Koinonia Novembre 2022


RILEGGERE ERNESTO BUONAIUTI:

INCOMPRESO, MODERNISSIMO CERCATORE DEL VANGELO (II)

(“Avvenire” - venerdì 2 settembre 2022)

 

Un’altra tesi controversa di Buonaiuti riguardava l’influsso precristiano anche nel primo monachesimo egiziano, costruito attorno all’ascesi, cioè alla ginnastica spirituale ed etica, dimenticando il centro che nel primo cristianesimo aveva la metanoia (conversione), che non è un’ascesi ma un immediato cambiamento di prospettiva e di logica che si compie nel convertito, che entra con un’opzione fondamentale in un altro regno.

Buonaiuti vedeva il primo monachesimo orientale, che influenzò anche quello di Benedetto, come una continuazione delle esperienze mediterranee precedenti il vangelo centrate sulla separazione fisica dal mondo (che per Buonaiuti non era parte dell’essenza del cristianesimo), e ne dà una valutazione quanto meno problematica (anche se apprezzava molto la riforma attorno all’anno Mille di Cluny e dei cistercensi, per la rinnovata dimensione liturgica, lavorativa e comunitaria). Così scriveva nel suo bellissimo saggio Le origini del misticismo cristiano: “Il vocabolo come il concetto dell’ascesi, considerata come un autoprocesso di allenamento e di purificazione interiore, con l’implicita nozione di un dualismo antropologico superabile solo attraverso una serie laboriosa di sforzi e di rinnegamenti, sono estranei all’orizzonte delle esperienze neotestamentarie. La ‘metanoia’ evangelica si realizza in un istante e non è affatto il risultato di un lento e penoso tirocinio. La grazia dello Spirito la genera subito nello spirito del credente” (Le origini dell’ascetismo cristiano, 1928, p. 212).

 

La scomunica e l’ostracismo

Questi primi studi sono particolarmente felici per la freschezza del giovane studioso ma anche per la libertà di spirito di ricerca che venne molto provato e condizionato dai primi interventi disciplinari. In questo quarto di secolo, che va dai suoi primi lavori fino alla scomunica vitando del 1925 - preceduta dalla sospensioni a divinis del 1916, da una condanna delle sue opere da parte del Sant’Uffizio nel 1917 e dalla “scomunica semplice” del 1921 - Buonaiuti continuò a sviluppare con metodo scientifico e storico, senza alcuna vela ideologica, le sue prime intuizioni sull’essenza del cristianesimo, sfiorando temi che soprattutto in quegli anni erano molto sensibili per il Sant’Uffizio e prima ancora per la “Civiltà cattolica” dei gesuiti, che fu la prima ad attaccare duramente il giovane prete già nel 1906.

In seguito alla scomunica vitando, che dopo l’abolizione del rogo era la pena più grave prevista dal diritto canonico (comportava l’obbligo per tutti i fedeli di evitare lo scomunicato, non partecipare alle sue conferenze, non scrivergli, e se lo scomunicato entrava in una chiesa il luogo doveva essere riconsacrato), Buonaiuti fu costretto “ad uscire ugualmente ogni mattina, nell’ora albeggiante in cui ero stato sempre solito recarmi a celebrare la messa nel vicino convento delle suore belghe, e ad andare girovagando per i sentieri della campagna circostante, perché la consuetudine della mia messa mattutina non apparisse inesplicabilmente interrotta alla premurosa e vigile attenzione di mia madre” (p. 187).

È questa un’altra pagina del Pellegrino di Roma, uno dei diari dell’anima eticamente più alti del Novecento. Per anni don Ernesto Buonaiuti continuò a vagare solitario per le campagne e strade romane solo per non addolorare sua madre che avrebbe sofferto troppo per quella scomunica. Basterebbe solo questo episodio umanissimo per dirci l’anima e la caritas di Ernesto Buonaiuti: “Il mio andare mattutino mi portava più di consueto verso i viali di Villa Borghese. Assistei così, mattina dopo mattina, all’avvicinarsi timido e quasi impercettibile della primavera. Prestai ascolto ai primi canti dei merli, destinati a divenire miei dilettissimi amici, sui rami delle querce, ancor spoglie di foglie, e sui tronchi ossuti dei tigli. E mi apparve ogni giorno più che per l’anima, la quale tenda ansiosamente l’orecchio e aguzzi intensamente la pupilla per cogliere tutte le voci e tutti gli spiragli di luce che l’azione di Dio suscita e avviva intorno al nostro pavido e tremante passo, un rito sacramentale si compie perennemente nel ciclo della vita cosmica e una possibilità di toccare le ragioni dell’altezza e della spiritualità, si dischiude sempre e dovunque. Un giorno mi parve che una luce più tersa e inondante del consueto mi avvolgesse lo spirito, consapevole come mai della sua povertà funzionale, della sua miseria radicale, del suo inguaribile impasto di fragilità e di impotenza, e mi desse lucida come mai l’intuizione di quello che è il vero intimo significato della professione cristiana nel mondo... Ora, nel momento in cui sotto il peso di un implacabile verdetto curiale mi sentivo condannato a mendicare, dinanzi al sole, apparso sulla nuova vegetazione delle piante che uscivano dal chiuso tormento dell’inverno e del gelo, quel confronto e quel viatico per la mia spiritualità quotidiana, che l’autorità inquisitoriale aveva tentato di sottrarmi, le beatitudini evangeliche mi apparivano ricche di una significazione insospettata e di una capacità di applicazioni senza confini! Che cos’è la vita dell’universo se non il poema dell’indigenza e dell’accattonaggio?!” (Pellegrino di Roma, pp. 187-189).

Dopo la scomunica definitiva Buonaiuti continuò la sua produzione scientifica che in quegli ultimi venti anni della sua vita crebbe molto. Pubblicò piccoli volumi su molte figure cristiane - san Tommaso, san Gerolamo, san Ambrogio, san Francesco, san Paolo e Gesù - per la stupenda collana “Profili” dell’editore ebreo Formiggini (con cui Buonaiuti ebbe una feconda collaborazione che continuò con l’editore Bietti dopo il suicidio di Formiggini nel 1938 in seguito alle leggi razziali).

Il governo fascista, dopo la scomunica e in vista del Concordato con la Chiesa, sospese l’attività didattica di Buonaiuti - “il Capo del governo”, gli scrisse Pietro Fedele, suo collega e Ministro della pubblica istruzione, “mi incarica di chiederti che tu interrompa il tuo insegnamento per assumere un incarico extra-accademico” (Pellegrino di Roma, p. 261). L’incarico era la cura dell’edizione delle opere di Gioacchino da Fiore, che rappresentò per il Nostro un’autentica provvidenza per l’affinità spirituale che scoprì con il monaco calabrese, il suo misticismo profetico e la sua attesa del Regno.

Il Concordato del febbraio del 1929, con un articolo (n. 5) disegnato su misura per il solo caso di Buonaiuti - nessun docente universitario sacerdote poteva insegnare senza il beneplacito del Vaticano, inclusi i sacerdoti sospesi a divinis - è un altro tristissimo episodio del libro e della vita di Buonaiuti, e ne segnò il definitivo isolamento istituzionale: “Lontano dalla cattedra, io andare ad attingere ispirazione e conforto nel Medioevo” (p. 262). Un medioevo molto diverso e opposto da quello desiderato nostalgicamente da Gemelli e da quello della nuova Università cattolica - “Medioevalismo” è il primo articolo di Gemelli nel primo numero di ‘Vita e Pensiero’. L’anno dopo il governo fascista, applicando il concordato, impedì a Buonaiuti di vestire l’abito ecclesiastico, che comunque continuò a indossare dentro casa per amore di sua madre. L’ultimo provvedimento del Sant’Uffizio (17.5.1944) fu la messa all’Indice di tutte le sue opere pubblicate.

 

La morte e il testamento spirituale

Nell’aprile del 1946 Buonaiuti ebbe una grave crisi cardiaca. Nel frattempo era morta sua madre Luisa nel 1941, una data che per Guerri (cap. 16) segna anche l’uscita dalla chiesa, una ‘uscita’ che non abbiamo registrato leggendo le sue opere (circa trenta) e lettere -, Muore il 20 aprile. Era sabato santo, accompagnato “dal festoso scampanio annunciante la Resurrezione” (Mario Niccoli, nota finale a Pellegrino di Roma, 1964, p. 513). E come dice A.C. Jemolo, “quanti credono in una vita futura e ricordano quel che il Buonaiuti fu… confidano ch’egli sia tra gli eletti” (Introduzione, cit., p. xxix).

Nel suo Testamento, dettato un mese prima della morte, riportato dal Niccoli, aveva scritto: “Posso aver sbagliato. Ma non trovo nella sostanza del mio insegnamento materia a sconfessione o a ritrattazione. E in questa consapevolezza tranquilla, affronto il mistero incombente. A tutti coloro - e sono purtroppo legioni - che hanno ostacolato, non rifuggendo da complicità innaturali, lo spiegamento della mia attività pubblica - perdono” (p. 512). Non servono altri commenti.

Buonaiuti morì scomunicato. Il cardinal Francesco Marmaggi giunse al capezzale di Buonaiuti, “dichiarò di essere autorizzato ad amministrargli i sacramenti purché prima sottoscrivesse la seguente formula (Buonaiuti me la riferì a memoria): ‘Credo tutto quello che crede e insegna la Santa Chiesa Cattolica, e riprovo tutto ciò che essa riprova’. Buonaiuti non sottoscrisse. Con me - e fu l’ultima volta che io lo vedi vivo - disse che avrebbe potuto sottoscrivere la prima parte della formula, non la seconda, perché troppe cose la Chiesa aveva condannato che egli non poteva condannare” (Niccoli, cit., p. 512).

Ma forse il suo testamento più poetico sono le sue ultime sette pagine della sua monumentale Storia del Cristianesimo, la cui messa all’Indice fu l’ennesimo dolore profondo. In quel trattato dove il Buonaiuti aveva raccolto in quasi duemila pagine l’essenziale di oltre quarant’anni di ricerca, quando arrivò alla conclusione la prosa divenne poesia e preghiera. Non conosco una conclusione di libro più commovente e profonda: “Noi ti invochiamo, innanzitutto, o Padre… Accattoni noi siamo tutti indistintamente: tanto più accattoni e tanto più miserabili, quanto più famelici ci fanno la nostra cultura e il nostro dominio sul mondo. Noi torniamo pertanto a te… Affretta il tuo trionfo perché la nostra vita si è consumata nel desiderio della Tua giustizia…  Sappiamo che tu ci attendevi al nostro ritorno: il ritorno di accattoni che sanno per dura esperienza che nulla è più funesto dell’uomo nella sua orgogliosa pretesa alla sufficienza e all’autogoverno. Raccoglici nella pace e del Tuo perdono e della Tua grazia e che i nostri occhi non dimentichino più la legge eterna del Tuo vangelo che è tutta nel segno di una croce, proiettata su tutta la sconfinata sofferenza e su tutta la  sitibonda speranza dell’universo: o crux, ave spes unica!(pp. 769-774).

 

Luigino Bruni

(l.bruni@lumsa.it)

(2. fine)

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