Koinonia Ottobre 2022


POSTILLA

        

Rimanendo in questa prospettiva, non voglio nascondervi qualche interrogativo suscitato da quanto Papa Francesco ha detto nel suo intervento all’apertura e sessione plenaria del “VII CONGRESS OF LEADERS OF WORLD AND TRADITIONAL RELIGIONS” il 14 di settembre, e poi nella omelia della celebrazione nella Cattedrale di Nur-Sultan il 15. Egli ha parlato di religione in tutti i suoi aspetti e riflessi umanitari e sociali, forte della sua riconosciuta autorità, ma certamente il suo essere successore di Pietro e Pastore della chiesa universale non si evince affatto dal suo discorso, se non appunto come Capo religioso della Chiesa cattolica. La qual cosa può essere valutata con favore, nel senso che il suo non è stato un intervento “confessionale” e di parte, ma proponibile indiscriminatamente a tutti: il minimo comune multiplo delle religioni!

Ma al tempo stesso questa riserva e reticenza, relativa alla propria fede in un consesso di capi delle religioni tradizionali del mondo, induce a chiedersi se, mentre il Vangelo è rivolto indistintamente a tutti per sua stessa natura, di fatto sembra che nel quadro di dialogo inter-religioso non abbia spazio, per rimanere qualcosa di esclusivo e di riservato, senza più alcun afflato universale. La domanda va al di là delle intenzioni e delle scelte del Papa, ma ci riporta inevitabilmente ad Atene e al discorso di Paolo all’Areopago, tutto da ripensare: sì, possiamo anche considerare quanto collima con tutti gli altri, ma quando si arrivasse al dunque dell’intesa meno generica, forse qualche problema potrebbe nascere, e potremmo essere indotti a renderci conto che quanto differenzia è più di quanto unisce. In altre parole, parlare di Dio secondo la fede nel vangelo e nel Cristo Risorto è qualcosa da tentare “opportune et importune”,  o è meglio prendere le giuste misure rispetto a destinatari ed interlocutori religiosi? Purtroppo c’è da dire che misure riduttive della Parola di Dio siano abitualmente prese nei confronti di “praticanti” addomesticati assuefatti a pre-comprensioni collettive che la snaturano edulcorandola. Quanto fa problema tutto questo?

Senza voler dispensare nessuno dalla lettura integrale delle parole del Papa  - per poterne discutere - mi limito a riportare quelle conclusive del suo primo discorso: “Cari fratelli e sorelle, andiamo avanti insieme, perché il cammino delle religioni sia sempre più amichevole. Abai diceva che «un falso amico è come un’ombra: quando il sole splende su di te, non ti libererai di lui, ma quando le nuvole si addensano su di te, non si vedrà da nessuna parte» (Parola 37). Non ci capiti questo: l’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni. E vorrei ringraziare qui per lo sforzo del Kazakhstan su questo punto: cercare sempre di unire, cercare sempre di provocare il dialogo, cercare sempre di fare amicizia. Questo è un esempio che il Kazakhstan dà a tutti noi e dobbiamo seguirlo, assecondarlo. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti - non servono -, ma custodiamo le nostre identità”. Sì, c’è da evitare  finti sincretismi concilianti che non servono, ma rimane da sapere se le proprie identità vanno solo custodite  e tenute in disparte o vanno testimoniate e confrontate.

È l’interrogativo che nasce al momento in cui si passa a leggere quanto poi il Papa ha avuto modo di dire a Vescovi, sacerdoti e diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e operatori pastorali nella celebrazione nella Cattedrale di Nur-Sultan il 15 settembre: quando appunto delinea l’identità cristiana ad uso interno, quasi altra faccia della medaglia rispetto  ad un dialogo inter-religioso neutro o ad un ecumenismo limitato a ciò che assimila. Quanto gli sta particolarmente a cuore, Papa Francesco lo fa capire con queste parole: “Il brano della Parola di Dio che abbiamo ascoltato afferma proprio questo: il mistero di Dio - dice san Paolo - è stato rivelato a tutti i popoli. Non solo al popolo eletto o a una élite di persone religiose, ma a tutti. Ogni uomo può accedere a Dio, perché - spiega l’Apostolo - tutte le genti «sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6). Vorrei sottolineare due parole usate da Paolo: eredità e promessa. Da una parte, una Chiesa eredita sempre una storia, è sempre figlia di un primo annuncio del Vangelo, di un evento che la precede, di altri apostoli ed evangelizzatori che l’hanno stabilita sulla parola viva di Gesù; dall’altra parte, essa è anche la comunità di coloro che hanno visto compiersi in Gesù la promessa di Dio e, da figli della risurrezione, vivono nella speranza del compimento futuro. Sì, siamo destinatari della gloria promessa, che anima di attesa il nostro cammino. Eredità e promessa: l’eredità del passato è la nostra memoria, la promessa del Vangelo è il futuro di Dio che ci viene incontro. Su questo vorrei soffermarmi con voi: una Chiesa che cammina nella storia tra memoria e futuro”.

Il punto nevralgico è allora questo: se la verità della fede - rivelata “non solo al popolo eletto o a una élite di persone religiose” -  debba valere su vasta scala nella storia del mondo, o possa rimanere patrimonio di pochi. Anche se creduta solo da alcuni e da qualcuno, la verità del vangelo ha significato e dimensioni storicamente universali, e in qualche modo deve essere presentata per quello che è di suo e non solo nel modo in cui viene recepita da qualcuno come fatto confessionale.  Di qui l’interrogativo, che va al di là delle stesse circostanze che lo suscitano: se in questa diversa tipologia di discorsi ad extra e ad intra non vada cercata corrispondenza e convergenza, o se ci si possa limitare ad un parallelismo e concordismo convenzionale finalizzato ad impegni umanitari comuni.  Possiamo parlare di Dio come meglio ci torna per accordarci tra noi, o c’è da capire come Egli ci parla, quando  da parte nostra parliamo con lui? Ne va della qualità del dialogo ma anche della predicazione del vangelo, che non può essere un continuo piovere sul bagnato! In discussione non c’è quanto dice Papa Francesco, ma il modo di intendere e di impostare il rapporto chiesa-mondo, fede-religioni, vangelo-storia!

 

ABS

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