Koinonia Febbraio 2023


IL DIBATTITO ODIERNO SULL’APOSTOLO PAOLO

 

 A partire dalla fine degli anni ‘70 del secolo scorso sono nate nuove prospettive e nuovi studi storici sulla figura di Paolo. Alcuni studiosi sono concordi nell’affermare che, per una più profonda ed aggiornata conoscenza dell’apostolo, sia necessario liberarlo dalle sovrastrutture ideologiche e teologiche che nel tempo si sono stratificate su di lui e leggerlo nel contesto storico in cui visse, il giudaismo del II Tempio.

È stato grazie alle scoperte dei manoscritti di Qumran che tra gli storici è cambiata l’idea sul giudaismo ai tempi di Gesù. Oggi sappiamo che nel I secolo in Palestina non c’era un giudaismo uniforme, ma plurale, molto eterogeneo. Era un’epoca di grande intensità spirituale. Gruppi religiosi appartenenti a correnti diverse si scontravano e confrontavano fra loro su molte tematiche, da quella del male, a quella della fine dei tempi e della salvezza: sadducei, farisei, esseni, giudeo-ellenisti, apocalittici e il nascente movimento di Gesù. Quest’ultimo era un gruppo che si confrontava e si scontrava con le posizioni di altri ebrei. Paolo visse e si formò all’interno di questo ambiente culturale, in questo crogiolo variegato di posizioni religiose.

L’apostolo delle genti nasce a Tarso in Turchia, è ebreo, ma anche cittadino romano, bilingue, conosce la cultura ellenistica, studia a Gerusalemme con Gamaliele ed è un fariseo radicale. È il primo che mette per iscritto i suoi pensieri sulla persona di Cristo. La sua prima lettera, quella ai Tessalonicesi scritta verso il 53 d.C., cioè prima che vengano redatti i sinottici, è il più antico testo del Nuovo Testamento a noi pervenuto. Paolo da fariseo perseguita “i seguaci della via” - come in un primo tempo sono chiamati i discepoli di Gesù - con un impeto e una passione degne del suo temperamento. Ma, mentre si sta dirigendo a Damasco, vive un’esperienza straordinaria che cambia radicalmente la sua vita.

Si è sempre parlato di questo avvenimento come della “conversione” di Paolo, quasi che avesse abbandonato l’ebraismo per passare ad una nuova religione. I nuovi studi, fra questi quelli che fanno riferimento alla scuola milanese del prof. Paolo Sacchi e in particolare al prof. Gabriele Boccaccini che si occupa del Giudaismo del II Tempio, sono inclini a pensare che non si sia trattato di una “conversione”, ma piuttosto di una “rivelazione” o “chiamata profetica”. Paolo, secondo questi storici,  non abbandona il giudaismo, né entra nel cristianesimo che ancora non esiste. La sua cosiddetta “rivelazione” non mette in crisi la sua fede ebraica; Paolo rimane sempre ebreo, ma decide di passare dal fariseismo ad un altro movimento giudaico, quello gesuano. Non cambia religione, cambia solamente il suo modo di essere ebreo trovando il “suo giudaismo” nel movimento del rabbi di Nazaret.

Per meglio inquadrare l’apostolo dobbiamo ricordare che nel I secolo d.C. era molto vivo tra i vari movimenti religiosi il dibattito sul problema del male: c’era chi riteneva che il male fosse conseguenza di una trasgressione umana e chi lo riteneva derivato da una ribellione cosmica. I farisei sostenevano la prima tesi, gli apocalittici la seconda rifacendosi in particolare al libro di Enoch (uno scritto apocrifo dell’Antico Testamento risalente al IV sec. a.C., rinvenuto nelle grotte di Qumram) e a quello del profeta Daniele, testi che circolavano ancora nel I secolo tra i religiosi ebrei. I movimenti apocalittici sostenevano invece che il male era dovuto alla ribellione cosmica di una parte degli angeli a Dio e alla loro caduta sulla terra dove si unirono alle figlie degli uomini dando vita ad una umanità corrotta, mito di origine antica molto anteriore rispetto al racconto del peccato originale che troviamo in Genesi.

Gli studiosi ritengono che Gesù e i suoi seguaci avessero idee simili a quelle del movimento messianico-apocalittico. Ritenevano che l’umanità fosse impotente davanti al male cosmico ed occorresse un intervento divino per liberare l’uomo dal suo potere. Questo dibattito interno al mondo ebraico, che si riscontra tra le righe dei Vangeli sinottici, era conosciuto anche da Paolo che, ad un certo punto della sua vita, aderisce ad una concezione del male diversa da quella dei farisei. Dopo l’episodio di Damasco Paolo cambia la sua concezione del male come trasgressione e infedeltà a Dio con la fede in un aiuto, un intervento dall’Alto, che sosterrà l’umanità nella lotta impari contro il male di origine cosmica. Per il movimento messianico-apocalittico gesuano Gesù è il Messia venuto sulla terra prima dell’avvento del Regno con l’obiettivo e il potere di rimettere i peccati e di salvare l’umanità e sarebbe di nuovo tornato come Figlio dell’uomo, giudice universale e come distruttore del male alla fine dei tempi.

Paolo - secondo il prof. Boccaccini - nel I secolo non veniva letto come nei secoli successivi lo hanno letto i teologi. Il suo pensiero, esplicitato nelle lettere, per essere compreso storicamente va inserito nel contesto giudaico in cui visse. Nel giudaismo dei tempi di Gesù era in corso un forte dibattito sulla figura del Messia che veniva inteso in vari modi. Dopo la morte e risurrezione di Gesù i suoi seguaci si inserirono in questa discussione affermando che il Messia era già venuto nella persona di Gesù e lo stesso Paolo sposò totalmente questa posizione. I primi cristiani guardarono a Gesù come al Messia, ma arrivano a ritenerlo Figlio di Dio solo dopo un lungo processo di approfondimento durato secoli.

Paolo è un uomo vissuto nel contesto giudaico della prima metà del I secolo. La teologia invece - afferma il prof. Boccaccini - ha letto Paolo come se avesse formato la sua visione cristologica nel II secolo d.C., in epoca post-giovannea.  Appare chiaro che una lettura storica di Paolo siffatta mette in discussione la comprensione e l’interpretazione che per secoli è stata fatta dell’Apostolo delle genti. Tuttavia liberare Paolo dalle sovrastrutture teologiche che nel tempo si sono stratificate su di lui e leggerlo storicamente nel contesto ebraico del I secolo, ci permette di averne una visione più ampia e più profonda.

 

Daniela Nucci

.