Koinonia Febbraio 2023


GIULIO GIRARDI TRA MEMORIA E STORIA

 

Nato al Cairo da famiglia italo-libanese, in un crogiuolo cosmopolita di culture e di fedi, salesiano e professore di filosofia a Roma, negli anni Sessanta partecipò come esperto del Segretariato vaticano per il dialogo coi non credenti al rinnovamento conciliare e alle prime esperienze di confronto fra cristiani e marxisti. Un suo libro su “Marxismo e cristianesimo” divenne un classico di quella stagione che fu appunto detta del dialogo. Ma ben presto le posizioni si radicalizzarono, mentre nel campo del marxismo ufficiale venivano archiviati e repressi i tentativi di “socialismo dal volto umano”, nella Chiesa cattolica si manifestava una crescente spinta restauratrice, rispetto alle aperture giovannee e conciliari, già nel pontificato di Paolo VI.

Nel Sessantotto e negli anni seguenti un numero crescente di credenti passò dal dialogo alla scelta di classe e all’adozione, in forme originali, del marxismo. Quegli anni memorabili, densi di esperienze tragiche ma anche di grandi speranze (dal Cile all’Argentina, dal Centroamerica al Portogallo) videro nascere nuovi movimenti come i Cristiani per il socialismo e le Comunità di base. Un nuovo ecumenismo abbatteva storiche barriere fra cattolici e protestanti, fra credenti e non credenti. Sorgeva la “teologia della liberazione” nel contesto di un più ampio movimento intellettuale che coinvolgeva una pluralità di culture della liberazione (dalla sociologia della dipendenza alla pedagogia degli oppressi).

Di tutti questi fermenti Giulio Girardi fu uno dei protagonisti, a livello internazionale, entrando sempre più dall’interno nel movimento operaio e marxista e problematizzando il suo rapporto con la teologia e con la Chiesa. A Santiago del Cile, nel 1972, lo ritroviamo tra i fondatori dei Cristiani per il socialismo, che si espandono rapidamente in Europa, in particolare in Italia e in Spagna. Quando l’anno successivo si organizzò a Bologna il primo convegno italiano di quel movimento fu naturale rivolgersi a lui per la relazione di apertura. Ricordo quella sera di settembre in cui, insieme ad un altro compagno del gruppo promotore, accolsi Giulio alla stazione di Bologna, pochi giorni dopo il golpe cileno, quando già quel sogno si era macchiato di sangue. Non sapevamo quanti compagni avrebbero accolto il nostro appello, non si trattava infatti di un movimento organizzato, e tutto era affidato alla generosità e all’impegno volontario. Ci saremmo accontentati di trecento persone, ne arrivarono quasi duemila. Poi sapemmo che il fenomeno nuovo che quel movimento rappresentava (e che fu amplificato l’anno seguente dal voto di milioni di cattolici contro la proposta di cancellare il divorzio) era stato persino oggetto di dibattito nell’ufficio politico del Pci, allora guidato da Berlinguer. Il Pci ebbe per lungo tempo difficoltà a capire e a entrare in sintonia col dissenso cristiano (a differenza di personalità come Basso, Foa e Ingrao, di una parte della nuova sinistra e della sinistra sindacale trasversale di quegli anni). Comunque quell’incontro a Bologna fu per me l’inizio di una lunga amicizia con Giulio, che in seguito non è venuta mai meno.

Egli ben presto fu costretto a lasciare l’ordine e il sacerdozio e scelse di dedicarsi sempre di più in modo volutamente antiaccademico ad una elaborazione intellettuale in ascolto alle esperienze di base: non solo quelle delle comunità cristiane ma anche quelle dei metalmeccanici torinesi, presso i quali trovò rifugio per un certo tempo, svolgendo una memorabile inchiesta, e ancora quelle delle comunità di recupero dalla tossicodipendenza, alla ricerca di una pratica della libertà, affidata all’educazione liberatrice. E sempre con grande costanza e speranza (dividendo il suo tempo fra Europa e America Latina) con una grande attenzione ai movimenti nuovi di liberazione, dai sandinisti allo zapatismo, ai movimenti indigenisti, a una Cuba sempre amata, senza ignorare le zone d’ombra di quella esperienza, rileggendo e facendo sua la lezione del Che.

Sarebbe troppo lungo l’elenco dei libri e degli articoli prodotti da Giulio. Chi avesse la pazienza di rileggerli troverebbe straordinarie anticipazioni di scelte che poi sono diventate patrimonio di molti, come per esempio una riflessione sul valore rivoluzionario della nonviolenza compiuta in comunione e non già in contrapposizione coi movimenti di liberazione latinoamericani, che la violenza hanno sempre patito sulla propria carne ma che anche sono stati costretti dalla situazione storica a considerarla come un’opzione con cui confrontarsi. La scelta prioritaria della prassi liberatrice diventa criterio che travalica e chiarifica molti dibattiti che spesso restano al livello meramente ideologico e astratto. Questa prassi diventa anche criterio discriminante per una comprensione nuova della propria fede da parte dei credenti e per un incontro coi compagni non credenti che sia riconoscimento reciproco e non riproposizione di vetuste diffidenze e incomprensioni. Queste cose compagni come Giulio Girardi possono ancora insegnarcele, soprattutto in momenti in cui questione religiosa e questione cattolica tornano all’ordine del giorno, e perciò è importante che essi restino fra noi a testimoniarle e ad aiutarci nella nostra ricerca per ancora molti anni.

 

Domenico Jervolino

tratto da LA NONVIOLENZA È IN CAMMINO, n. 1219 del 27 febbraio 2006

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