Koinonia Dicembre 2022


Un significativo passaggio dal libro di Giancarlo Gaeta

“In attesa del Regno. Il cristianesimo alla svolta dei tempi”

 

PAPA FRANCESCO TRA SCILLA E CARIDDI:

TRA CHIESA PRESENTE E CHIESA FUTURA

 

Si assottiglia sempre più lo stacco tra credenti e non credenti: ai primi viene meno il riferimento necessario all’istituzione, i secondi tendono ad appropriarsi di valori e linguaggio del cristianesimo. In tal modo viene meno per la Chiesa il ruolo di mediazione tra l’esperienza umana e l’assoluto. Un mutamento storico di enorme portata, che avrebbe per Certeau l’effetto positivo di chiudere la storia dei duemila anni di cristianesimo e di riportare alla situazione originaria della conversione intesa come sequela di Gesù, che non ha un luogo proprio perché avvenuta prima e a prescindere da qualsiasi istituzione. Scrive Certeau in un testo del 1974 che ricapitola la sua posizione:

Fondamentalmente il senso evangelico non è un luogo, ma si enuncia piuttosto in termini di instaurazione e di superamenti di luoghi effettivi, ieri religiosi, oggi civili. Non potremo dunque ritrovare per esso una localizzazione propria, né cercargli una specifica espressione nuova... Ciò che va scomparendo è dunque la possibilità per l’esperienza cristiana di fare essa stessa corpo. Ma per reazione si rinforzano la necessità - e il desiderio - di fare corpo con la storia. Non c’è un altro suolo se non quello dei luoghi e dei compiti sociali, intrecciati gli uni con gli altri, limitati e impossibili da capitalizzare. Un’esperienza tellurica si sostituisce alle protezioni offerte dal ‘corpo di senso’ che garantiva un ‘universo senza smentita’” (M.De Certeau-J.M.Domenach, Il cristianesimo in frantumi, pp.85-86).

Direi che papa Francesco si stia movendo lungo il margine che collega e divide queste due letture della situazione ecclesiale in rapporto alla società. Deve tenere insieme l’enorme patrimonio religioso sottoposto ad un processo di sfaldamento difficilmente reversibile e un suo orientamento spirituale e pastorale che tende a “fare corpo con la storia”. Di qui, mi sembra, una certa ambiguità della sua posizione, diviso com’è tra il compito istituzionale assunto e la pratica pastorale governata dal rapporto con l’altro nella concretezza dei problemi umani e sociali, e perciò la difficoltà, se non l’impossibilità a lungo termine, di tenere insieme due modi di leggere la storia del cristianesimo in rapporto alla situazione socioculturale attuale. In definitiva due concezioni della vita cristiana, una delle quali suppone una continuità col passato in forza di un rinnovamento spirituale dei credenti destinato a riflettersi sul mondo ecclesiale e di conseguenza sulla società; mentre l’altra prende atto della sparizione dei luoghi ecclesiali in relazione al credere, anche se l’istituzione seguita a operare nei campi della cultura, del sociale e dell’economico, e preconizza un nuovo inizio cristiano non più garantito da un’istituzione religiosa, come già fu per Gesù e per coloro che dapprima lo seguirono, senza altro riferimento che l’annuncio evangelico nella situazione data e perciò pienamente incarnati nella vita comune.

Penso che chi intenda interrogarsi laicamente sullo stato della Chiesa in questo tempo e su cosa possa venirne di buono per una società, la nostra, incapace di darsi un senso, debba iniziare a rivolgere l’attenzione innanzitutto su ciò che è implicato nella scelta che Bergoglio ha fatto assumendo il papato nel momento in cui difficilmente poteva sfuggirgli la prossimità del punto critico di rottura a cui la Chiesa sta pervenendo. Certo, egli fa ciò che ritiene suo dovere per ritardare il crollo tamponando il tamponatile, ma mi sembra che in cima ai suoi pensieri ci sia piuttosto il tentativo di un nuovo inizio, con l’urgenza di chi sa che poco è il tempo che resta all’istituzione bimillenaria e che, finché essa è in piedi, bisogna fare il possibile per indicare un nuovo modo d’essere del cristianesimo tra gli uomini. Un’operazione tanto difficile quanto drammatica, che ricorda, enormemente moltiplicata, quella tentata e fallita da Gorbačëv nei riguardi dell’Unione Sovietica. Non so dire se egli pensi con la radicalità di Certeau che ad essere in gioco sia oramai “lo spostamento della sacramentalità” dal puro ordine della fede all’impegno sociale e politico senza alcun riferimento alla Chiesa; ma certo non è un caso che egli provenga da quell’America latina che a Certeau appariva già orientata ad “articolare una ripresa del cristianesimo a partire da una scelta sociale preminente (per la liberazione, per il socialismo), invece di supporre, come un tempo, che un impegno potesse essere indotto da una fede” (La debolezza dal credere, p. 263). In ogni caso, la lezione che ne viene per chi la Chiesa presente e futura la guarda dal di fuori è che se si ha davvero fede nei valori che sono stati costitutivi della nostra civiltà, occorre cercare per la propria parte le vie per farli transitare in tutt’altra situazione storica, facendosi all’occorrenza interlocutori attivi di chi nella Chiesa su questa via si è messo tra enormi difficoltà e contraddizioni drammatiche, ma procedendo sulle proprie gambe. È di un siffatto coraggio intellettuale e morale che c’è urgenza.

 

Giancarlo Gaeta

da In attesa del Regno, pp.191-93

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