Koinonia Ottobre 2022


GAS E PACE

 

La guerra in Ucraina ci pone di fronte a prese di posizione non sempre lineari e scontate. Se l’accordo sulla condanna dell’invasione da parte della Russia è praticamente unanime, le risposte che vengono date per la soluzione della crisi in corso non lo sono affatto. Molti di noi restano perplessi, ad esempio, sulla decisione di inviare di continuo armi sempre più sofisticate e letali al paese aggredito, che non sembra poi tanto debole. Se diamo credito ai dati riguardanti l’esito degli scontri appare evidente che gli ucraini sanno non solo difendersi, ma anche attaccare, e con notevole successo.

Se Mosca è molto reticente nel dare informazioni al riguardo, i suoi avversari forniscono di continuo dati sulle perdita militari da parte dei russi ben superiori alle loro.

Di questi tempi non si fa che parlare di sanzioni nei confronti dell’invasore: uno strumento in più, oltre al massiccio sostegno militare al popolo ucraino, per mettere in crisi l’economia russa, con l’obiettivo di indebolire (dato un probabile drastico abbassamento del tenore di vita del popolo) il sostegno che la popolazione sembra attualmente garantire alla politica aggressiva di Putin.

Confesso la mia ignoranza riguardo ai problemi economici, ma, a intuito, tale iniziativa mi sembra decisamente folle. Semmai tali sanzioni hanno conseguenze pesanti sulla economia dell’Europa messa in crisi dalla mancanza di forniture di gas russo, il che porta a un significativo aumento dei prezzi, e non solo del carburante.

C’è chi, pur continuando a sostenere la necessità delle sanzioni, sostiene che la loro efficacia potrebbe dare risultati solo in capo ad alcuni anni, presupponendo così, in modo implicito, che la guerra potrebbe durare tanto a lungo. È questo che vogliamo?

Ripeto, non sono un economista, eppure credo che per assumere un posizione nei confronti delle sanzioni sia necessario fare tesoro di quanto è accaduto più volte in casi analoghi nella storia moderna.

Pressioni di tipo economico hanno quasi sempre funzionato nei confronti di paesi a monocultura di piccola o media grandezza (1). Basterebbe, ad esempio, abbassare improvvisamente in modo drastico il prezzo del petrolio per mettere in ginocchio in breve tempo paesi, come ad esempio l’Arabia Saudita, che basano tutta la loro ricchezza proprio sull’esportazione del petrolio.

È questo il caso della Russia? Assolutamente no. Anzi, la Russia è uno dei paesi del mondo più ricchi di risorse agricole e minerarie, anche se spesso non utilizzate al meglio. Ecco perché l’esito delle sanzioni ha nell’immediato conseguenze negative che colpiscono soprattutto noi occidentali e, ancor di più, i paesi poveri dipendenti dall’importazione di grano russo e ucraino, per i quali l’aumento del prezzo del pane significa fame, carestia e morte.

Questo mio pensiero, espressione di semplice buon senso, ma decisamente contro corrente rispetto alla narrazione propinata da giornali e televisioni, ha trovato recentemente conferma nei giudizi espressi anche in televisione da Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, la più prestigiosa rivista italiana di geopolitica.

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C’è poi un altro aspetto della questione. Numerosi giornalisti che si improvvisano politologi sostengono che le sanzioni testimoniano la volontà dell’Occidente di fiaccare lo spirito nazionale dei russi stimolando l’opposizione interna a ribellarsi alla sciagurata politica aggressiva di Mosca. Se riguardo all’efficacia economica delle sanzioni, come già precedentemente espresso, faccio ricorso al semplice buon senso, riguardo a quest’ultima considerazione, da studioso di storia, mi sento di rispondere con ben altra cognizione di causa.

Non ricordo alcun caso, nel mondo contemporaneo, in cui le sanzioni abbiano avuto questo effetto.

Caso mai hanno ingenerato nei popoli vittime di sanzioni un senso di maggiore odio, e quindi di

rivolta e resistenza nei confronti del nemico.

Cito fra tutti un esempio che ha riguardato proprio il nostro paese.. Che successe quando negli anni ‘30 l’Italia fascista aggredì l’Etiopia? Il popolo italiano nel suo complesso, condizionato dall’ideologia dominante, si compattò attorno a Mussolini contro Francia e Inghilterra, popoli colonialisti per eccellenza, che volevano impedire all’Italia di conquistarsi il suo “posto al sole” in Africa. E per giunta quell’episodio fu una delle cause, e non certo l’ultima, che indusse il Duce all’alleanza con Hitler.

Ma veniamo alla Russia odierna. Al crollo dell’Unione Sovietica, finito il mito di un comunismo privo ormai di qualsiasi carica ideale, la Russia di Putin, nel tentativo di tornare alla grandezza di un tempo, ha riscoperto un’anima nazionalista mai sopita, col mito di una grande Russia ortodossa, punto di riferimento per tutti i popoli slavi, in antitesi con un Occidente considerato decadente e privo di valori. La stessa religione, usata strumentalmente, diventa un collante per l’intera nazione. Se è vero che molti russi contestano questa lettura della realtà, sono comunque una minoranza e ogni qual volta alzano la testa subiscono una pesante repressione.

Se così stanno le cose possiamo ben immaginare che le sanzioni imposte dai paesi della Nato non fanno che rafforzare la determinazione del popolo russo ad appoggiare la politica aggressiva ed espansionistica di Putin. Solo una disfatta totale delle forze armate russe potrebbe trasformare questa determinazione a vincere la guerra in un sentimento di prostrazione e di disfattismo.

La via delle armi e quella delle sanzioni, al momento attuale, si sono dimostrate fallimentari allo scopo di accelerare la fine del conflitto. Al contrario la via diplomatica indicata da papa Francesco, sbeffeggiata finora da gran parte dei media e mai perseguita seriamente dai paesi occidentali, pare l’unica strada percorribile per far cessare il rumore delle armi.

“Se vuoi la pace, prepara la pace”. Rivivono nei nostri cuori le parole di Ernesto Balducci, sincero pacifista, e vero sognatore. E questo sogno dalle radici profonde è lo stesso che anima papa Francesco.

Ovviamente la Russia dovrà smettere la sua guerra di aggressione, ma anche l’Occidente non dovrà pretendere di estendere la sua sfera di influenza fino ai confini della Russia, come dopo la caduta del muro di Berlino gli americani avevano promesso a Gorbaciov: una promessa, come sappiamo, presto dimenticata; cosa facilmente immaginabile, del resto, dato che gli Stati Uniti hanno da sempre perseguito una politica di potenza che non ha nulla da invidiare, almeno per ora, a quella scelta da Putin.

 

Bruno D’Avanzo

 

NOTE

(1) Fa eccezione l’esempio di Cuba. Il piccolo paese caraibico, da sempre dipendente dall’esportazione dello zucchero, ha saputo resistere alle pressioni del blocco imposto dagli USA anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che per decenni aveva sostenuto la sua economia. Dobbiamo riconoscere che questa volontà di resistenza del popolo cubano, a settanta anni dalla vittoriosa rivoluzione, resta un fatto del tutto eccezionale.

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