Koinonia Novembre 2022


“UN PONTIFICATO ENTRATO NELLA STORIA”

 

In occasione del 60° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, proponiamo la lettura di un saggio del 1963 del padre M.-D.Chenu op dal titolo “Un pontificato entrato nella storia”. Il testo compare nel volume “L’Evangile dans le temps”, edito nel 1964 per le edizioni du Cerf che raccoglie testi pubblicati in varie riviste e occasioni.

 

Non c’è dubbio che ogni pontefice “segna fortemente con le sue caratteristiche personali il suo pontificato”. Molti, pur riconoscendo la cosa, fanno fatica e si fanno scrupolo di ammetterlo perché, per loro, la “Tradizione, legge essenziale della Parola di Dio nella Chiesa-Comunità, implica una specie di immobilismo nella trascendenza oggettiva e depersonalizzante di una serie di proposizione dogmatiche e di precetti morali”.

Il caso di Giovanni XXIII ripropone la questione in modo eclatante. La sensazione che le sue parole hanno prodotto, non solo fra i cristiani, non deriva tanto da una forza affettiva, ma da quello che da esse traspare, cioè “un’intelligenza delle realtà terrestri nella loro oggettiva grandezza, come nella loro implicita potenza cristiana”.

Questa è la Tradizione: “presenza della Parola di Dio, sempre identica a se stessa, ma incarnata nell’uomo che la sente e l’ascolta, là dov’è e vive, nella situazione, nello spazio e nel tempo, nel suo ambiente, con i condizionamenti economici, sociali e culturali che, nello stesso tempo, la rinchiudono e la esaltano”.

Con la Pacem in terris, dopo la crisi dei missili di Cuba, Giovanni XXIII ribadisce la tradizione della Chiesa su questa esigenza prioritaria del Vangelo (“Pace in terra agli uomini di buona volontà”), ma nello stesso tempo tutto è nuovo, perché si tratta della pace “oggi”, nella terribile situazione in cui tutto il mondo ha tremato sull’orlo  di una guerra nucleare.

Aggiornamento: l’autore riporta in italiano il termine perché più significativo. Si tratta di rimodellare la Chiesa, i suoi enunciati, i suoi strumenti, per rendere intelleggibile, ‘dialogabile’ la sua verità eterna. Gli antichi dicevano a questo proposito: Ecclesia semper reformanda. Si tratta di trovare, per questa immutabile verità, le modalità consustanziali della sua espressione per gli uomini d’oggi, secondo i percorsi della loro intelligenza e della loro cultura. Non si tratta di cambiare o di aggiungere qualche parola a un catechismo stereotipato a cui si aggiunge qualche immagine decorativa ma, nella sostanza permanente e autentica della fede, portare un’invenzione interna dei concetti, delle categorie, dei simboli che siano omogenei alla mentalità, alla cultura, alla lingua, all’estetica degli uomini d’oggi. Il riferimento “al tempo, alle sue congiunture, alle sue richieste, ai suoi bisogni, non è cosa di poca importanza, esterna alla verità sostanziale; essa entra nel tessuto stesso di quella verità”.

Non si tratta in Giovanni XXIII di un’abilità pratica e solo empirica, ma di un istinto profondo - l’istinto dello Spirito nella Chiesa. “È la forza di un’intelligenza che, prima di ogni definizione e di ogni teoria, entra spontaneamente in comunione con la realtà dei fatti e degli uomini, e ne discerne i problemi, i valori, il ‘mistero’ interiore, senza dubbio disponibile alla grazia di Cristo”. Nella Pacem in terris egli fa un’analisi della situazione attuale dell’umanità, dei movimenti interni che la stanno trasformando, dei “segni dei tempi” come egli li chiama, non come farebbe un sociologo analizzando un’evoluzione in corso, o un moralista che voglia applicare i suoi principi. Si tratta per per lui di “conoscere con intelligenza e amore, le oggettive risorse di un’umanità che sta prendendo coscienza dei suoi progressi collettivi in una sconvolgente trasformazione dell’universo”. E questo per quanto riguarda la promozione economica e sociale delle classi lavoratrici e l’ingresso delle donne nella vita pubblica. E soprattutto “la promozione su scala mondiale dei problemi, dei compiti, della produzione e della distribuzione delle ricchezze, delle esperienze collettive... con una dilatazione fisica, culturale, spirituale” di ogni ‘atomo umano’. Questo è lo sfondo del quadro su cui Giovanni XXIII fa la sua diagnosi evangelica di una Chiesa alla misura di Cristo.

Il pensiero e l’azione di Giovanni XXIII si inscrivono direttamente nella storia della Chiesa. Anche in quest’ambito hanno fatto sensazione dichiarazioni e comportamenti sorprendenti che hanno rimesso in moto la speranza dell’Unità che si era un po’ assopita. Con fermezza e con insistenza, egli libera dalle pastoie che le frenavano le leggi del dialogo fraterno che va ristabilito e delinea le posizioni su cui si può instaurare. La presenza viva e fiduciosa degli “osservatori” protestanti e ortodossi al Concilio ha dato all’evento stesso una maggiore consistenza... è un evento iscritto ormai nella Chiesa, in procinto di superare le secolari fratture e  andare oltre i propri complessi.

A lungo sofferente per una riforma che, intenzionata a tornare al Vangelo nella sua purezza originaria, rimetteva in causa numerosi elementi della sua struttura essenziale, la Chiesa col Concilio di Trento aveva dovuto elaborare una strategia spirituale, dottrinale, disciplinare i cui limiti non ne sopprimevano la necessità. Concilio che si dimostrò del resto positivo per quanto riguardò la luce della fede, la riforma dei costumi e la solidità di costruzione.

Tuttavia, con il prolungarsi del conflitto, l’irrigidimento delle posizioni e le false sicurezze dei contesti politici e culturali, la rottura non avrebbe permesso più il minimo dialogo, soprattutto a livello istituzionale. Non solo falliva la carità fraterna, ma negli uni e negli altri, la verità aveva perduto nella polemica, una certa volontà di ricerca e il controllo da mantenere sempre del proprio equilibrio interiore. Dopo vari, deboli tentativi di riavvicinamento... l’intervento di Giovanni XXIII, chiaramente ispirato dall’istinto dello Spirito, ha fatto maturare in tre, quattro anni, quella fragile speranza... Una pagina della storia della Chiesa è stata voltata, per quante siano le tappe ancora da percorrere.

Lo stesso si può dire per lo scisma che divide Oriente e Occidente, anche se il caso è diverso, più per ragioni di complessità geografico-culturale che per ragioni dottrinali; considerando anche le attività antecedenti al papato di Giovanni XXIII in Oriente, per cui il papa poteva usufruire di una sensibilità più acuta e di un'appassionata esperienza.

Il mito di un potere di tipo costantiniano, favorevole alla Chiesa, non può nascondere le servitù e i rischi di questa alleanza, continuata in Europa con il “Sacro” Impero e le monarchie di diritto divino, persino con le repubbliche borghesi.

Persone competenti tuttavia hanno proposto di riconoscere nello svolgimento del Concilio di Giovanni XXIII gli indizi di un atteggiamento nuovo della Chiesa che si libera dalla benevolenza protettiva e compromettente di Costantino e dei suoi simili... Può essere scomodo, ma diventa ormai necessario, per la purezza e la verità della Buona Novella di Cristo in un mondo non costantiniano, liberarsi dalle convenzioni e dalle norme di una cristianità benefica, ma superata.

È incontestabile che questa cristianità comporta un successo straordinario – se così si può dire – della Chiesa, sia in termini politici che in termini spirituali “se è vero che la Chiesa deve impiantarsi nel mondo, incarnarsi in un certo senso nelle mentalità umane e delle società... È la civiltà occidentale, si parla di civiltà occidentale “cristiana”, in un blocco a lungo accettato, e proclamato in modo sommario.

Ma è proprio questo successo il problema, in quanto è importante riconoscerne la contingenza e quindi la relatività. È molto preoccupante osservare che fin ad oggi solo la civiltà greco-romana è stata utilizzata come terreno permanente ed esteso per il Vangelo e la Chiesa. Questa comunanza, più spirituale che politica del resto, è regolatrice a tal punto da rendere necessario ‘occidentalizzare’ per evangelizzare? Oppure questa ‘occidentalizzazione’ non diventa un ostacolo per l’universale cattolicità della Parola di Dio? Nessuna delle grandi civiltà della storia, quella indu, quella cinese o araba ha potuto diventare un luogo umano per la comunità cristiana di pieno esercizio. Per quanto il problema sia complesso, sia in senso dottrinale che apostolico, esso è ormai stato decisamente individuato: al Concilio si è manifestata una vivace consapevolezza delle ambiguità e degli impasse della cristianità affermata. Il risveglio evangelico per una nuova giovinezza della Chiesa porta con sé una riserva istintiva, a volte dura, contro le ‘istallazioni’ occidentali. In più la forza irresistibile di un’espansione missionaria porta a concepire ormai la Chiesa non più come una cristianità occidentale che, poco a poco, annette a sé cristianità marginali, ma come una comunità umana in cui tutti i popoli, tutte le nazioni... tutte le civiltà soprattutto, sono terre aperte al Vangelo e dove la grazia di Cristo troverà risorse umane fin ad allora sconosciute per la sua incarnazione.

È a questo livello che le vie e le espressioni dell’annuncio della Parola di Dio nel mondo devono essere sottoposte a una revisione, a un ringiovanimento, a un aggiornamento.

È così che il pontificato di Giovanni XXIII, cominciato sotto modesti auspici, ha preso dimensioni sempre più grandi. Non è solo effetto di una personalità che si è rivelata affascinante per la sua bontà, sensibilità, cordialità, qualità eminenti e molto efficaci, ma che spariscono con la persona. Attraverso  e al di là di quelle qualità ha giocato un istinto che, nel punto di congiunzione  in cui la Chiesa è in comunione così come in confronto col mondo, ha individuato e messo in movimento le richieste e i bisogni, le angosce e gli amori della Comunità umana. Questo pontificato è entrato nella storia.

 

Donatella Coppi

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