Koinonia Novembre 2022


La coriglianese Maria Luisa Donadio

profilo di una santa

 

Lo scorso 11 aprile (2014) presso l’Auditorium della Parrocchia S. Antonio si è tenuto un convegno sulla cara e santa memoria di Maria Luisa Donadio, donna coriglianese che, sorpresa dalla malattia, ha saputo dare prova di sopportazione e di fede fino all’eroismo. Nona di dieci figli, nasce nel 1942.

Aiutata dalla mamma e da tutti i familiari, specie dalla sorella Anna, Maria Luisa ha vissuto - dopo l’arrivo della immobilità - una conversione evangelica di straordinaria progressione. Il diario e le poesie l’hanno portata da tanti che non l’hanno mai incontrata. Ha tenuto corrispondenza con Don Tonino Bello, Rita Levi Montalcini, David Maria Turoldo, per dire i nomi più noti. Nell’incontro che ho avuto con l’amico Gianni Novello ho potuto scoprire come quest’ultimo, molto legato a Maria Luisa riuscì a portarle in casa il Vescovo di Molfetta, Don Tonino Bello e uno dei Vescovi più conosciuti dell’America Latina, Dom Helder Camara. Uomini e donne famosi o gente di popolo, accomunati dalla medesima esperienza: chiunque entrava nella sua casa si chiedeva cosa avrebbe potuto dirle nell’intento di poter offrire parole di consolazione, ma alla fine usciva consolato da chi, pur vivendo limitazioni a causa delle grandi sofferenze, sapeva dare luce a chi si trovava nel buio.

In occasione del convegno, a tratteggiare bene la sua figura è stato P. Alberto Simoni, dell’Ordine dei Domenicani, che per l’occasione ha affrontato un lungo viaggio, provenendo dal Convento di Pistoia. Direttore Spirituale di Maria Luisa per diversi anni, ha offerto ai numerosi convenuti un  “profilo” tratto dal suo Diario spirituale. Nella sua corposa relazione ha fatto luce sul cammino di Maria Luisa cogliendone la memoria, evidenziando la testimonianza e rilanciando a tutti i presenti un messaggio.

Così P. Alberto ha affermato: “Credo si possa e si debba dire che Maria Luisa ha vissuto pienamente la sua vita, riuscendo nella impresa di dare un senso più profondo alla fatica del vivere: anche attraverso e al di là della sua infermità lei ha risposto alla sua vocazione umana e cristiana in maniera ancora più autentica. E se ha lottato contro il male lo ha fatto non per sconfiggerlo come unico nemico; ma ha lottato perché non le impedisse di essere quello che era chiamata ad essere”. Queste poche parole del 6 agosto 1979 ce lo fanno intuire: “Non ho più voce per cantare. Non ho più voce per conversare. Non ho più voce per gridare. La mia voce appartiene a Dio. La mia voce parla di Dio. La mia voce vibra in Dio. Non a caso mi sono ammalata nel pieno della giovinezza perché Dio ha voluto cogliere la vitalità necessaria per la risposta alla sua chiamata”. Non c’è una sublimazione o mistificazione della sofferenza e del dolore, ma tutto  è ssunzione e accettazione, quasi una metabolizzazione della rinuncia, unicamente per ritrovare spazi di libertà e di creatività interiore in cui invitare e accogliere anche gli altri. Il 18 Dicembre dicembre ’68 ci affida queste parole: “Quando dico: la mia malattia, intendo dire che essa fa talmente parte di me che io non sarei più così se essa si allontanasse da me”. Mentre qualche giorno dopo ci dice (28 dicembre): “Mi piace dire: ‘Ho capito’. Infatti, ho capito i piani di Dio. Certo non che conosca quali siano i fini dei disegni divini, bensì che abbia compreso come il male fisico può operare non solo il bene individuale ma anche essere strumento di bene universale”.

Ed ecco come l’8 Febbraio ’69 si esprime, quasi a voler scolpire la sua regola di vita:

“Ho capito” è il mio motto.

Ho capito che bisogna soffrire senza parole inutili;

Ho capito che bisogna gioire senza felicità esterna;

Ho capito che bisogna amare senza ricompensa;

Ho capito che bisogna porgere l’affetto senza richieste;

Ho capito che siamo di Dio e che dobbiamo offrire senza ripensa menti.

 Il 6 Maggio ’68 quasi si spersonalizza e parla a se stessa come ad altra persona: “Eri ancora tanto giovane; ti leggevo negli occhi la speranza di grandi conquiste. Le tue forze erano tutte tese alla conquista di beni temporali. Ti trovasti improvvisamente di fronte al Cristo: ti aveva chiamata per consegnarti una croce. Sorridesti, ma di amarezza. Tuttavia non dicesti di no: speravi, come un ragazzo disobbediente, di disfartene al primo angolo di strada che avresti incontrato. E ti incamminasti. La folla ti guardava ora con pietà ora con disappunto; sentivi il richiamo dei giovani come te. Ti fermasti a guardare titubante. Ma uno spettacolo ti colpì: i volti di tutta quella gente portavano impressi i segni di una sofferenza profonda. Proseguisti, più sicura, più tranquilla, abbracciando quella croce. E sorridendo ora d’amore”. La meditazione sulla passione di Cristo e il confronto con il crocifisso sono una costante di tutto il suo Diario, della sua passione e preghiera quotidiana.

Il 10 Febbraio ’77 detta queste parole: “Fino ad oggi ho parlato di croce mia, intendendo sottolineare il peso che mi è stato imposto per procedere nel cammino della vita. Solo adesso ho rilevato che in realtà la croce non mi appartiene, poiché è sempre quella che Cristo ha preso su di sé per tutti gli uomini, semplicemente coloro che lo seguono soffrono per non potere intervenire lungo il calvario e sostenerlo. L’ombra della croce dà la sensazione che ci appartenga. Importante è comunque che non si ritorni indietro e che ci si senta accomunati a Cristo per giungere fino al Golgota”.

 Ed eccomi allora a raccogliere il suo messaggio che è appunto questo fuoco d'amore che ha abitato e illuminato il suo martoriato corpo e tutta la sua esistenza nella carne. Se infatti volessimo scoprire qual è il segreto della trasformazione o trasfigurazione di questa vita negata e donata, la lettura del Diario ci rivela di continuo che è l’amore dato e ricevuto: “La sofferenza è come l’amore: la si trova dappertutto in misura talvolta inconcepibile. Essa si manifesta in silenzio, e come l’amore dona così più che non quando si rivela. Se un’aspirazione a noi è concessa, chiedo di avere l’Amore, che pur velato, si svela donandosi a tutti e tutti conquistando”  (Aprile ’69).

 Il vescovo Tonino Bello, vicino a morire, le mandò questo addio: «Carissima, ti scrivo in un momento per me non molto facile, per dirti che il tuo esempio e la tua freschezza d’animo mi sono stati di grande aiuto. Continua, anche quando pure per te la galleria si farà più buia. Il Signore ci è vicino. E noi dobbiamo saperlo dire a tutti. Coraggio a te, a me e agli altri che, per causa nostra, soffrono anch’essi. La Vergine ti custodisca nel cavo della sua mano. Ti abbraccio».

 

Il Convegno, organizzato dallo “Studium Igino Giordani Calabria”, nella persona del prof. Francesco Pistoia, ha avuto anche gli interventi di Enzo Cumino, Giulio Iudicissa ed Emanuela Marano e le conclusioni di don Gaetano Federico, con la testimonianza degli amati nipoti di Maria Luisa, i quali per diversi anni hanno prestato le loro mani per consentire a Maria Luisa di mettere su carta pensieri e riflessioni che ora sono e devono essere oggetto di riflessione e meditazione. Stare con Maria Luisa faceva riconoscere insieme l'impotenza e la grandezza dell'uomo, la sua possibilità di trasfigurare ogni cosa e insieme la sua impotenza a dar corpo a tanti desideri. Potremmo dire: quante cose avrebbe fatto Maria Luisa se avesse potuto usare mani e piedi su questa terra! Ma forse le campane suonate a festa, secondo il suo desiderio, al momento del congedo terreno, il 2 gennaio 1998 non avrebbero avuto l'intensità del significato che invece hanno avuto; avrebbero potuto sembrare un applauso a una vita con tanti risultati e invece, così invece ci ricordano che l'opera di Maria Luisa è appena cominciata, là nella gloria può finalmente raggiungere, senza ostacoli, quanti le stanno a cuore, senza più mediazioni, ed essere accanto a noi nelle nostrefatiche a far sgorgare anche nel nostro cuore il suo canto di credente: “Vorrei cantare, Dio mio, l'ebbrezza di esserti figlia”.

La vita di Maria Luisa, prima ancora della sua poesia, è stata un canto, un canto di fede, ma anche la sua fede è stata un canto, un inno alla vita. Mentre da parte di alcuni si alza la voce nell’avviare un percorso che ne riconosca le virtù eroiche di fede, speranza e carità, la nostra parrocchia intende prendere in seria considerazione i suoi diari, affinché, con l’aiuto di P. Simoni possano mantenere viva la sua memoria e siano di aiuto spirituale a coloro che vi si accosteranno.

 

Don Gaetano Federico

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