Koinonia Novembre 2022


Riflessione dell’11 ottobre 2022, a 60 anni dall’apertura

del Concilio Vaticano II, “Vangelo sine glossa”

 

PER COMINCIARE A COMPRENDERLO MEGLIO

        

Volendo in qualche modo rivivere l’evento di grazia del Concilio Vaticano II, viene da parafrasare quanto Papa Giovanni ha pronunciato sul letto di morte riguardo al vangelo, pochi giorni prima del suo passaggio dal mondo al Padre: “Non è il vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Se in verità il Concilio è nato - come ispirazione dall’alto e come effettuazione dal basso - per dare nuova linfa e continuità al vangelo nell’oggi, può essere ripreso e rivissuto come tale nel suo percorso carsico e accidentato; se cioè è stato evento di grazia, è così che va accolto; se è stato un momento profetico, non può esaurirsi nelle sue realizzazioni di fatto o nei suoi ritardi storici; se è davvero una nuova Pentecoste non può essere misurato dal tempo, ma deve essere misura intrinseca del tempo. La sfida e il conflitto che ne deriva sono più che mai aperti, ma se non si tiene conto di questa genesi del Vaticano II, possiamo stare a discuterne all’infinito, senza mai decidersi per la sua vera causa.

È alla luce di queste parole illuminanti di Giovanni XXIII - pronunciate in un contesto di confessione-testamento spirituale il 24 maggio 1963 - che provo ad ascoltare la voce del vento conciliare che soffia da sessanta anni, nella convinzione che “la chiesa cattolica non è un museo di archeologia. Essa è l’antica fontana del villaggio che dà l’acqua alle generazioni di oggi, come la diede a quelle del passato”. Sono anche queste parole di Papa Giovanni del 13 dicembre 1960, e sono l’immagine sorgiva di una chiesa fonte di acqua perenne secondo la promessa di Gesù: “Fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal cuore di chi crede in me”. Altri possono interessarsi ai diversi percorsi che questa acqua si è creata nel suo scorrere, o lamentare secche e sacche che ne impediscono il deflusso. Personalmente non posso impedirmi di ripercorrere interiormente questi 60 anni secondo la prospettiva originaria, che risiede e rimane viva nello spirito e nella parola di Giovanni XXIII. Ed a cui tornare come alla fontana del villaggio, perché non basta riconoscergli la sola paternità del Vaticano II, se non si cerca di condividerne lo spirito e gli intenti di fondo!

Il fatto è - ma la percezione era già viva in Papa Giovanni - che la fontana del villaggio era ormai di un “villaggio globale”, e quindi anche la chiesa  doveva cambiare le dimensioni  della sua funzione di sempre: rinnovare le dinamiche della sua stessa natura nell’esercizio della sua missione. Ed allora c’è da tirar fuori dalle sue potenzialità di vita, quasi per emanazione, altre espressioni ed altre forme, cercare una collocazione nuova nella storia degli uomini.  È quanto ha inteso fare Giovanni XXIII, ma è chiaro che dilatazioni e amplificazioni della chiesa esistente richiedevano un suo ripensamento e una sua ristrutturazione, tale però che ne conservasse la sua natura e ne liberasse tutte le ricchezze a beneficio del mondo intero (in eodem sensu et eadem sententia!).

Se ora qualcuno è interessato agli sviluppi istituzionali di questa operazione epocale, alle sue applicazioni, ai documenti prodotti e ai cambiamenti adottati, può rifarsi a Paolo VI e a tutta la corrente di testi che hanno determinato una visione ideale del Concilio, rimasta chiusa in se stessa come in una bolla immateriale e non come forma nuova di chiesa nell’esistente. Ma se si vuole cogliere e rinnovare il passaggio da un sistema di chiesa ad un altro, da uno stile ad un altro, da una spiritualità ad un’altra…, non possiamo considerare Giovanni XXIII come semplice punto di partenza, per andare avanti con spirito e intenti diversi. Per cui è di vitale importanza entrare nella sua prospettiva, che prima d’essere di ordine istituzionale è nell’ordine della grazia: e cioè in quella continuità di vangelo che dobbiamo comprendere meglio. Questo vuol dire che prima d’essere il frutto di un’assemblea universale con i suoi documenti, il Vaticano II è rinnovata passione e vocazione per il servizio del vangelo in un mondo nuovo.

È perciò una questione di scelta tra orientamenti diversi che andrebbero bilanciati, perché anche del Concilio sono possibili letture diverse, purché chiare e compatibili, tanto che potremmo parlare di Concilio Vaticano II secondo Giovanni, secondo Paolo, secondo Giovanni Paolo I e II, secondo Benedetto XVI, ma in ultima analisi secondo la ricezione della base, che è come il campo in cui viene gettato il seme, e che dà frutti in misura diversa. Il fatto è che il Concilio si è sviluppato più ai vertici come documenti che alla base come vita, in maniera spesso controversa: è diventato più testa che gambe!

Ma se c’è un luogo teologico decisivo di svolta in cui avviene il passaggio da un’epoca all’altra - la rivoluzione copernicana! - questo risiede nella persona e nel pontificato di Giovanni XXIII: quanto egli ha osato proporre alla Chiesa intera con il Concilio, è quanto già aveva sperimentato e maturato in sé. In lui una risoluzione e una ricucitura tra il mondo e la chiesa era in atto, e forte del suo ruolo ha voluto che questo spirito si irradiasse nel mondo attraverso la chiesa intera: si tratta di una “responsabilità pastorale” ad ampiezza universale, che attraverserà e caratterizzerà tutto il Concilio, per risvegliare e rinvigorire la fede della chiesa. Ma che stenta a produrre quella “conversione pastorale” tanto invocata da Papa Francesco: là dove il Concilio dovrebbe avere le sue ricadute.

Al di là di ogni intento storico ed esegetico, abbiamo la possibilità di affidarci alla parola viva di Giovanni XXIII nel suo testamento spirituale - come in altri suoi pronunciamenti - per entrare in sintonia e nell’ottica di quanto lo Spirito ha detto alle chiese attraverso di lui. Si direbbe che la chiesa ha ripreso il suo cammino storico perché ha ritrovato la sua vita teologale, nella quale deve rimanere se vuole andare avanti e non identificarsi con qualche sua forma transitoria, in semplice sostituzione di quelle passate. Anche se egli ha dato di sé un’immagine “clericale”, ha ritrovato le origini evangeliche della chiesa nello spirito delle Beatitudini.

Ma veniamo alle parole di Papa Giovanni del 24 maggio 1963, dieci giorni prima della sua morte. Egli sembra sentire il bisogno di aprire il suo animo ai suoi collaboratori vicini, quasi a voler trasfondere su tutta la chiesa in Concilio il suo spirito di Pastore universale. Niente di studiato e programmato, ma tutto nella piena spontaneità e sincerità, a partire dal bisogno di confessare la propria fede davanti a tutti e con tutti. È questa la sua collocazione nella chiesa come uomo di fede e uomo di Dio, ed a questo sembra voler riportare la chiesa intera, in quanto “noi a beneficio del mondo intero trattiamo gli affari più alti, ispirandoci alla volontà del Signore”. Se si sottovaluta questa collocazione di fede profonda e questo orientamento agli “affari più alti”, si rischia di fare di Papa Giovanni l’ideatore a tavolino dell’operazione-Concilio in senso dottrinale e istituzionale, mentre per lui vuole rimanere prima di tutto esercizio e testimonianza di fede a beneficio del mondo intero.

Lo sguardo di fede su questo mondo porta a rendersi conto che ora più che mai come chiesa “siamo intesi a servire l’uomo in quanto tale e non solo i cattolici”.  La chiesa intera è chiamata a sentirsi e mettersi al servizio dell’uomo “in quanto tale” e ad avere a cuore “i diritti della persona umana e non solamente quelli della chiesa cattolica”. Siamo ad appena un mese e mezzo dalla pubblicazione della enciclica Pacem in terris, che ancor prima delle indicazioni conciliari della Lumen gentium e della Gaudium et spes dava una proiezione della chiesa sul mondo.  Non più quindi fuga o paura del mondo, ma apertura e responsabilità piena nei confronti del mondo nel suo reale stato. Prendersi cura dell’umanità e degli uomini è il compito pastorale primario della chiesa, per cui il rapporto al mondo non è opzionale o puramente caritativo, ma è costitutivo del suo stesso essere: e se non può ridursi ad ecclesificazione del mondo, non può neanche diventare mondanizzazione della chiesa.

In questo ampio orizzonte - che non può diventare pura visione ideologica, sganciata dal realismo della fede - c’è da fare attenzione alle circostanze e alle situazioni concrete, che sono segnalate come realtà nuove, e che riconducono al fenomeno e alla tendenza di riunificazione nella società e nei popoli, per cui il Magistero ecclesiastico col Concilio “si presenta in modo straordinario a tutti gli uomini che sono nel mondo, tenendo conto delle deviazioni, delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea <…> Infatti, con opportuni aggiornamenti e con la saggia organizzazione di mutua collaborazione, la Chiesa farà sì che gli uomini, le famiglie, i popoli volgano realmente l’animo alle cose celesti” (Discorso di apertura del Concilio).

Decisa a misurarsi con lo stato delle cose del mondo, la chiesa prende nuova coscienza di sé e si rende conto che il vangelo che abbraccia il mondo la sovrasta e che essa comincia a comprenderlo meglio, grazie anche ai segni e alle sollecitazione dei tempi. Come dire che è coinvolta nella storia in tutto e per tutto, ma insieme portatrice in sé di una potenza che vince il mondo, appunto la forza del “credere al vangelo”, che non è più un fenomeno di massa e passivo, ma è assunzione di responsabilità dell’intero Popolo di Dio nella storia ! Ed in effetti, in questione c’è la vitalità e la fecondità di questa fede, prima che l’efficienza di una organizzazione o la solidità di una istituzione.

C’è in queste poche parole la prospettiva in cui Giovanni XXIII ha inteso lanciare la chiesa nel futuro, portando a testimonianza la sua stessa esperienza di chiesa, di chi si è trovato di fronte ai compiti nuovi di un’attività sociale che investe tutto l’uomo, e ha potuto confrontare culture e tradizioni diverse. E che ora “sa che è giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di sceglierne le opportunità e guardare lontano”. Basterebbero queste poche parole per comprendere e intraprendere tutta l’avventura conciliare in cui ci ritroviamo anche oggi, e per capire come assicurare un futuro, che sembra compromesso dalla stagnazione a tutti i livelli. Dove un ritorno al Concilio dovrebbe portarci ad agitare di nuovo le acque. Se d’altra parte il Concilio Vaticano II ha voluto essere una ripresa del Vangelo “sine glossa”, il Vangelo  che non cambia è sempre lì, in attesa che cominciamo a comprenderlo e testimoniarlo meglio.

Se in un primo momento si è trattato di attenersi alla “lettera” del Concilio, per conoscerne i contenuti, è stato poi giocoforza coglierne lo “spirito”, per assicurargli un futuro: ora è necessario che ci siano interpreti e testimoni dediti a tempo pieno alla sua incarnazione evangelica. È la dimensione profetica del Vaticano II.

 

Alberto B. Simoni op

 

Se il Vaticano II, a differenza di tutti gli altri Concili, ha voluto essere un nuovo inizio della comprensione e dell’annuncio del vangelo, anche se non avesse avuto alcun seguito o lo avesse avuto solo in parte, è chiaro che è lì come punto di partenza e come immutata responsabilità del Popolo di Dio, che è costretto dallo stato delle cose nel mondo a ripetersi con Paolo: “Se evangelizzo, non debbo vantarmi, poiché necessità me n’è imposta; e guai a me se non evangelizzo!” (1Cor 9,16). Ci sarebbe da prendere molto sul serio e realisticamente l’affermazione che “il campo è il mondo” (Mt 13,38).

Questo obbligo non va soddisfatto con un’adesione ideale di massima agli insegnamenti del Vaticano II, né con l’adempimento passivo delle sue prescrizioni, ma come risposta personale di comprensione e di azione. E come la novità del Concilio era nata prima di tutto nella persona e nell’animo di Papa Giovanni, così la sua continuità bisogna che nasca da ciascuno di noi, non in ordine sparso, ma in maniera convergente e incondizionata. Naturalmente per chi ritiene di starci.

Inutile dire che si tratterebbe di un coinvolgimento epocale come per il vangelo, e non di un aggiustamento d’ufficio, altrimenti è meglio non parlare più di cambiamento d’epoca con cui fare i conti!

Alberto B.Simoni op 

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