Koinonia Febbraio 2023


Un vivo grazie a Lorenzo Dani che il 5 /1/23,  in  reazione a quanto in Koinonia-forum 278 si diceva sul testamento spirituale di Benedetto XVI, ha scritto:

 

Pensando di fare cosa, se non gradita, almeno di qualche utilità, allego un mio intervento su Ratzinger di qualche anno fa (con iniziale citazione nientemeno che di Koinonia!...). Buon anno. L. Dani

 

L’allegato in questione è dedicato a “L’incerto rapporto fra il teologo e la teoria critica negativa - Annotazioni a margine dell’Enciclica Spe salvi di Benedetto XVI”. Ho letto con interesse questo lungo testo, nella convinzione che il pensiero teologico di J.Ratzinger non può passare come teologia tout-court, ma andava e andrebbe discusso come tale, prima che essere adottato o rifiutato acriticamente. Nella lettura, ho trovato particolarmente significativo e proponibile il paragrafo dedicato alla “secolarizzazione” (ABS).

 

 

CATTIVA E BUONA “SECOLARIZZAZIONE”

 

Un’altra annotazione pare opportuno riportare, che riguarda un altro tema  evocato dalla Spe salvi come indice e causa dei rischi di perdizione verso cui sono incamminati la ratio e il mondo che non si aprono ad accettare la fede cristiana: è il tema della secolarizzazione. Anche questo tema è presente nella teoria critica negativa, ma ancora una volta con una valenza ben diversa da quella che sembra venire ad esso attribuita nella Spe salvi (e in vari altri documenti della Chiesa cattolica).

Introdotto nell’uso, come noto, per definire un passaggio di proprietà ottenuto con la forza, e a danno dell’istituzione religiosa, il concetto di secolarizzazione è stato sin dall’inizio caricato di una accentuazione negativa, trattandosi, secondo le chiese, di una transazione coatta, di un vero e proprio sopruso da parte di alcuni regimi che avevano ridimensionato i possedimenti, i territori e, più in generale, il potere, le sostanze e l’influenza delle chiese. In questa sopraffazione, la parte che aveva subito l’affronto, l’istituzione religiosa, se da una parte aveva perso beni e zone di influenza, dall’altra parte aveva però acquisito, per quanto le rimaneva, un aumento, quasi una condensazione di sacralità. Il sottinteso di ‘cattiva’ - diluito talvolta in quello di ‘pericolosa’ - ha così sempre accompagnato l’uso del termine secolarizzazione da parte dell’istituzione religiosa. In definitiva questo concetto serve ad indicare un’ingiustizia, alla quale il sacro, il religioso, deve sottostare, più o meno rassegnatamente, ma per forza di cose, di nemici, di profanità, e da cui tuttavia esce rafforzato, confermato nelle proprie caratteristiche conculcate.

Quest’effetto di rafforzamento dell’istituzione religiosa, che sarebbe prodotto dalla secolarizzazione, denuncia l’aspetto ideologico del concetto stesso di secolarizzazione, il fatto cioè che esso svolge un’opera di giustificazione a favore di una realtà storica. Per questo l’interpretazione e l’uso che del concetto di secolarizzazione si fa in una prospettiva critico-negativa sono intesi innanzitutto a togliere il carattere ‘cattivo’ automaticamente connesso ad essa. Per ottenere questo risultato si ritiene indispensabile far cadere il palco della distinzione, tipicamente ecclesiastica, tra secolarizzazione, che potrebbe avere qualche elemento positivo, e secolarismo, che sarebbe invece irrimediabilmente cattivo. Si tratta di una distinzione di pura facciata, e nella sostanza, poiché la secolarizzazione ‘buona’ consiste in ammodernamenti, in forme di efficientismo e di razionalizzazione, una simile distinzione serve soltanto a rendere ancora più forte l’avversione per le critiche radicali provenienti dal ‘cattivo’ secolarismo.

Fatta questa pulizia, il processo di secolarizzazione può essere inteso, nel contesto critico negativo, come un susseguirsi di tentativi finalizzati, più che a sistemare e a ridistribuire steccati che separino ambiti sacri e ambiti profani, a negare la fondatezza oggettiva di tali separazioni, rivelandone nel contempo l’origine, ossia il loro derivare dal modo in cui l’uomo e la società producono, vivono e gestiscono il bisogno di trascendenza.

Questo modo di intendere il processo di secolarizzazione pone un’istanza nettamente radicale, riconduce cioè la religione alle sue radici, alla sua totale immanenza. Sono le condizioni materiali e sociali, che storicamente si presentano, a bloccare l’individuo nell’immanenza, come ben documenta la sterminata bibliografia sull’argomento. Per alcune tendendo facilmente, instancabilmente e paradossalmente a produrre l’immagine di un sistema intoccabile di significati e giustificazioni vero ed eterno, appunto ipostatizzato, trascendente. Una riproduzione di questo stato di cose può essere considerata la situazione nella quale, di fatto, il senso della rivelazione può essere mantenuto solo grazie ad astrazioni che non senza qualche ragione a qualcuno sembrano disperate. E questo è dovuto al fatto che la religione positiva che storicamente si impone e che lotta contro la secolarizzazione, in realtà, oggettivamente, a dispetto di ogni dichiarazione dei professionisti della stessa religione, è più o meno intessuta con l’arbitrio, la soggettività, la noncuranza per il problema delle idee e dei valori oggettivi, ed è esposta all’accettazione della datità - cioè a prestare un ossequio passivo alle esigenze di rispecchiamento e venerazione che provengono dai fenomeni sociali. Può sembrare paradossale sostenere ciò per le religioni che strenuamente, quasi ossessivamente, sostengono di possedere e di tutelare la Verità e lottano e incitano a lottare contro il relativismo, ma questa è la diagnosi a cui pare si possa giungere adottando i criteri di analisi e di valutazione della teoria critica negativa. E da questo punto di vista la religione positiva collabora allo scadimento della genuina istanza religiosa, ma non perché corrotta dalla secolarizzazione, bensì in ragione del suo stesso essere, costituirsi, identificarsi.

Per questa religione positiva identificata la critica del proprio carattere ipostatizzato - che è quanto produce la secolarizzazione - non può non suonare che come minaccia di totale eliminazione. Secolarizzazione, per questa forma di religione, assume automaticamente il significato di dispregio, di annullamento della problematica religiosa e teologica. E una delle conseguenze di tale timore si presenta nella forma di una preoccupazione, poiché si ridurrebbe la teologia a un qualcosa che trae la propria giustificazione da un contesto sociologico, e in questo modo, di fatto, la si liquiderebbe. È vero, invece, che nell’orizzonte critico la vera teologia dovrebbe anzitutto criticare se stessa, appunto ricollegandosi continuamente alla propria origine, cioè al modo in cui, nel tempo, ha interpretato il bisogno religioso e gli ha risposto. In questo senso si dice che la realtà produce sempre nuovi dei, per cui c’è sempre nuova falsa teologia da liquidare, da parte di veri teologi. I risultati conseguiti attraverso analisi condotte con questi criteri metodologici potrebbero costituire una sorta di programma per una particolare teologia, che si potrebbe definire ‘negativa’.

 

Lorenzo Dani

.