Koinonia Luglio 2022


LA “VIA NUOVA E VIVENTE” (Eb 10,20) DELL’ESISTENZA CRISTIANA

 

Illuminismo, storicismo, modernismo, ecc… sono le tappe che hanno portato via via al fenomeno della secolarizzazione: e cioè  al fatto che la persona umana in tutte le sue espressioni  è emersa nel suo valore autonomo, a prescindere da ogni riferimento superiore dato, se non quello deciso da se stessi. Questa secolarizzazione è addotta come ragione dell’eclissi religiosa e del progressivo tramonto della fede cristiana nella società e nella stessa “cristianità”. Tutto ciò ha portato ad uno scollamento tra cristianesimo e chiesa, fino a poter parlare, come fa Salvatore Natoli,  di “Cristianesimo di un non credente”.

È uno stato di schizofrenia tra mondo e vangelo, a cui il Concilio Vaticano II ha cercato di rimediare. Ma se una soluzione c’è stata in linea di principio attraverso i documenti che conosciamo, questa deve ancora passare nel tessuto vivo della chiesa storicamente esistente, per cui una frattura è venuta a crearsi all’interno stesso della chiesa: o come secolarizzazione della stessa fede, o come rifiuto a priori di ogni forma di secolarizzazione, per privilegiare tendenze della chiesa ad una propria autarchia in piena autoreferenzialità. È nata così  una sorta di polarizzazione tra queste tendenze, ed ogni tentativo di risoluzione diventa un circolo vizioso, che ti costringe  a schierarti da una parte o dall’altra, dando origine  al fraintendimento.

Come uscirne, senza ritrovarsi schierato in un senso o nell’altro, e trovando una via di verità da imboccare senza esitazione? Devo dire che provo un certo fastidio nel dover subire questo clima asfittico di conservatorismo e progressismo contrapposti e funzionali l’uno all’altro, senza che ne scaturisca una volontà di sottrarsi a questo gioco illusorio. Stando così le cose, e non cedendo alla tentazione di sospendere ogni possibile tentativo di risoluzione e di intesa, non rimane che restare sulla breccia, cambiando però strategia: non cercare più una ipotetica condivisione e solidarietà con quanti sembrano incamminati sulla stessa strada, ma sempre con obiettivi  ravvicinati e con riserve  rassicuranti. Non ci rimane che affidarci alla linea di tendenza che ci ha animati da sempre, sia pure attraverso  traguardi sempre provvisori. Potremmo ricordare le parole in esergo alla prima raccolta di scritti del 1974, che restano un compito sempre presente: “Credere al vangelo ci porta sempre più verso una chiesa che non sia solo di credenti senza essere comunità e non sia solo comunità senza essere di credenti”.

Ripartendo di qui, c’è da dire  che dopo tante analisi, riflessioni, incontri, dialoghi  ecc…, non basta più che un cambiamento continui ad esserci sul piano dell’immagine ideale della chiesa, e non invece sul piano della sua esistenza reale. Non basta cioè modificare concezioni e visioni ideali di chiesa, ma sarebbe necessario dare vita a nuclei comunitari di persone in carne ed ossa al di fuori di formule precostituite. Si arriva a dire che alla base  di tutto non ci sono più teologi, conferenzieri, motivatori vari, ma semplicemente dei battezzati che rimettono in gioco il loro battesimo nel mondo, al di fuori di appartenenze, schedature e prassi abitudinarie, ma anche di forme di vita codificate, come la “vita religiosa”, che tradizionalmente passa come nuovo battesimo, ma che di fatto diventa  il trionfo del formalismo.

Sempre a proposito di secolarizzazione, non sarebbe fuori luogo interrogarsi - senza dimenticare le motivazioni socio-culturali - sulle debolezze interne della fede e quindi sul cedimento della condizione e dignità di battezzati, tanto evocata quanto poco valorizzata. A parte l’inconsistenza del credere come convenzione, non possiamo nasconderci il fenomeno dello “sbattezzo”, rilevato da Paolo Ricca nel 2015 col suo libro “Dal battesimo allo sbattezzo. La storia tormentata del battesimo cristiano” (Claudiana), come è possibile vedere  a p.3.

Se la secolarizzazione ci riporta ad una fede calante perché integrata nelle sue forme tradizionali e incapace di ambientarsi in mondi nuovi, il fenomeno dello “sbattezzo” la chiama in causa perché diventi essa stessa, nella sua nudità, risposta ad un mondo che la ignora, la strumentalizza e la rifiuta. Non più una fede insediata ma che coabiti nel mondo. Ma è chiaro, anche qui, che la fede  non può farsi valere sul mondo, nella sua originalità e irriducibilità, come pura forza ideale, criterio morale, prassi rituale, ma solo se diventa fede di qualcuno o più di qualcuno come verità di vita. Soltanto come credenti possiamo combattere la buona battaglia della fede, che vince il mondo: è importante che sia una fede spoglia, libera, matura, critica, e non sia solo riflesso condizionato di religiosità tradizionale. Una fede che nasce come risposta ed obbedienza alla Parola di Dio e porta al battesimo: all’immersione in Cristo e nella chiesa!

In Koinonia di giugno si riportava la prefazione di Romano Penna al suo libro “Battesimo e identità cristiana: una doppia immersione” (San Paolo, 2022): una segnalazione per dire  che potrebbe essere questo il testo per una sinodalità di apprendimento e di approfondimento, un sussidio per una presa di coscienza della identità cristiana che nasce dal battesimo prima che da ogni altra connotazione, un aiuto per diventare nella libertà ciò che siamo per grazia. Il battesimo è il punto nodale di innesto in Cristo mediante la fede e di  crescita come suo corpo o chiesa. Ma non si tratta di un’accurata analisi esegetica o di un’esposizione dottrinale. Si tratta di un’impostazione ed esperienza di vita  tutta da fare e da condividere  nella luce della verità del vangelo e della predicazione degli apostoli.

R.Penna scrive a p. 59: “Tra la morte di Gesù e l’amministrazione del battesimo intercorre la predicazione come necessario annuncio del senso di quella morte, di cui il battesimo rappresenta l’attualizzazione personalizzata. In realtà, prima ancora del battesimo è decisiva l’accoglienza di quel vangelo mediante la fede, senza la quale il battesimo stesso non avrebbe senso. Quindi la successione esatta è: morte di Gesù, annuncio evangelico, accoglienza di fede, atto sacramentale del battesimo”. Alle pp. 235-236 leggiamo: “Il battesimo origina e fonda una esperienza unitiva a doppio livello: cristologico ed ecclesiologico. Anzitutto viene attuata una comunione con Gesù Cristo in un senso intimamente partecipativo. In lui avviene il nostro innesto (Gv 15,4), per cui ‘non sono più io che vivo ma Cristo vive in me’ (Gal 2,20), così come ormai in quanto battezzati noi siamo non solo ‘di Cristo’ (Gal 5,24), ma ‘in Cristo’ (2Cor 5,17)” (p.235). “In secondo luogo il battesimo procura anche un’immersione vincolante nella comunità ecclesiale. Essa allora si ingrandisce coll’aumentare del numero di quanti appunto ne diventano partecipi. Ma non si tratta soltanto di un ampliamento numerico. Si tratta invece di entrare a far pare della chiesa come corpo di Cristo, e con ciò non si intende soltanto una società cristianamente connotata, ma Cristo stesso vivente in una dimensione sociale-comunitaria” (p.236).

Bisogna dire che Romano Penna non è nuovo a queste proposte e sollecitazioni di esistenza cristiana a partire dalla sua sapienza biblica di grande studioso. Ed è  quasi inevitabile tornare ad un suo volume del 2004 “Il DNA del cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente” (San Paolo), a dimostrazione del fatto che proprio avendo presente il quadro delle origini è possibile avere un discernimento critico della storia e aprire nuove prospettive nel futuro: è la verità che rende liberi! Oltre che a ristabilire il primato della predicazione come fondamento e come compito della vita cristiana, il punto da cogliere in questo volume è nella stessa linea, e scioglie un nodo importante relativamente al primato della Parola di Dio e all’impegno attivo come comunità di credenti.

“La parola sta all’origine e alla base di tutto il cristianesimo Questo è vero non solo perché Gesù è egli stesso in persona la Parola di Dio incarnata (cfr. Gv,1-14), ma anche perché egli ha attribuito al proprio annuncio un valore fondamentale (cfr. Mc 1,14-15), chiedendo pure ai suoi discepoli di mettere la parola al primo posto nel loro ministero (cfr. Mc 3,13-14). In effetti, ciò che da sempre ha maggiormente colpito e magari scandalizzato gli uomini non è soltanto il modo di vivere dei cristiani, quanto ancor più ciò che essi hanno da dire e da proclamare, come si vede bene dalle reazioni ai discorsi di Pietro alla Pentecoste, di Stefano prima del martirio, e di Paolo all’Areopago di Atene” (p. 281).

Ed ecco il punto, che richiederebbe un riassestamento d’asse della fede della chiesa: “È facile infatti accettare un gesto di amore, che può persino tornare a mio vantaggio. Ma non è altrettanto facile accettare un messaggio che non si limita a chiedere anche a me di amare, ma, prima di tutto, mi chiede di accogliere il Crocifisso Risorto che viene presentato, in generale, come dimostrazione dell’amore divino per tutti gli uomini e, in particolare, come riscatto dei  miei peccati. Eppure è proprio questo che fonda la chiesa: la parola dell’Evangelo accolta per fede (cfr. Rm 10-17)” (p. 281).

Siamo decisamente sul piano esperienziale, che non consente  lacerazioni e chiede di rispettare il dinamismo unitario di chi agisce e del suo agire. Ma è chiaro che trattandosi di esistenza cristiana, non possiamo non misurarci  col Cristo stesso e la fede in lui. Ed ecco il quadro che Romano Penna ci prospetta a p. 363 de “Il DNA del cristianesimo”,  per orientarci nel nostro cammino, impegnativo sul piano personale e problematico sul piano ecclesiale: “Ebbene, in questo ideale di vita non c’è altro che Gesù stesso, né più né meno. Non solo perché egli dice: Se avete fatto questo, lo avete fatto a me. Ma prima ancora perché è stato proprio lui a comportarsi così, fino alla morte. E poi anche perché egli rivive personalmente nel cristiano: dunque, non solo perché il bisognoso si presenta al cristiano come raffigurazione passiva di Cristo, che potrebbe anche trovarsi in un non-cristiano, bensì più ancora perché Cristo rivive nel battezzato che lo impersona in modo nuovo, e soprattutto in forma attiva. Cristo non si trova soltanto di fronte al cristiano nel bisognoso, ma si trova nel cristiano e lo spinge a donarsi al bisognoso”.

Queste frammentarie considerazioni non vogliono sostenere tesi o prese di posizione; sono solo tracce di ricerca, per capire come muoversi nel panorama attuale della chiesa nel mondo, in maniera libera e sulla base di esperienze pregresse.  Siamo ancora a discutere e scomunicarsi per stabilire una visione di chiesa decifrabile per i tempi, quasi che orientamenti e scelte precise di riferimento non ci siano state. Per la verità, ritrovarsi ufficialmente in “cammino sinodale” come se gli scenari siano ancora da delineare, mi fa pensare a qualcosa di gattopardesco da parte di chi si nasconde il reale stato delle cose e vuol ripartire daccapo come se nulla fosse successo. Purtroppo, sembra che la comunità ecclesiale abbia perso il senso della tradizione, mentre si dimostra gelosa delle tradizioni.

Stando così le cose, è superfluo stare ancora a dirci quale chiesa vogliamo o quale chiesa ci vorrebbe, perché si rischia l’involuzione e l’inconcludenza: si resterebbe sul piano ideale delle visioni, delle essenze e delle immagini: dalla potenza si stenta a passare all’atto.  Ma volendo fare questo passaggio, l’unico atto possibile è quanto ciascuno vive di fede e può investire  di se stesso, come adesione, convinzione, decisione e dedizione perché il mistero di comunione della chiesa  diventi carne e prenda corpo per quanto  possibile. In realtà, quello che possiamo assicurare è l’immersione in Cristo o il morire in lui e con lui, mentre nasce la speranza di essere come il seme che muore per portare frutto come emersione e immersione nella chiesa, tralci della stessa vite. Senza cedere a spiritualismi e intimismi!

Se in Koinonia di giugno siamo riandati al Sinodo di Firenze, è per ricordare che non mancano terreni già arati dove questo seme può nascere; e anche per avere un luogo teologico comune in cui coltivare solidarietà e comunione che possano fruttificare come vigna del Signore. Ciò che interessa prima di tutto è che l’esistenza cristiana torni ad essere un’esperienza umana di vita feconda, e non sia più una protesi religiosa, morale, spirituale, rituale, significativa quanto si vuole, ma sempre accessoria rispetto all’atto di assoluta libertà del credere senza condizioni!

A parte i richiami al testo di Romano Penna, un suo scritto può aiutarci a definire ed interpretare un’esistenza di fede o di credenti in Cristo, nella consapevolezza che siamo in campo aperto di esperienza umana e di esistenza cristiana.

 

Alberto B.Simoni op 

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