Koinonia Novembre 2022


UNA RISPOSTA DEL TUTTO INTERLOCUTORIA

 

Caro Enrico,

         sono contento del tuo disaccordo e ti ringrazio, segno anche questo di fraternità. Anche se in maniera approssimativa e interlocutoria, provo a riprendere il filo del discorso. Per dirti prima di tutto che il terreno in cui nascevano le mie osservazioni non era quello delle parole di Papa Francesco al Congresso dei Leader delle religioni mondiali e tradizionali: queste sono da sottoscrivere e da mettere in pratica al 100% per quello che dicono e propongono. I miei interrogativi derivavano dalla successiva lettura della omelia tenuta lo stesso giorno, in cui si celebrava la liturgia della Santa Croce. Mi sono ritrovato al centro del mistero cristiano, ma lontano da quel mondo del tutto diverso evocato nel discorso di apertura del Congresso: due mondi diversi e lontani?

Mi è sembrato cioè di veder affiorare in questa coincidenza un problema che è nell’aria e che poteva così essere segnalato su dati di fatto: se e come la dimensione fede interagisca con la dimensione religiosa, o se siano dimensioni parallele che non si toccano nella loro verità, ma si incontrano solo volontaristicamente sul piano di attività comuni a beneficio di tutti. Tutto questo va benissimo ed è auspicabile al massimo, come convergenza e responsabilità condivisa, in una sorta di omologazione religiosa di buone pratiche. Come stanno assieme le due sfere, quella ad intra e quella ad extra? E, fatti salvi i punti di convergenza operativa, non sarebbe opportuno evidenziare da dove scaturiscono? C’è in vista una ipotetica comunione di fede o tutto è frutto di pura buona volontà e di risposta ad emergenze storiche?

Ripeto, ottima cosa da favorire, ma mi verrebbe da dire che il dialogo a questo punto è solo a metà, in quello che unisce, mentre è messo tra parentesi ciò che differenzia: andrò e rileggere “La differenza cristiana” di Enzo Bianchi! E se, come sembra evidente, non tutto coincide e qualcosa è uguale per analogia, è inevitabile in questo caso una differenza maggiore della similitudine: le identità non dichiarate sono certamente più rilevanti di quanto all’atto pratico è condiviso, qualcosa che vale anche ad intra! Tant’è che verrebbe da chiedersi se un dialogo totale non debba includere anche le differenze, in maniera aperta, o debba ridursi a quanto operativamente è giusto che torni.

Del resto le parole conclusive del discorso di Papa Francesco sono chiare: “Non cerchiamo finti sincretismi concilianti, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno. Solo così, nei tempi bui che viviamo potremo irradiare la luce del nostro Creatore”. Da questo punto di vista riportavo precedentemente i nn. della Evangelii gaudium, a cui possiamo aggiungere queste altre parole di Papa Francesco dal Discorso del 14 settembre: “La libertà religiosa è un diritto fondamentale, primario e inalienabile, che occorre promuovere ovunque e che non può limitarsi alla sola libertà di culto... Relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa; favorire, al contrario, contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio.

Caro Enrico, se queste sono considerazioni di principio, mi rendo perfettamente conto che nelle circostanze di fatto le cose non potevano andare diversamente, ma è importante mantenere le giuste distinzioni e guardare le cose nel loro insieme. In questo nostro scambio mi dai opportunità di dirti che sarei portato a considerare il rapporto del cristianesimo con le altre religioni mondiali e tradizionali come applicazione del rapporto interno alla Chiesa tra fede e religione, che non solo non coincidono, ma che si differenziano radicalmente pur essendo un tutt’uno! Non mi sognerei minimamente di identificare le verità della fede con le forme e le modalità con cui vengono pensate e praticate. Non vedo perché io possa mettere in discussione la mia stessa religione e debba accettare a scatola chiusa le altre! Più che vero e giusto, dunque, quello che tu mi dici, dandomi modo di chiarire i miei interrogativi: tu mi riporti alla fonte da cui dovrebbe scaturire anche il dialogo a 360° con tutte le religioni così come con le culture, ma mi dai anche modo  di porre un problema che per me esiste anche all’interno tra cristiani e tra le chiese.

Non a caso richiamavo l’esperienza di Paolo ad Atene, che rimane indicativa. Ma quello che torno a chiedermi è perché non sia la luce stessa della fede con la sua verità a fare da orizzonte ad urgenze ed iniziative storiche innegabili. Non mi rallegro per una fede della Chiesa ridotta a presupposto ideale di impegni storici validi, ma priva di una sua forza di verità, e quindi una chiesa alla mercè di una religiosità devozionale e pastorale pietista. Quello che il Papa dice non dovrebbe poterlo ottenere dalla sua Chiesa? Niente da eccepire che egli faccia e dica quello che fa e che dice, ma ha dietro di sé e con sé una chiesa che sente alla stessa maniera? Questo non è più un problema per nessuno?

Mi sembra di poterti dire, caro Enrico, che quanto a questo abbiamo tirato i remi in barca, forse anche perché la grande pesca del dopo-Concilio è andata a vuoto. Ecco, vorrei che non si cercasse di colmare questo vuoto a forza di supplenze e pionierismi collaterali, e che anche la capacità di dialogo con le religioni diventasse mentalità e prassi, spirito dell’intero Popolo di Dio. Non vorrei insomma che facessimo come la volpe con l’uva e ci dispensassimo dall’impresa primaria, a cui siamo più che mai chiamati. Forse sì, è un mio problema, ma non posso impedirmi di porlo. Grazie della paziente attenzione.

 

Fraternamente  Alberto

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