Koinonia Novembre 2022


Atteggiamento interiore della preghiera

e orientamento fenomenologico verso l’interiorità[1]

 

Gli istinti nel senso corrente, i presentimenti originari “istintivi”, come quello originario dell’essere presente di Dio nell’interiorità, come il presentimento senza una visione intuitiva, che sta alla base di ogni religione effettiva. Si deve, perciò, considerare particolarmente ciò che segue: nella preghiera intensa reale, quella autentica, l’io che prega non è rivolto verso l’esterno, ma verso l’interiorità. Tutte le immagini cultuali sono immagini e, tuttavia, non lo sono; infatti, già quando Dio come “Padre” è rappresentato in modo mondano e reale con la struttura di un padre reale, non è più rappresentato come Dio. Un’immagine deve avere un’autentica analogia con ciò che rappresenta, un’identità rispetto alla forma essenziale. È naturalmente un grande problema – la cui soluzione, in fondo, appartiene alla filosofia – rendere comprensibile quale tipo di “simbolizzazione” abbia luogo nei simboli religiosi e, quando si trova una somiglianza con ciò che si vuole rappresentare, in quale direzione ha luogo la somiglianza. Ogni immagine di Dio orienta lo sguardo verso ciò che è esteriore. Il reale ed attuale rapporto con Dio è invece interiore, l’atteggiamento interiore della preghiera. In ogni istinto ancora da scoprire è presente, quando è in actu, la direzione intenzionale, ma in un orizzonte vuoto, del tutto privo di forma, diretto ad uno scopo che non ha una struttura conoscitiva predesignata. In ciò consiste la comunanza fra la coscienza religiosa e l’istinto. Si dovrebbe, allora, dire che solo la filosofia fa chiarezza su ciò che si annuncia nella propria interiorità quando si è rivolti interiormente alla preghiera? O si può prendere in considerazione qui, così come in tutti gli istinti che essi trovano un riempimento e attraverso questo predesignano i loro scopi? Che questo diventare palesi sia solo relativo al fatto che ciò che è già patente indica in un riferimento ulteriore a qualcosa d’altro e, allora, lo renda manifesto, mentre la filosofia universale è soprattutto quella che nella forma più alta dell’attività filosofico-fenomenologica rende patente ciò che è vero in senso ultimo, rende patente l’universo della relatività nella sua formazione di senso all’infinito? La direzione della religione verso l’interiorità, rispettivamente di colui che prega, cercando e trovando Dio, e della comunità orante che si unisce in comunità in comunione con Dio, non vuol dire, dunque, come già mostrano queste parole, un essere rivolto all’interiorità come qualcosa di mio privato. Questo orientamento verso l’interiorità è parallelo all’essere rivolti in senso fenomenologico verso l’interiorità, nel quale, attraverso la mia interiorità, la via conduce verso tutti gli altri (come altri considerati nella loro interiorità, non come esseri umani nella loro esteriorità, cioè, come esseri umani reali nel tempo e nello spazio) e, perciò, innanzi tutto, verso il mondo e verso l’esserci umano proprio e altrui.

 

Edmund Husserl



[1] E. Husserl, Grenzprobleme der Phänomenologie, cit., Beilage XXV, pp. 46-247 (27.11.1931).

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