Koinonia Marzo 2023


Il dialogo cristiano-islamico nel libro di Benedetto XVI

“Che cos’è il cristianesimo”

 

A PROPOSITO DI CORANO, BIBBIA EBRAICA,

 BIBBIA CRISTIANA  E “SOLA SCRIPTURA

 

Di continuo mi capita di constatare come i dialoghi cristiano-islamici non solo siano caratterizzati, a livello contenutistico, da un’insufficiente conoscenza dei testi sacri del cristianesimo e dell’islam, ma come, anche strutturalmente, siano impostati in modo errato. Da un lato viene rilevato che sia nel Corano sia nella Bibbia cristiana si parla della misericordia di Dio, e dunque è presente l’imperativo dell’amore, dall’altro che in ambedue i testi viene insegnata anche la violenza. E così, come ponendosi al di sopra delle due religioni e delle loro fonti, si afferma: in ambedue c’è del buono e del cattivo; è dunque necessario che interpretiamo i testi a partire da un’ermeneutica dell’amore opponendoci poi, con riguardo a entrambi, alla violenza. Così facendo si misconoscono fondamentali differenze strutturali che si riferiscono a diversi piani.

 

1 - Il Corano è un unico libro che si è sviluppato in situazioni diverse nel corso della vita di Maometto. Questo libro è però considerato non come opera di un uomo ma come direttamente ispirato da Dio e avanza perciò, per ogni sua parte, la pretesa di possedere un’autorità proveniente da Dio.

Tre elementi fondamentali differenziano strutturalmente la Bibbia cristiana dal Corano.

- La Sacra Scrittura dei cristiani non è un libro, bensì una raccolta, maturata in una storia di circa mille anni, di libri differenti con una differente pretesa teologica. Secondo la fede degli ebrei come dei cristiani, essi non sono dettati direttamente da Dio ma, provenienti in modo diverso da lui, sono un’interpretazione del cammino che la comunità del popolo di Dio fa sotto la sua guida. Sono Parola di Dio mediata dalla parola dell’uomo. La loro autorità è differente, e solo nel complesso del cammino che essi rappresentano le singole parti possono essere intese correttamente.

- All’interno di questa diversificata letteratura millenaria, per i cristiani sussiste un’ulteriore suddivisione qualitativa, quella fra Antico e Nuovo Testamento. Anche il Nuovo Testamento è una raccolta di libri differenti, che possono essere compresi solo nel loro insieme e a partire da tale insieme. Per gli ebrei solo l’Antico Testamento è “Bibbia”. Per i cristiani, invece, è possibile capire correttamente l’Antico Testamento solo a partire dalla nuova interpretazione che esso ha avuto nella parola e nell’azione di Gesù Cristo. Essa è validamente testimoniata nel Nuovo Testamento. Ambedue le raccolte di testi, l’Antico e il Nuovo Testamento, si riferiscono talmente l’una all’altra che il Nuovo Testamento rappresenta la chiave interpretativa dell’Antico. In una prospettiva cristiana, è solo a partire dal Nuovo Testamento che si può stabilire quale sia il significato teologico permanente dell’Antico. Per questo, non è possibile parlare di un’ispirazione verbale della Bibbia. Il senso e l’autorità delle singole parti possono essere colti correttamente solo nell’insieme e a partire dalla luce dell’avvenimento di Cristo.

 

2 - Tutto questo significa che la fede cristiana non è una religione del Libro (si veda Catechismo della Chiesa Cattolica n. 108 e l’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini del 2008). La Sacra Scrittura parla solo nella comunità vivente della Chiesa. C’è qui un duplice scambio, un rapporto di subordinazione e di sovraordinazione. Da un lato la Chiesa sottostà chiaramente alla Parola di Dio, dovendosi sempre lasciar guidare e giudicare da essa, dall’altro però la Scrittura, a partire dal suo insieme, può essere interpretata adeguatamente solo nella Chiesa vivente.

Questa posizione, fatta propria da tutta la Chiesa fino al XVI secolo, nella Riforma è stata rifiutata con il principio della sola Scriptura. Il cristianesimo appare ora come una religione del Libro. Nella pratica, tuttavia - a causa del carattere particolare della Bibbia cristiana, di cui ho parlato in precedenza con la distinzione fra Antico e Nuovo Testamento, e della «relativizzazione » in essa insita dei singoli testi, che possono essere compresi e ricondotti a un’origine divina solo in rapporto al tutto - il principio della Scrittura non viene applicato in modo assolutamente rigido. Adolf von Harnack ha espresso tale concetto in questi termini: «L’Antico Testamento è valido solo relativamente, stando a fianco al Nuovo… Riguardo alla Bibbia non è affatto possibile l’assoluta idolatria della lettera [Grammatolatrie]… Il biblicismo ha ricevuto il suo salutare correttivo nell’autorità dell’insegnamento apostolico che, posto a fianco della “Scrittura”, ne organizza e delimita l’autorità». Su richiesta, da parte di Erik Peterson, di un ulteriore chiarimento a riguardo, Harnack rispose che «il così detto “principio formale” del primo protestantesimo rappresenta un’impossibilità critica». Comunque si giudichi nello specifico questa formulazione del grande teologo protestante, è pur sempre chiaro che anche nella concezione protestante la Bibbia alla lettera semplicemente non sta in piedi. Chi considera queste differenze strutturali si guarderà da affrettati paralleli.

 

Benedetto XVI

in “Che cos’è il cristianesimo”, Mondadori, 2023, pp.36-38

.