Koinonia Gennaio 2023


APOCRIFI DELL’ANTICO TESTAMENTO E CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI

 

La ricerca storica degli ultimi cinquant’anni, impegnata nell’analisi delle comuni radici dell’ebraismo e del cristianesimo, ha messo in luce il carattere multiforme del Giudaismo del Secondo Tempio. Il Gesù storico e il Nuovo Testamento vengono letti come facenti parte del mondo giudaico, nel contesto delle varie correnti religiose del I secolo, un periodo di grande effervescenza e di acceso dibattito fra i molteplici gruppi ebraici - farisei, sadducei, esseni, ellenisti, gesuani - che esprimevano aspettative messianiche diverse.

Scrive il prof. Gabriele Boccaccini docente presso l’Università del Michigan, fondatore dell’Enoch Seminar: “La riscoperta della molteplicità del giudaismo del I secolo permette ora di ricollocare Gesù e il suo movimento all’interno del mondo giudaico, nel pieno rispetto della sua identità ebraica, senza per questo sminuire l’originalità e la specificità della posizione cristiana. Alle sue origini il messianismo cristiano non è che uno dei possibili messianismi in competizione con altri. […] Oggi è possibile affermare che Gesù fu al tempo stesso ebreo e cristiano: totalmente ebreo per nascita, cultura e religione anche nel momento in cui divenne fondatore del movimento cristiano e promotore di una particolare interpretazione messianica”.

Il nuovo approccio storico è stato possibile anche grazie al rinvenimento nel 1947 di importanti manoscritti nelle grotte di Qumran sul mar Morto, redatti dalla comunità degli Esseni. Si tratta di antichi testi ebraici canonici e non canonici, scritti in ebraico e in aramaico mentre quelli giunti sino a noi sono nella traduzione greca. Sono di 1000 anni più antichi di quelli che conoscevamo e grazie a questi documenti abbiamo maggiori informazioni sulla storia e la cultura della Palestina a partire dal II sec. a.C. fino al I sec. d.C. Questi apocrifi sono lo specchio della varietà di idee che serpeggiavano nel giudaismo palestinese precristiano e ne rispecchiano le problematiche di fondo: il problema dell’origine del male, del rapporto tra la libertà dell’uomo e la libertà di Dio, della predestinazione, della salvezza, del giudizio divino, della fine dei tempi.

Uno dei testi più significativi ritrovati a Qumran è il Libro di Enoch, un’antologia di testi apocrifi, che copre il periodo che va dal IV al I sec. a. C. e che era ancora presente in alcuni filoni della cultura ebraica del I secolo. L’ultimo accenno al Libro di Enoch risale al IX secolo, poi il Libro andò perduto nel cristianesimo e nel giudaismo occidentale. Fu riscoperto nel 1773 in Etiopia e fatto conoscere in Europa.

Il gruppo di storici dell’Enoch Seminar sta cercando anche di ricostruire tutto ciò che concorse alla formazione religiosa e culturale del rabbi di Nazaret. Gesù era ebreo, ma che tipo di ebreo era? Prima di divenire fondatore di un suo movimento religioso, a quale comunità ebraica faceva riferimento? A una comunità essena, a una apocalittica, ad una enochica?

Questi studiosi affermano che il movimento gesuano “emerse come una crescita di un tipo specifico di giudaismo che fu profondamente modellato ed influenzato dalle tradizioni enochiche”, affermazione questa che porta a una nuova lettura dei vangeli sinottici e del Gesù storico. Dopo tanti studi e ricerche, oggi si ritiene che non sia possibile comprendere correttamente i sinottici senza il Libro di Enoch e il Libro di Daniele.

Gesù si riferisce a se stesso e viene chiamato con l’appellativo di Figlio dell’uomo. Non possiamo capire cosa in realtà questo titolo significasse e perché Gesù chiamasse se stesso Figlio dell’Uomo, se prima non si affronta il problema della collocazione storica ed ideologica del Libro di Enoch. Sappiamo che la tradizione enochica circolava ed era popolare nella comunità giudaica ai tempi di Gesù e anche, dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., nella tradizione rabbinica e in quella cristiana. In quest’ultima il libro in un primo tempo fu ritenuto canonico, poi venne abbandonato. Gli stessi Padri della Chiesa lo conoscevano bene.

Enoch è una figura biblica appena accennata, padre di Matusalemme e nonno di Noè. In Genesi 5,24 si fa riferimento a lui. Ebbe una serie di “viaggi di visione” nei quali ricevette una nuova rivelazione della creazione e della genesi del male. Questo racconto è assai più antico di quello di Genesi e attribuisce l’origine del male non al peccato di Adamo ed Eva, ma alla ribellione e alla discesa dei Figli di Dio (gli angeli ribelli) sulla terra dove corrompono l’umanità trasmettendole conoscenze segrete che non era destinata a possedere. La tradizione enochica sostiene che Dio crea l’universo “buono”, ma questo viene corrotto da una ribellione cosmica ancestrale di angeli. Questi Figli di Dio ribelli si invaghiscono delle figlie degli uomini e si uniscono a loro. Tutto questo portò nel mondo devastazione, corruzione e malvagità. Anche in Genesi (6,1-4) ritroviamo brevi accenni a questo misterioso personaggio e al racconto di un’antica ribellione cosmica. È un passo ritenuto da sempre molto oscuro e difficile, sembra una sorta di “refusi”. Oggi invece, dopo il rinvenimento del Libro di Enoch, è molto più chiaro. Secondo la tradizione enochica l’uomo non è responsabile del male, ma ne è vittima e attende da Dio di essere salvato.

Il capitolo 7 del Libro di Daniele - un testo apocalittico - ha alcune assonanze col Libro di Enoch. Scrive il profeta Daniele “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui”. Questi non è un essere umano, ma ha fattezze umane ed è rivestito dell’autorità stessa di Dio. È presentato come un personaggio di natura celeste, esistente fin dall’inizio della creazione, eletto da Dio, che si identifica con il Messia; a lui è conferito il compito del giudizio ed opererà la punizione dei peccatori. Questo Figlio dell’uomo riveste un particolare rilievo anche nel Libro delle parabole di Enoch dove possiede le stesse caratteristiche presentate da Daniele e uguale figura la ritroviamo anche nell’interpretazione che ne dà il giudaismo apocalittico.

A proposito dell’influenza che ebbe il Libro di Enoch, il prof. Boccaccini afferma: “Questa tradizione (enochica) - che si allargherà ad altre tradizioni giudaiche e al cristianesimo - sembra essere il “collegamento mancante” che ha fornito il ‘mobilio mentale’ (tra cui in particolare l’aspettativa di un arrivo imminente del Figlio dell’Uomo) che ha reso tale terminologia - che appare nei Vangeli e sulle labbra dello stesso Gesù - ampiamente riconosciuta e un pronto riferimento per gli ebrei del tempo”.

Quindi nella comunità ebraica si sapeva bene a chi alludeva Gesù attribuendo a se stesso questo appellativo e che funzione avesse questa figura: una tale consapevolezza era sicuramente diffusa al tempo in cui il rabbi iniziò la sua missione. Che nel periodo in cui visse Gesù circolasse tutta una letteratura giudaica antica lo deduciamo anche dal Nuovo Testamento dove è chiaro che i suoi autori conoscevano il Libro di Enoch e il Libro di Daniele a cui si richiamarono nella redazione dei Vangeli.

In tutta la Palestina, di fronte alla dura occupazione romana del 68 a.C., si era diffusa sempre più una forte tensione apocalittico-messianica. Secondo gli storici dell’Enoch Seminar, quello gesuano era un movimento messianico-apocalittico che si ricollegava alle teorie del Libro di Enoch. Le parole di Gesù, nella prima parte della sua predicazione, sono le stesse di Giovanni Battista la cui predicazione è riconducibile alla corrente apocalittica: “Convertitevi. Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è giunto”. La predicazione di Gesù in un primo tempo appare tutta incentrata sull’attesa imminente della fine dei tempi, sulla necessità della conversione e sull’arrivo del Regno di Dio che avrebbe finalmente portato sulla terra giustizia e pace. I suoi discepoli ne erano convinti, come si legge in Luca (19,11-28): “In quel tempo Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro”.

Una sezione del Libro di Enoch - il Libro delle parabole - è quella più vicina al Nuovo Testamento. In questo contesto il Messia è detto Figlio dell’Uomo. Boccaccini scrive che nei sinottici Gesù viene presentato all’interno della tradizione apocalittica, riprendendo il concetto di Figlio dell’Uomo della tradizione enochica: “Come si può sostenere che Gesù si sia o non si sia proclamato Messia, se prima non si capisce che cosa i suoi ascoltatori intendessero con questa parola? Come si può risolvere la diatriba riguardo all’autenticità dei detti nei quali Gesù si riferisce a se stesso con l’appellativo di Figlio dell’Uomo, se prima non si affronta il problema della collocazione storica ed ideologica del Libro di Daniele e del Libro delle Parabole di Enoch?”.

Molto probabilmente le posizioni delle varie correnti religiose riguardo al Messia e al Figlio dell’Uomo erano ben presenti e conosciute da Gesù, dai suoi seguaci, dalla comunità giudaica del tempo, oltre che dai redattori dei sinottici e dallo stesso Paolo. Per questo gli studiosi dell’Enoch Seminar ritengono che i discepoli di Gesù in un primo momento abbiano riletto le vicende del loro maestro guardando a lui come al Messia escatologico, al Figlio dell’Uomo. Ma quando il cristianesimo iniziò a espandersi fuori della Palestina e a venire in contatto con la cultura greco-ellenistica, questa teologia, ben chiara agli ebrei, non lo era invece per i gentili, mentre quella del Logos giovanneo risultò logica e naturale per chi aveva una formazione filosofica.

E l’appellativo di Figlio dell’Uomo divenne semplicemente sinonimo di uomo.

 

Daniela Nucci

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