Koinonia Agosto 2022


RISPOSTA DI UN CATTOLICO «MEDIO»

al formulario della consultazione

sinodale diffuso dalla diocesi di Lugano

 

Il cattolico medio (che è battezzato e va regolarmente alla messa domenicale: ma sono circa il 10% dei cattolici ticinesi che sono il 60% degli abitanti la Repubblica), quando si trova di fronte il questionario (due fogli con «dieci quesiti sinodali» che presentano in totale 39 domande), non può non avere una prima reazione di smarrimento e di scoraggiamento: troppa carne al fuoco, non ce la faccio, lasciamo il compito agli altri. Ma poi, in un sussulto di orgoglio e di responsabilità (sono o non sono anch’io cattolico), comincia a leggere la premessa introduttiva, con l’invitante «Carissima, Carissimo» e scopre, con sollievo, che non gli è chiesto di rispondere a tutte le 39 domande, «lasciando la libertà di decidere quale quesito sinodale tralasciare».

Se è un cattolico che leggeva i teologi (al tempo remoto del Concilio Vaticano II) gli viene in mente quanto scrisse allora un teologo francese secondo cui l’unica istituzione proposta da Gesù agli apostoli è il banchetto dell’Ultima Cena («fate questo in memoria di me»); e allora riprende coraggio e buona volontà e va a cercare, tra i 39 quesiti, quello relativo che nel «linguaggio dei teologi» viene comunemente definito «eucarestia», per il popolino «santa messa». Si tratta del quesito numero 4, indicato in «CELEBRARE», descritto come «Camminare insieme è possibile solo se si fonda sull’ascolto comunitario della Parola e sulla celebrazione dell’Eucarestia».

Qui il cattolico medio e «domenicale» comincia a ritrovarsi: ricorda che un documento del Concilio (forse la Lumen gentium) insegna strettamente uniti Parola di Dio ed Eucarestia (e fu indicata per prima la parola di Dio, dopo vivace discussione), ma poi constata che nel quesito si premette l’avverbio «comunitario», e qui casca l’asino. Dov’è la comunità nella sua esperienza eucaristica, seppure solo domenicale? Vede un gruppo di persone, perlopiù anziani, isolati nei banchi (ora anche lontani per la pandemia), molti negli ultimi banchi presso l’uscita (forse perché arrivati a cerimonia iniziata), e, anche se in parte partecipano verbalmente, difficilmente sono in grado di avvertire il significato dei concetti proclamati [a cominciare dal terribile Credo niceno-costantinopolitano e dall’agnello che ora - novità recente - viene riproposto prima di distribuire il pane (pane o agnello?), che del «pane quotidiano» ha solo una lontana somiglianza]. Gesù all’ultima cena invitò a mangiare «il mio corpo» e bere «il mio sangue», ma cosa veramente volesse dire, con queste parole, non lo ha spiegato, limitandosi a insegnare «fate questo in mia memoria».

Il quesito 4 pone inoltre tre domande che lasciano totalmente deluso e sconsolato il cattolico domenicale: «preghiera e celebrazione ispirano il cammino assieme?», «come promuoviamo la bellezza delle celebrazioni e la partecipazione più attiva?», «quale spazio ai ministeri del lettorato e dell’accolitato?». Domande che il cattolico domenicale, abituato a «frequentare» la Messa più che a «promuoverla», ritiene compiti che spettano in primis al «celebrante» che presiede...

E così al cattolico medio viene il dubbio che gli estensori del questionario, oltre che aver diretto le domande alle persone sbagliate, non siano abituali frequentatori delle celebrazioni domenicali, dove c’è di fatto un solo attore e spesso persino la lettura della «preghiera dei fedeli» è fatta dal «celebrante», togliendo anche quel piccolo spazio aperto dal Concilio alla partecipazione dei fedeli laici

A questo punto, il cattolico medio ha ormai esaurita la buona volontà (e la indispensabile speranza) per continuare ad affrontare il questionario della consultazione sinodale diocesana. Ci sarebbero forse altri quesiti meritevoli di attenzione e per i quali il cattolico medio potrebbe tentare qualche proposta: ma pensa che non ne valga la pena, se l’attuazione dell’unica proposta di Gesù è finita nella pratica irrilevanza per gran parte di una già ridotta parte di una vecchia cristianità.

Penso che, prima del formulario sul sinodo (che sarebbe una grande opportunità ma dipende - e lo dice il documento preparatorio - dalle situazioni locali), per la nostra stanca cristianità, dove per la maggior (piccola) parte l’unico contatto con la Chiesa è la celebrazione domenicale, sia da lì che occorre partire, con una riflessione e innovazione seria e radicale che pure il Concilio Vaticano II aveva permesso, non a caso dedicandogli il primo documento: da qui le messe dialogate in piazza e altre sperimentazioni subito represse. Così del Concilio è rimasta solo la traduzione nelle lingue moderne, purtroppo ancora mantenute lontane dal «parlare del popolo».

Consola il cattolico medio che la Chiesa nel Ticino offra ancora una grande possibilità: la divisione del territorio in parrocchie, in gran parte coincidenti con la giurisdizione comunale, ciò che garantisce ad ogni persona, vicina o lontana dalla comunità, un luogo di riunione e un prete che presiede e dovrebbe organizzare ed accogliere; così la nostra Chiesa mette a disposizione un ricovero, senza porre condizioni (almeno si spera...). È quindi primo dovere della comunità religiosa far conoscere questa grande opportunità nel mondo individualistico e indifferente dell’odierno Ticino: le chiese sono aperte, ognuno è benvenuto e tutti sono invitati a creare/ricreare comunità. Questo è il primo messaggio che deve partire dalla Chiesa luganese, perché la grande opportunità del Sinodo non sia sprecata.

 

Alberto Lepori

Dialoghi, giugno 2022

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