Koinonia Dicembre 2022


TENERE VIVA LA MEMORIA

 

Prendendo tra le mani il libro di Anna Foa “Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni” (Laterza 2022, pp. 290, € 24,00), istintivamente vado a leggere la Postfazione, riportando l’impressione di essere in ascolto di un messaggio  troppo importante  per non farne tesoro insieme, al tempo stesso in cui è motivo di riflessione.

Viene da chiedersi infatti a che punto siamo con la memoria che ci costituisce: se struttura ancora la nostra coscienza e la nostra esistenza, ammesso che questo sia avvenuto non solo sulla carta e nei riti, ma nello spirito di un Popolo.

Sappiamo quanto sia  triste la perdita della memoria personale, ma non meno increscioso è diventare smemorati come Popolo e comportarsi come “aborigeni”, impoveriti della propria storia.

La domanda a cui Anna Foa ci costringe a rispondere è questa: “Che cosa resta dell’interpretazione che abbiamo dato della nostra storia dopo il 1945, del monito impartito all’umanità dagli eventi estremi della Shoah, dalla sua memoria?”.

A parte ogni altro riferimento, in linea generale possiamo chiederci che quoziente di memoria abbiamo come popolo e quanto essa ispiri ed orienti il nostro futuro.(ABS)

 

 

Mentre scrivo queste righe, il mondo sembra essersi in pochi mesi completamente rovesciato, e chissà se potrà mai ritornare anche solo ad assomigliare a quello di prima. Molte delle cose dette nelle ultime pagine di questo libro sembrano superate dai fatti recenti: l’aggressione russa all’Ucraina, la guerra e tutte le conseguenze che comporta. Difficile scrivere mentre tutto è ancora così aperto, così in bilico. Uno dei pilastri su cui ogni interpretazione degli ultimi ottant’anni si reggeva, l’esistenza dell’Europa unita e della lunga pace che ne era derivata, potrebbe essere in forse, e certamente non possiamo più parlare di pace in Europa e non possiamo più, come abbiamo fatto quasi trent’anni fa con la guerra in Bosnia, far finta che non di Europa si tratti.

Che cosa resta dell’interpretazione che abbiamo dato della nostra storia dopo il 1945, del monito impartito all’umanità dagli eventi estremi della Shoah, dalla sua memoria? Potrà questa memoria sopravvivere agli eventi di oggi? E se ci limitiamo a guardare alla memoria di noi italiani, il riconoscimento della somiglianza fra Marzabotto e Buca non renderà meno prioritario ricordarsi di Marzabotto o della razzia del 16 ottobre?

Eppure, è alle immagini della seconda guerra mondiale, della Shoah, della guerra di Hitler che il linguaggio di questa nuova guerra si volge per parlare di sé. Putin definisce la sua aggressione allo Stato ucraino come «denazificazione», intendendo per nazisti tutti coloro che non sono russi e soprattutto suoi sudditi fedeli, mentre Zelensky usa, per invocare aiuto contro i russi, richiami alla Shoah che almeno per il momento sono forse prematuri, mentre non appaiono tali se non di Shoah parliamo ma della guerra contro i civili portata avanti dai tedeschi nel corso della seconda guerra mondiale come oggi dai russi nelle città ucraine. Il lungo dibattito, durato oltre un secolo, sui crimini di guerra e su quelli contro l’umanità non è bastato a convincere il mondo che uccidere i civili è un crimine, non un effetto collaterale della guerra. Chi oggi dice di questi massacri «È la guerra!» ignora gli sforzi compiuti nel Novecento, dopo la Shoah, per identificare e prevenire i genocidi e i crimini contro l’umanità.

Se è vero che la memoria della Shoah potrà affievolirsi, non sono però i richiami a quelle immagini ad esserne responsabili, bensì il fatto che ci troviamo di fronte ad altri eventi estremi, che questa volta non possiamo ignorare come abbiamo fatto troppe volte, perché li abbiamo in casa, e ci appaiono più minacciosi di quando riguardavano il Ruanda o Srebrenica. Non sappiamo oggi come questi eventi cambieranno non solo la nostra vita stessa ma il nostro modo di interpretarla e la nostra memoria, e se saranno tanto catastrofici da cancellare quelli estremi del Novecento: eventi che certo oggi non ci sembrano più così isolati, così incomparabili.

Comunque vada, credo che la storia, anche di fronte ai grandi rivolgimenti, mantenga un suo compito. Anche questa storia, la storia di una piccola minoranza, del suo rapporto con la maggioranza, della sua vitalità e cultura, delle sue persecuzioni. Se non altro perché, guardando a ciò che è stato alla luce di ciò che avviene, ci insegna a misurarci sempre con il resto del mondo, a restare esseri pensanti, a salvaguardare la nostra umanità, a guidarci nelle nostre ineludibili scelte.

 

Anna Foa

da Gli ebrei in Italia, pp. 251-52

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