Koinonia Gennaio 2023


Ricordando don Carlo Molari

 

I FRUTTI DEL NATALE

IL NOSTRO CAMMINO ALLA SEQUELA DI GESÙ*

 

Il teologo recentemente scomparso, attraverso queste meditazioni, intendeva fornire un aiuto

- per vedere la realtà dei nostri vissuti e delle proposte che ci vengono dalla fede con occhi nuovi, con un’attitudine più informata, adulta e serena,

- per vedere più chiaramente il rapporto tra la pratica meditativa e le consuete espressioni della nostra vita di fede,

- per integrare  i modelli interpretativi del passato con  i modelli culturali della nostra vita quotidiana,

- per cogliere il significato, il valore di questa memoria di eventi passati con un lavoro di avvicinamento che permetta di capirli e di viverli armoniosamente, senza contrasti interiori.

Secondo Meister Eckart, tre sono le nascite del Logos, la Parola del Verbo: la nascita eterna nel grembo di Dio (i processi della realtà divina che noi non conosciamo), la nascita nel tempo e nella storia nella persona di Gesù (incarnazione è non solo la nascita, ma tutto il processo della vita di Gesù), la nascita del Verbo che deve avvenire in ciascuno di noi. Quest’ultima è la più importante per noi. Con questa espressione, la nascita di Dio in noi, ci esprimiamo con una metafora che però illustra qualcosa di assolutamente reale, una reale dimensione della persona. Poiché noi siamo “un processo” (definizione del termine: svolgimento, sviluppo successivo di fatti, fenomeni che hanno tra di loro un nesso più o meno profondo), può sorgere in noi una dimensione nuova se accogliamo l’azione creatrice di Dio, la forza della vita che, in noi, arriva a fiorire in forme nuove. È la dimensione spirituale che, alimentata dell’esperienza della meditazione, della preghiera profonda, dell’accoglienza di Dio in noi, s’inserisce nel processo della persona che cresce, per cui, a un certo momento, le cose vengono viste e vissute in una prospettiva nuova. L’essere in ascolto, dice Molari, coltivare la ‘consapevolezza accogliente’, l’offrire ‘pienezza di presenza’ e ‘religioso ascolto della realtà’, soprattutto quando non ci gratifica e non la comprendiamo: questa è la più alta espressione dell’Amore.

Molari sottolinea che l’azione di Dio che riesce a esprimersi con modalità inedite non riguarda solo le persone, ma l’umanità intera: anche la specie umana è un processo. Ricordiamo qui la profonda influenza su Molari dell’opera di Teilhard de Chardin che egli ha studiato e fatta sua in modo molto originale. Perché l’azione di Dio possa esprimersi sul piano dell’azione umana, si richiede tempo da parte della creatura: non possiamo accogliere, già come individui, ma soprattutto come specie, l’azione di Dio, della vita, in un istante, subito, compiutamente. Occorre del tempo perché noi, in quanto creature, ‘siamo tempo’ che può quindi essere definito come lo spazio che occorre all’umanità per accogliere l’azione creatrice di Dio e divenire suoi figli. Tale azione non si aggiunge dall’esterno alla realtà della natura, perché è dal di dentro di noi che la forza della vita si esprime, se la facciamo nostro pensiero, nostra azione, nostra decisione. Teilhard diceva: “Dio non fa le cose, ma offre alle cose di farsi”.

Il punto è, dice Molari, che i nostri pensieri, i nostri desideri, e le nostre azioni possono esprimere la forza della vita, come possono invece decadere, inquinarsi, intorbidirsi, impedire alla vita di esprimersi in noi. Questo è il dramma della nostra esistenza, il ‘peccato’, il fatto cioè che possiamo inquinare le forze della vita, impedendo che si esprimano in noi. Questo è il senso della fede in Dio: che esiste cioè una forza del bene, una forza della vita, una verità più grande di noi che però non può esprimersi che attraverso la nostra libera accoglienza. La fede è quindi apertura fiduciosa all’azione di Dio e accoglienza partecipe di essa. Solo questo. Progressivamente nel tempo, frammento dopo frammento, passo dopo passo, questa verità più grande ci conduce alla nostra identità definitiva. Questo è il senso del nostro cammino e vale per tutti gli uomini, per tutte le culture; in un modo o nell’altro, con nomi diversi, ma questa è l’esperienza.

Per coloro che si riferiscono a Gesù, al suo vangelo, questa esperienza avviene tenendo fisso lo sguardo su di lui. (Paolo nella lettera agli Ebrei: “Fissiamo bene lo sguardo in Gesù… Tenendo fisso lo sguardo su Gesù”). La fede cristiana, la fede in Dio per i discepoli di Gesù viene vissuta secondo quel paradigma che lui ha utilizzato e per il quale ha avviato un processo nuovo nella storia degli uomini.

Gran parte di quello che si è scritto e si scrive di Gesù, analisi e ricerche anche notevoli in seguito alla scoperta di nuovi documenti, sono in genere compiute al di fuori dell’orizzonte della fede, non come riflessioni sull’esperienza della via tracciata da Gesù, per cui molte componenti non possono essere colte perché è solo dal di dentro, cioè vivendola, che si capisce l’esperienza vissuta da Gesù.

Conosciamo la condizione dell’umanità oggi (Molari parlava nel 2006, ma da allora la situazione è solo peggiorata), condizione quanto mai drammatica e sappiamo ormai che la soluzione delle sue molteplici crisi non può venire da quello che finora abbiamo scoperto, che abbiamo saputo o potuto realizzare. La responsabilità che noi abbiamo, come discepoli di Gesù, è immensa: è quella di testimoniare che il Vangelo che egli ha proposto e per cui è stato ucciso, non è un’utopia, non è una proiezione immaginaria di persone sfruttate, ma una proposta concreta che rende possibile il futuro dell’umanità.

 

Donatella Coppi

*Una riflessione sull’intervento di Carlo Molari alla comunità di Condino per il Natale 2006, riportata in un opuscolo dal titolo CELEBRARE IL NATALE, ossia IL NOSTRO CAMMINO ALLA SEQUELA DI GESÙ

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