Koinonia Gennaio 2023


ALLA RICERCA DI UN METODO

 

Se ci chiediamo come mai, nonostante tutta la passione, l’impegno e la buona volontà, col Concilio Vaticano II siamo a questo punto (di oblio o di cancellazione), le risposte possono essere tante. Ma fondamentalmente è perché è mancato un metodo e ci siamo affidati allo spontaneismo, all’entusiasmo, all’improvvisazione, nella facile illusione  che intervenendo sulla superficie della vita della chiesa si modificasse anche la sostanza del credere. In realtà le cose non sono andate così, e non a caso ad un certo momento si è parlato di “riflusso”, e cioè di ripiegamento e di abbandono, per tornare  con nostalgia all’Egitto. E un Concilio che aveva preso forma grazie a teologi e a prospettive teologiche di esodo, ha perso in seguito questo orientamento unitario di fondo ed è stato gestito  per via istituzionale e di magistero dall’alto, mentre il ritrovato pluralismo è andato in ordine sparso, con grandi folate ma senza costrutto, per cui tutto si è consumato nell’immediato, lasciando ceneri sparse un po’ dappertutto.

Non sono mancati richiami a darsi un metodo che coordinasse approfondimenti e sviluppi di pensiero con le istanze pastorali: la contrapposizione “ortodossia” “ortoprassi” ha di fatto portato ad una situazione ibrida in cui la fede si risolve in prassi liturgica, pratiche di pietà ed esercizio di carità, ma ha perso quasi del tutto il suo spessore di verità, e quindi la sua dimensione di pensiero, culturale e di visione del mondo: la dimensione propriamente teologica ed organica della sua sostanza. Ed anche quando si fa appello al discernimento dei “segni dei tempi” è più per avvalorare eventi in senso religioso che per una comprensione  del vangelo di Dio nel suo mistero!  È mancato il soggetto portante di queste operazioni: il Popolo di Dio da far maturare e crescere nella sua dimensione messianica, profetica e sacerdotale. Qualcosa che rimane all’orizzonte  come vocazione primaria ed unitaria, al di là di liturgismi, biblicismi, spiritualismi, pragmatismi separati: non altrimenti che attraverso una coscienza forte di essere Popolo di Dio nella storia in tutte le sue espressioni.

Se ci diciamo queste cose, è perché è quanto abbiamo sempre pensato, detto e perseguito, ed è forse per questo che non abbiamo trovato mai ascolto o posto tra quanti hanno cercato posizioni ben definite sia all’interno che all’esterno. E se ora ce le stiamo ripetendo, è perché non sono più solo parole, ma sono una urgenza, come residua chance di ulteriore fecondità del Concilio Vaticano II. È stato evocato e invocato spesso un Concilio Vaticano III, magari come Concilio di Gerusalemme II; ma dobbiamo dirci onestamente che questo altro non sarebbe se non la metabolizzazione del Vaticano II da parte di un nuovo Popolo di Dio in tutta la sua dignità, responsabilità e libertà.  Ed è in questa linea  che il Concilio continua ad essere una vocazione.

Devo dire che a queste considerazioni mi hanno indotto ancora una volta sia la lettura di un articolo di Enzo Bianchi su La Stampa del 3 dicembre e sia anche una lettera che il comboniano P.Luigi Consonni ha fatto pervenire a me attraverso la redazione di Rocca, in reazione all’articolo “Voglia di teologia” apparso su Koinonia, ma poi ripreso dal quindicinale di Assisi. Enzo Bianchi prende in considerazione il libro di Giancarlo Gaeta che è stato oggetto di attenzione nell’ultimo numero di Koinonia e che ha lasciato intravedere una possibile impostazione di metodo per una ripresa di un libero cammino “conciliare”.

Un primo passo da fare in questo senso è ascoltarci e tener conto di quanto altri pensano e dicono, perché sembra che si proceda in una ridda di “assolo” che fanno opinione ma non convinzione: che non fanno “scienza” o mentalità, per un dialogo costruttivo e non solo di confronto. Viene da ripensare a quanto san Tommaso dice nel prologo della Somma riguardo all’apprendimento teologico alla portata di tutti: vi si oppone “la molteplicità di questioni, articoli e argomenti inutili”, il fatto che le cose da apprendere “non sono insegnate secondo l’ordine della materia, ma come richiede il commento di tanti libri o l’occasione della disputa”,  e anche il fatto di “ripetere sempre le medesime cose (che) ingenera negli animi degli uditori fastidio e confusione”. È quanto ci succede sotto  gli occhi come la cosa più ovvia del mondo, quando invece si tratta di uno sfilacciamento inarrestabile in parallelo al disorientamento generale che c’è intorno.

E visto che lo spunto iniziale a riprendere questo discorso sulla “questione teologica” nasce proprio da questi due scritti – che vengono riportati di seguito - qualche suggerimento prendiamolo proprio di lì. Enzo Bianchi, con riferimento al libro di Giancarlo Gaeta (vedi Koinonia 12/2022), dice che la crisi del cristianesimo è “epocale”, ma essa continua ad essere mascherata ed occultata da un protagonismo e pragmatismo ecclesiale irrilevanti ai fini di una presenza evangelica forte. Per quanto riguarda il mondo della fede, noi possiamo continuare a ridurlo a forme e pratiche di pietà a ripetizione, quando ci sarebbe da “promuovere la fede degli eletti di Dio e la conoscenza della verità che è conforme alla pietà” (Tito 1,1). Bianchi riconosce a Giancarlo Gaeta di aver posto in evidenza la netta distinzione tra “il nocciolo incandescente del messaggio evangelico” e tutte le sue traduzioni e interpretazioni storiche: qualcosa a cui avrebbero voluto riportare tante voci profetiche, col risultato immediato di essere state messe a tacere, ma che poi danno la misura del ritardo della chiesa sul quadrante della storia.

Siamo riportati al punctum saliens indicato da Papa Giovanni come vocazione di tutto il Concilio, con la differenza che dopo di lui ci siamo occupati di tutti i possibili rivestimenti storici e culturali della fede, non curandoci affatto della sua sostanza, come fossero cose separate, mentre la fede creduta e la fede vissuta e praticata dovrebbero andare di pari passo. Per la verità, Enzo Bianchi non evidenzia la dimensione messianica ed escatologica della fede, cosa che sembra rilevare P. Luigi Consonni riguardo all’articolo “Voglia di teologia”, nato come semplice rilevamento della esperienza di Koinonia più che come trattazione accademica. Non nascondo che questa inaspettata sua attenzione mi ha confermato sulla validità della ipotesi poco considerata di una “Questione teologica aperta”!

 

ABS

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