Koinonia Gennaio 2023


SE IL CONCILIO VATICANO II È ANCORA UNA VOCAZIONE

 

Sembra che non ci siano più problemi reali: tutto si trasforma subito in “tema”, parola magica dei nostri tempi, per cui situazioni, fatti, difficoltà diventano gioco e conflitto di parole, logomachie ripetitive e stucchevoli, e il mondo della comunicazione è come svuotato per inflazione. È una costatazione di carattere generale, che interessa i vari settori della società; ma anche in ambito ecclesiale è esemplificata nelle questioni relative al vangelo e alla fede, fino ad interessare l’origine e il destino del Concilio Vaticano II, a riguardo del quale tutto sembra risolversi in speculare vaniloquio da parte di chi ne ha fatto o una bandiera o un obiettivo da colpire.

Partendo proprio dal Concilio, c’è da dire che dopo la sua iniziale redazione e la successiva riduzione ai suoi documenti, abbiamo perso la percezione dei reali problemi per cui è nato ed è stato voluto, e siamo passati ben presto a formule e quindi a slogan, per arrivare oggi a semplici richiami evocativi, o di delusione o di scandalo. In realtà, dopo che per anni il Vaticano II è stato sviscerato storicamente, teologicamente, pastoralmente, siamo di fatto alla sua archiviazione più o meno consapevole: esso è diventato un “tema” che avrebbe fatto il suo tempo, e che al solo nominarlo infastidisce alcuni, mentre altri più zelanti si lasciano andare a scongiuri e a scomuniche.  E così abbiamo un Concilio devitalizzato e strumentalizzato,  non più vivo e produttivo.

Se all’origine ha voluto essere una riconversione e vocazione evangelica per l’intera chiesa, ora sembra che tutti abbiamo motivi diversi per dispensarsi da una risposta, così  come si narra in Luca 14,15-23 degli invitati a nozze. Ciò non toglie che questa chiamata sia ancora nell’aria, e naturalmente una risposta non sarà più di massa  e generica, come si poteva pensare: non sarà più di tutti e di nessuno, ma di qualcuno a beneficio di tutti, come è del resto per la sequela di Cristo. Siamo ormai davanti ad una libera decisione dei singoli come risposta personale che deve avere l’impronta di  risposta per tutti, come per il vangelo! Lo si voglia o meno, è ormai una chiamata in solido!

Per tanto tempo e in tanti modi ci siamo chiesti quale sarebbe stato il volto della chiesa del futuro, e su questo punto non mancano anche oggi analisi e progetti, magari presentati come novità, quando si son lasciati tramontare come irricevibili. Ora però forse è lecito chiedersi quale volto reale essa presenta dopo tante  programmazioni pastorali e documenti ufficiali a circuito chiuso. Guardando le cose retrospettivamente, viene da chiedersi se per caso non stiamo facendoci le stesse domande di sempre, per chiudere poi il discorso ancora una volta con risposte e  auspici di comodo e di stagione. Chi negli anni ha dato ascolto alle tante voci che si sono alternate dall’alto e dal basso non può non riportarne un senso di diffidenza per tanta ostilità e dilazione del vero ed unico problema: quello della fede o del credere al vangelo, comunque si vogliano intendere. Difficile non ammettere che siamo abili a girarci intorno e ad aggirarlo, per cui dovremmo interrogarci  anche sul nostro approccio ad esso.

Un indice di rilevamento in questo senso può essere colto nel “Documento di lavoro per la Tappa Continentale” del Sinodo dei Vescovi, presentato come prolungamento attuativo del Vaticano II. Anche senza eccessivi approfondimenti, credo si possa dire  che anche qui si ripete quanto è ormai di dominio comune  su tematiche accessorie evocate ai nostri giorni, e non come visione globale e prospettica del Popolo di Dio nella storia: questioni attinenti ad abusi  sessuali del clero, al sacerdozio delle donne,  al matrimonio dei preti,  a problematiche di genere  ed ecologiche, ecc…, dando per acquisito che contesto e prospettiva di fondo siano già assicurati, quando proprio un reale orizzonte di fede sembra tramontato e non si sa più su quale terreno si costruiscono discorsi di varia spiritualità. In realtà sono questi singoli temi a fare da quadro di riferimento, e a dare l’illusione che l’auspicata riforma possa venire dalla coltivazione dei rami piuttosto che dalla fecondità della radice!

Altro rilevamento porta a dire che se il Sinodo si dichiara attestato sulla linea del Vaticano II, lo è però come acquisizione formale e funzionale del Concilio, per fare argine al forte partito dei negazionisti e magari recuperarli attraverso compromessi concilianti. È alquanto strano che un evento innovativo che si presenta sotto il titolo “Allargare le tende” sia all’atto pratico un restringimento  localistico e “parrocchiale”, quale appunto è il Sinodo, senza andare oltre i “particulari” e mancando di visione di fondo. Ma a parte questo, c’è da dire che per questa via  il Vaticano II arriva a noi dimezzato, e cioè nella sua interpretazione ufficiale e verticistica,  e cioè così come  è stato gestito e incanalato  dalle strutture  preesistenti, in contraddizione con la sua stessa “lettera” oltre che con il suo spirito.

Si voleva che la metabolizzazione del Concilio nascesse dal basso, come ora si dice che dovrebbe avvenire con la “sinodalità”, ma di fatto è stato pilotato dall’alto, mentre la storia ci dice che ciò che insorgeva dal basso non solo non è stato incanalato oculatamente, ma il più delle volte è stato sradicato, senza discernere la zizzania dal grano. Di qui il giudizio di contrapposizione e la progressiva   espulsione di ciò che è andato via via sotto il nome di “contestazione”, di  “dissenso”, mentre si dà attenzione a quanto sta portando ad uno scisma vero e proprio, per quanto sommerso e non denunciato: ed è tra due tendenze che si sviluppano separatamente in contrapposizione tra di loro, e che Papa Francesco ha indicato come rischio di pelagianesimo e di gnosticismo fin dalla “Evangelii gaudium” (n.94).  Ma quanta voglia c’è di andare a vedere come stanno effettivamente le cose  della fede?

Questo porta a dire che si è adottato del Concilio  quanto poteva  adattarsi  all’esistente, ed è mancato  il coraggio profetico di iniziare  uno smantellamento e una rifondazione evangelica  della fede della chiesa prima ancora che della chiesa stessa. La continuità necessaria è stata assicurata  sul piano istituzionale quanto alle strutture storiche pre-esistenti e non nella linea di una forma di vita evangelica, lasciata all’iniziativa dei singoli e dei gruppi (di qui la nascita di comunità e centri spirituali come monadi o mini-chiese avulse) e mai promossa a valore e modello ecclesiale: qualcosa che avrebbe comportato uno spostamento dal piano del biblicismo, della spiritualità, della dottrina, delle forme e riti di vita monastici al livello delle persone, non lasciate al puro spontaneismo (come sembra si accetti e si  lasci fare  oggi!), ma portate ad una con-crescita e maturazione della fede del Popolo di Dio nella libertà dello Spirito. Davvero comunione, partecipazione, missione si possono ottenere al di fuori del corpo reale della chiesa, che non sia  astrazione  giuridica ed organizzativa?

Una crescita c’è stata a macchia di leopardo e in modo settoriale, ma non è stata organica, tale da dare vita ad embrioni ecclesiali completi anche se di grandezza minima. Ed è a questa organicità che siamo chiamati, naturalmente dopo esserci spogliati dell’“uomo vecchio” di cui siamo portatori anche in chiave ecclesiale. Se fino ad ora il Concilio è stato preso separatamente dal punto di vista storico, teologico, pastorale, liturgico, spirituale, canonico, sociale, ora tutte queste componenti devono ritrovare la loro vitalità unitaria di coscienza e dignità ecclesiale. Questo vuol dire che il Concilio deve  tornare ad essere “vocazione” per tutta la chiesa come alla sua origine: un evento profetico fin dalla sua ispirazione!  L’intento primario è stato quello di ridare nuovo respiro e nuova forma alla vita cristiana, in maniera significativa e proponibile al mondo d’oggi, e cioè come “vita evangelica” del Popolo di Dio .

Si deve dire in proposito che, dopo aver disinnescato il Concilio della sua forza dirompente è profetica, c’è stata una modernizzazione e mondanizzazione  della pietà cristiana tradizionale, ma non una sua rigenerazione feconda e proponibile. Certamente, se c’è una icona della pietà cristiana tradizionale, è quella di Papa Giovanni, ma egli ci ha dimostrato cosa deve produrre e a cosa deve portare  una pietà maturata  in  situazioni  ed esperienze le più diverse ed impegnative: per questo ci ha richiamati alla sostanza della fede da far fruttificare, mentre dobbiamo assistere al trionfo del pietismo e del devozionismo a tutto campo come panacea di una fede non più proponibile ai più, se non come proselitismo di affiliazione.

Non è di secondaria importanza tener conto di cosa san Giovanni XXIII ha voluto offrire ed ha richiesto alla chiesa intera, al di là di questioni domestiche e di corto respiro. Ecco, forse ci sarebbe da vivere  la sua stessa vocazione  e condividere il suo stesso spirito, prima di prendere il Concilio come blocco dottrinale o come manuale di pastorale, per poterlo rivivere , ricreare e “rifare” (“aggiornamento”?)  nelle nostre condizioni culturali e storiche. Se esso vuol essere un ritorno ad un vangelo da comprendere sempre meglio, non ha finito di fare da cartina di tornasole per tanti riformismi anche attuali, Sinodi compresi.  

Ma a questo punto il discorso diventa più particolare, ci chiama in causa come  singoli individui immessi nella rete di relazioni interpersonali ispirate dalla vocazione evangelica che il Vaticano II ha rinnovato per ciascuno di noi. Sì, c’è per me un primo momento personale, quando le prime informazioni da Roma  facevano sperare che le acque stagnanti di una cristianità stanca cominciassero ad agitarsi e alla fine consentissero di uscire dal clima asfittico di una vita religiosa ridotta a monade senza finestre in un mondo ad armonia prestabilita. Non a caso si è parlato di rivoluzione copernicana. Ma di come questa vocazione sia stata recepita e interpretata sarà bene parlare un’altra volta, mentre per il momento non è fuori luogo accogliere il “Messaggio dei Padri Conciliari a tutti gli uomini”, di cui è stato ispiratore e artefice il P.M.-D.Chenu.

 

Alberto B.Simoni op

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