso sono gesti di straordinaria accoglienza, toccanti e commoventi, soprattutto quando vengono dai più poveri.

Guidati dalla consapevolezza del mistero profondo dell’uomo, gli Ugolini hanno potuto sperimentare momenti di solidarietà e di intensa umanità. A volte hanno prestato soccorso in situazioni difficili di particolare urgenza, grazie alla mediazione di persone amiche. Ma non era l’aiuto caritativo il centro della loro missione.  A Van, nella città a est della Turchia, hanno vissuto intensamente con famiglie povere di diverse provenienze, trovando il coraggio di inserirsi nella loro quotidianità, di farsi vicini agli ultimi, nella condivisione della loro vita. Hanno incontrato vite spezzate, situazioni ai limiti della sopravvivenza, esistenze vissute nella sofferenza e nel rischio continuo. Con passione e dolore si leggono storie di uomini che attraversavano di notte, a cavallo, le alte montagne dell’Iran per trasportare benzina, necessaria per far vivere le famiglie e mandare i bambini a scuola.

Non sono mancate esperienze di rifiuto, divergenze e difficoltà provocate dalla situazione sociale, ma tutte sono state vissute alla luce della Parola di Dio, meditata ogni sera in famiglia, e superate grazie al dialogo con la gente.

 

Persona umana di fronte all’ingiustizia

Con molte delle situazioni presentate nel libro, gli Ugolini sono entrati in contatto tramite incontri amichevoli e profondi con le persone. In diversi racconti si parla di ingiustizie profonde e la riflessione si sposta sulla questione della dignità della persona umana e della sua debolezza di fronte “alle ideologie che ancora oggi limitano e uccidono la libertà individuale e collettiva”. I confini tra le nazioni e i popoli non sono unici e sono superabili, mentre risultano spesso invalicabili i confini esistenti dentro ognuno di noi. Vere e proprie frontiere che determinano a volte una totale chiusura verso l’altro, verso il diverso.

Leggendo il libro incontriamo Rasouli, pittore iraniano, che aveva perso la memoria durante gli anni di prigionia. Non aveva più la capacità di elaborare un pensiero né di riconoscere le persone care. Solo l’amore e la paziente cura della moglie, che lo aveva accolto dopo due anni, erano riusciti ad operare il miracolo di restituirgli la consapevolezza dell’esistenza e la sua arte. La storia della studentessa iraniana Zehira, torturata crudelmente nella prigione iraniana, mentre nei pensieri e nelle parole ripeteva senza sosta le parole di Gesù al Padre: perdona loro il male che stano facendo (cf. Lc 23,34), ci permette di entrare con commozione nella vita di uomini e donne la cui esistenza è diventata Vangelo. 

Tra le pagine del libro si delineano senza sosta davanti ai nostri occhi le storie più disparate, vicende lontane, percorsi di vita diversi, ma tutti segnati dalla sofferenza e dalla contraddizione dell’ingiustizia. Volti segnati dal dolore, ma anche dal coraggio della speranza, come quello di Fatma, profuga afghana, o del giovane Yunus, dalle scarpe troppo grandi, ma non tanto da impedirgli di continuare con fedeltà il suo lavoro in trattoria. O quello di Meryem, illuminato dalla luce di un incontro trasformante: quello con il Vangelo.

Gli Ugolini hanno condiviso anche il dolore di una giovane donna curda, morta nel silenzio, per mancanza del denaro necessario a pagare le cure per la sua malattia. Questa donna, spentasi nel periodo di preparazione al Natale, diventa per loro simbolo dell’Avvento, strada privilegiata per riflettere sul motivo profondo della nascita di Cristo: la sua morte e la sua resurrezione.

Un profondo senso di dignità e di fierezza accomuna le storie narrate in questo libro, unito ad un ardente desiderio di libertà e di pace, che è condizione fondamentale per la vita di tutti. Desiderio spesso ferito nelle sue aspirazioni più intime, come nel grande dramma delle famiglie separate dalla guerra. Storie di mariti, padri, fratelli scomparsi nelle battaglie con i Talebani, in Afghanistan o in Siria. Storie che appaiono in tutta la loro tragicità, soprattutto se si considera l’immenso valore e la sacralità della famiglia nella cultura degli uomini d’Oriente.

Dopo il terremoto del 2021 gli Ugolini sono andati a cercare gli amici sfollati, dispersi nelle città della Turchia. Sono tornati a Van e hanno trovato la città distrutta, quasi deserta; i pochi abitanti costretti a vivere sotto le tende, nonostante il grande freddo. La descrizione di quel mondo improvvisamente crollato aiuta a riflettere, a cercare di capire cosa significa perdere tutto, essere dei senza tetto. Il terremoto ha lasciato soltanto il silenzio, il silenzio del mistero dell’esistenza, del tutto che vive. Così scrive l’autore: “attraverso le sue troppe ferite abbiamo avvertito il senso della nostra precarietà…”.

Con questo libro la famiglia Ugolini vuole raccontare il dolore sofferto nel silenzio, essere voce di coloro che non hanno voce: poveri, donne, uomini senza lavoro, bambini, perché la sofferenza umana è uguale per tutti. Ma nello stesso tempo ci invita a essere consapevoli del silenzio, il silenzio che ci insegnano i pastori, “gente abituata al silenzio dei grandi spazi del loro solitario lavoro.”

 

Messaggio

Il messaggio che si profila per il lettore è un invito ad abbattere i limiti dell’appartenenza etnica, della religione, della razza; un’esortazione implicita ad abbandonare i pregiudizi e ad aprirsi senza paura agli altri. Ma è anche un’indicazione chiara su come questo obiettivo si possa raggiungere. L’unica strada: diventare ciò che il Padre ci ha chiamati ad essere, discepoli di Gesù.

L’amicizia con i profughi afghani si manifesta non solo nella solidarietà e compassione per la loro povertà materiale, ma anche nella cura delle loro ferite interiori, dei traumi psicologici, provocati dalle persecuzioni e dalle pressioni dei Talebani. A volte questo legame diventa un farsi compagni nel cammino di ricerca della fede cristiana, come rivela la presenza della piccola chiesa domestica protestante a Van. Altre volte da queste amicizie si impara una profonda saggezza, la lungimiranza che spinge tante persone a operare, nonostante la precarietà, scelte coraggiose allo scopo di creare un futuro dignitoso per i loro discendenti.

L’esperienza di vita della famiglia Ugolini si rivela una chiamata al viaggio. All’incontro. Espressione della ricerca della fraternità universale, di cui parla papa Francesco nella sua Lettera Enciclica sull’amicizia sociale: Fratelli Tutti.

 

Conclusione

La famiglia Ugolini, voce narrante del libro, vede nelle sofferenze e nella purezza di vita delle persone incontrate nel cammino un’umanità già redenta. Ai poveri, ai piccoli appartiene il Regno dei cieli, così diceva Gesù. I passaggi della Scrittura, che illuminano e danno significato alle storie narrate, comunicano esplicitamente che la Parola è già realizzata nella vita dei protagonisti del libro. I poveri diventano la chiave di lettura dei testi sacri. Come diceva il mio caro amico don Franco Bello, sacerdote dei poveri, quando eravamo in Libano: “I poveri ci insegnano a leggere il vangelo”.

Qualcuno potrebbe chiedersi come riuscivano gli Ugolini ad entrare in questo mondo con tanta semplicità, con tanto coraggio e tanta umiltà. Il segreto è nel dialogo profondo, nella presenza semplice in ogni aspetto della vita quotidiana. È questa la strada privilegiata di ogni impegno missionario della Chiesa di oggi.

Sembra che la riflessione della Piccola sorella Magdeleine, citata nel libro, sia una risposta eloquente: “…bisogna avere fede cieca nell’amore, che può trasformare anche le più piccole cose e nella forza che si manifesta pienamente nella debolezza e nella piccolezza”. I poveri capiscono soltanto il Vangelo della testimonianza.

Ringraziando il Signore per la chiamata della famiglia Ugolini e per l’amore disinteressato con cui hanno vissuto la loro vocazione, a nome della Chiesa Cattolica in Turchia, esprimo loro la mia profonda gratitudine per la singolare e importantissima testimonianza di vita missionaria, fondata sulla fede e la fedeltà al Signore morto e risorto.

 

+ Martin Kmetec

Arcivescovo di Izmir

Presidente CET

 

* Roberto Ugolini, Cristalli di neve, fiocchi di cotone. Turchia, terra di incontri e di frontiere, EMI, 2022, pp. 160, € 16.00

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