Koinonia Luglio 2022


PROVVIDENZA O PREVIDENZA?

FALSA ANTITESI O SFIDA REALE?

 

1. Antica questione nuova

 

a) Donna o uomo riconosci la radice della tua dignità

In una serie di saggi sulla ricchezza, mi si chiede una riflessione sulla «previdenza» che si ispiri ai detti del Signore relativi alla fiducia e all’abbandono alla Provvidenza, alla messa in guardia contro la «ricchezza idolo» e contro tutto ciò che sovverte l’attenzione nei confronti della propria dignità di cittadini del Regno già presente.

I testi sono noti; ma è sempre bello farli risuonare nella memoria del cuore convertito. In Matteo sono riferiti in continuità con la proclamazione delle beatitudini. «Non accumulate tesori sulla terra... ma nel cielo...; là dove è il tuo tesoro è il tuo cuore...; per la vostra vita non preoccupatevi, non affannatevi...; guardate gli uccelli del cielo... osservate come crescono i gigli del campo...; cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta... » (Mt 6,19ss; cfr. Lc 12,22-32).

È la proclamazione di un’utopia, un messaggio etico, un test della radicalità evangelica, è una richiesta diretta solo a poche persone o a gruppi particolari, è per tutti i fedeli del popolo di Dio? Ognuna di queste ipotesi ha i suoi sostenitori.

Come poi valutare il messaggio? È di carattere economico? Propone una vita non stressata? Un pauperismo diffuso? Una specie di carpe diem godereccio e tranquillo? Rivela la radice della dignità della persona, la gerarchia dei valori umani? La vita vale più del cibo, il corpo più del vestito, le persone più del mondo animale e vegetale, ecc. (Mt ivi)? Invita a impostare rettamente i rapporti, a riconoscere che la suprema dignità della persona, quella che chiarisce il senso e la ricchezza delle prerogative di cui è dotata, consiste nell’offerta che Dio le fa di volersi cittadina del suo Regno, amante nell’amore in cui il Padre la ama?

È tema che inquieta e che, nello stesso tempo, non può essere trascurato. Le discussioni mai finite su di esso lo attestano. È oggetto di meditazione contemplativa e di sottili cavilli interpretativi. È analogo alla rivelazione del sabato su cui Gesù dovette intervenire ripetutamente (cfr. per esempio Mt 12,1ss; Gv 5.10; 9,14).

La questione ha rapporto con l’etica dell’intelligenza, con l’orientamento dei pensieri, degli affetti, delle aspirazioni, oltre che con il contenuto delle decisioni etico-finanziarie-economiche. Ha riflessi decisivi sulla valutazione dell’economia, ma prima di tutto sulla persona e sulla comunità che regola gli affari e sul criterio con cui ne valuta la portata.

Il Discorso della montagna è rivolto ai discepoli, a persone che hanno fiducia in Gesù, disponibili all’ascolto.

La domanda rivolta da Gesù a Maria la mattina della risurrezione: chi cerchi? (Gv 20,15) è fondante anche in questo caso.

Più si diventa vulnerabili alla «beatitudine» più si percepisce quale dono sia la possibilità di vivere fin d’ora da figli e figlie del Padre, condotti dallo Spirito nella via dei beati attraverso comportamenti congrui. Si pensi, per esempio alla trasformazione che accade quando una persona dedita solo agli affari, comincia a sperimentare il fiorire di un innamoramento, proprio nei confronti della persona a cui appartiene il tesoro di cui va in cerca. Comincia ad essere inabitata da altri interessi oltre quelli economici, diventa attenta, sensibile a eventi a cui prima non prestava attenzione; assume atteggiamenti non perché obbligata, ma perché non può farne a meno, si rende conto che quello che più vale nella sua vita è il rapporto con la persona amata, che è in grado di viverlo, che solo esso appaga in verità la sua sete. Se anche nello stato di innamoramento l’interesse prevalente, o peggio esclusivo, restasse quello per il tesoro, significherebbe che l’amore che prova è solo di superficie.

La questione antica e nuova, di sempre, si pone proprio a questo livello. Gesù presenta la sua proposta come conseguenza, noi la proponiamo come una meta e per di più abbiamo timore che sia difficile, che non sia fonte di gioia: cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33), se viene meno la premessa non possiamo meravigliarci dei risultati.

Siamo come i venditori che popolano le nostre strade, offrono cosine anche belle, ma non riescono a destare interesse in coloro che, protesi ad altro, passano oltre, magari con un «no, grazie».

Ciò spiega come alcuni non abbiano bisogno di tante premesse per capire di che si tratta, altri nonostante le più prolungate e sottili riflessioni sono sempre alla ricerca del come raccordare la fede in Dio e la professione di essa in ordine al condividere le preoccupazioni che inquietano a diversa misura i popoli del benessere e quelli della miseria. L’adesione a Dio implica un modo proprio di atteggiarsi nei confronti di sé e della propria famiglia negli eventi più comuni del vivere che lascia nel mondo, ma non fa essere del mondo.

L’uso del denaro, anche in alcune sue incoerenze, riflette in modo non equivoco l’orientamento etico spirituale della persona, la sua visione della vita. Ciò è vero sempre e si configura in modo diverso, in contesto di capitalismo selvaggio, di privatizzazione dei servizi, di economia collettivista, di gestione, privata o comunitaria dei beni. La fase di transizione che caratterizza la realtà contemporanea si riflette sullo stile di vita che la stessa comunità cristiana tollera per i fedeli.

È in gioco il raccordo che nell’animo del battezzato deve sussistere tra la «passione per Dio», la fedeltà alla prerogativa profetica, la responsabilità regale e l’atteggiamento sacerdotale, tra tensione escatologica e esistenza nel tempo, tra impegno-affidamento-implorazione e saggia gestione degli affari. Non si mettono toppe nuove su un vestito vecchio. Proporre questa riflessione quasi fosse solo di dottrina economica, a persone che riservano attenzione solo romantica per la buona novella, è provocare valutazioni di compiacimento. «I cristiani sono incapaci di avere un atteggiamento serio nei confronti dei problemi economico-finanziari, non riescono a valutarne lo spessore», mi diceva un imprenditore.

 

b) Per un’ispirazione normativa

Optare per una riflessione ispirativa non è lasciare le persone sole di fronte alle proprie difficoltà, è accompagnare nel «giudicate da voi stessi ciò che è giusto» (Lc 13,57), non imprigionarle nelle maglie di una casistica che crea angustie e passa accanto ai problemi veri, dà lavoro e lascia disoccupati. Persone abituate a discernere con scaltrezza i movimenti di Borsa devono anche conoscere se stesse, valutare chi o che ispira le decisioni, individuare le motivazioni prevalenti, sapere che dicono a sé di se stesse in ordine alle dimensioni supreme del vivere, sapere se quello che dicono è vero o sono parole di routine. La temperanza della cupidigia dei beni, salvo il limite imprescindibile e ben oggettivo della giustizia, si vive nel grande spazio della valutazione dei bisogni. Nessuno può attuarla dentro di noi al posto nostro.

Le situazioni umane sono le più diverse ed imprevedibili, soprattutto in materia di accordo tra fiducia nella Provvidenza e impegno previdente. Affrontarle in verità esige una costante revisione di vita non solo sul versante personale ma anche su quello della radicazione comunitaria negli aspetti in cui decisioni ed atteggiamenti trascendono la sfera individuale.

I governi intervengono sempre più massicciamente nei programmi di previdenza. La soluzione di essi trascende i limiti delle loro stesse competenze, sono decisi a livello internazionale in base a politiche economiche complesse e ardue. Le discussioni attuali in tema di pensione, lasciano intuire quanto i problemi siano gravi.

A ciò si devono aggiungere gli aspetti della situazione sanitaria dei diversi paesi, le prestazioni che essi offrono sul piano della cura della salute; quelli della politica scolastica; l’accesso allo studio e ad alcune professioni che esigono lunghi anni di preparazione e perciò di dipendenza economica dalla famiglia.

La maggioranza delle persone vive dello stipendio del proprio lavoro e molti debbono far fronte alle esigenze dei figli anche molto tempo dopo che hanno concluso i loro studi. Sembra che per costoro il problema non sussista. La realtà è diversa. Ogni persona ha da risolverlo in proporzione del suo avere. C’è una gestione avara ed avida di un piccolo bilancio così come non si può escludere a priori una gestione provvida del vivere e dei beni. La provvidenza è generale e perciò investe anche l’uso dei beni.

Questi e molti altri problemi del genere situano la tematica e dissuadono da soluzioni semplificate ed affrettate.

L’intento di questa breve riflessione è semplice. Voglio mettere in luce alcuni parametri che aiutino a situare l’analisi della realtà e la valutazione del da fare per coltivare atteggiamenti filiali verso il Padre. Non esiste una vera opzione che non si esprima in scelte concrete. Alcuni però continuano a chiarire l’opzione per motivare e vivificare le scelte, altri propongono la fedeltà alle scelte per rassodare l’opzione. Forse la via migliore è quella che considera circolari non alternativi i due approcci.

 

2. Provvidenza-previdenza

dimensioni della medesima verità

 

a) Vedere-prevedere-provvedere.

La saggezza della vita non è un hobby

«Chi vuole accostarsi a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano» (Eb 11,6). Questa consegna della Lettera agli Ebrei sintetizza la fede cristiana in Dio Trinità, Creatore provvido dell’umanità, del cosmo, della storia, giusto e misericordioso, giudice delle iniziative umane personali e comunitarie.

Quando si riflette sulla condizione umana nella storia, alla luce del Cristo e della saggezza dei popoli, si percepisce la portata della responsabilità di coltivarsi con intelligente e perseverante rettitudine, e si comprende come il modo di intendere la fede nella Provvidenza, investe in pieno, influisce in tutte le dimensioni ed in tutta la durata dell’esistenza. Imparare a vivere è imparare a diventare saggi della saggezza di Dio nell’innesto della propria storia in quella dell’umanità, della creazione. Non è necessario essere geni per diventare santi, ma nessuna persona che bara con la propria intelligenza del vivere lo diventa. Chi interra i talenti nuoce alla sua relazione con Dio (cfr. Mt 25,15).

Il problema è teologale ed etico insieme, investe il modo di pensare il rapporto con Dio e le vie per realizzarlo con coerenza, la gestione quotidiana e generale della propria attività, la solidarietà nella famiglia e nella chiesa, il modo di atteggiarsi nei confronti del cosmo. Nel contesto socio-culturale odierno nessun aspetto del retto vivere si apprende per via di fatto, ognuno esige un impegno specifico, vigile e costante.

La proposta di vita che la comunità cristiana trasmette ha, per cardine, la sapienza, culmina nella carità la quale ispira e orienta la prudenza personale e comunitaria e nutre la docilità all’ispirazione dello Spirito Santo. Egli opera in ognuno, guida i Pastori, rende attenti alla gestione politico-economica-della comunità civile, situa l’ascolto della rivelazione nella celebrazione del Mistero della Pasqua, nella rettificazione dei sentimenti e delle opere, nella vita di preghiera. L’attività morale è destinata a perfezionare la saggia valutazione prudenziale e ad educare l’intelligenza perché si sviluppi nell’obbedienza alla verità (1Pt. 1,22), nell’obbedienza a Cristo che immerge e purifica nel suo sangue (cfr. 1Pt 1,2).

La comunità cristiana, la famiglia di famiglie che è l’umanità, il grande habitat che è il cosmo, sono la scuola in cui persone e popoli imparano a fare la volontà di Dio, a collaborare alla saggia distribuzione delle ricchezze, a collaborare all’avvento del Suo Regno.

 

b) Creati per diventare anche noi in Dio, provvidenza per noi stessi e per gli altri nella storia

Dio provvidenza crea l’umanità a Sua immagine. In Cristo e nello Spirito abilita gli uomini a volersi e realizzarsi persone provvide, a non confondere la provvidenza con la falsa prudenza, quella che Paolo chiama prudenza della carne (Rm 8,6). Ogni persona è strutturata per essere anche essa provvidenza in Dio, con Dio, per Dio. Dio non chiede esecutori di ordini, ordina di rendere noi stessi principio, intelligente, libero, della gestione della storia nella quale siamo con lui, per lui in lui.

Questa luminosa verità è sintesi del messaggio cristiano sul ruolo e la qualità dell’azione mediante la quale la persona responsabile dei propri atti, diventa artefice della propria perfezione finale.

Ogni persona è creata da Dio perfettibile non perfetta, dotata del potere di personalizzare l’operare che è lode della gloria del Padre, in solidale accordo e corrispondenza nella famiglia umana, in docile ascolto della Parola e in fedele abbandono alle Persone divine da cui tutto deriva, in cui ogni cosa consiste, nella cui fruizione umanità e cosmo saranno in pienezza se stesse, corpo glorioso del Cristo.

Più le cose diventano perfette in sé, sintoniche con la perfezione del tutto, più sono lode a Dio. Crescere nella propria identità, scoprire il proprio ruolo nella creazione in crescita, ubbidire alla legge di Dio, dare gloria a Dio, sono aspetti indissociabili della fedeltà al disegno nel quale nessuna parte si realizza al di fuori del tutto che vive si muove e agisce nel Tutto.

Solo le realtà buone, e cioè attuate nei propri dinamismi, danno lode a Dio e solo quelle che Gli danno lode sono buone, partecipano alla perfezione finale di Dio tutto in tutti (1Cor 15,28). È il «sogno di Dio» rivelato in Cristo e nello Spirito che fa nuova la creazione.

La Provvidenza di Dio non è estrinseca alla realtà, la pervade, la struttura, la sottende, ne permea i dinamismi, è partecipata nella legge costitutiva del suo essere ed in quella della grazia. Obbedire alla Provvidenza è assecondare in libertà la verità del proprio essere di natura e di grazia, conoscerla, attuarla, implorare «pane», «perdono» per correggere le stonature quotidiane, perseverare nella lotta contro il Male, fare del Padre nostro la legge della nostra preghiera e della nostra vita.

Dio è presente nell’intimo di ogni suo creatura che in Lui vive si muove (At 17,28); è più alto della mia parte più alta, più intimo del mio intimo (Agostino, Confessioni 3,6,11), conserva e regge la creazione e realizza il suo disegno su di essa attraverso di essa, rendendola provvidenza partecipata. Nasciamo in una creazione che, avviata alla perfezione, provvede ad essa, vincendo le resistenze che ne ostacolano l’identità e le prerogative. Questa verità è pienamente svelata in Gesù Cristo, la più alta incarnazione della previdenza umana accordata con la Provvidenza del creatore.

La rivelazione che svela questo disegno di Dio sulla storia rivela anche l’umanità a se stessa, le manifesta le dimensioni e le vie della sua responsabilità, fa conoscere che le Persone divine sono in missione nell’umanità per renderla cosciente e consenziente, accordata con la sua dignità. Cristo nel Suo Spirito opera in noi per sostenerci nell’affidamento al Padre.

Provvidenza e previdenza non sono in antitesi, sfidano impegno, celebrazione, implorazione perché si sviluppino nella sequela di Cristo che culmina nell’unione, con Dio amore amato. I santi e le sante che in tutti i tempi hanno resa bella e ricca la vita della Chiesa, quali testimoni autorevoli, confermano la possibilità di questa unione e mostrano nella varietà delle vocazioni personali i modi diversi di incarnare l’amore di Dio e l’ amore del prossimo, l’impegno terreno e la fiducia nella Provvidenza.

 

c) Insidie universali e subdole depistano il cammino del popolo di Dio. La vigilanza è saggia

La meditazione delle tentazioni del Signore (Mt, 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13) resta il più sicuro riferimento per smascherare le espressioni della pseudo-fede nella Provvidenza da quella che la incarna in fedeltà.

La vasta gamma dei bisogni, la sete del potere, l’aspirazione al successo, alimentano le principali, diffuse, insidie che falsano l’atteggiamento nei confronti del denaro. Lo scenario si amplia se si include la nota conclusiva  del racconto lucano delle tentazioni: dopo aver esaurito ogni specie di tentazione il diavolo si allontanò da lui fino al momento, fissato (Lc 4,13) e cioè la passione, la tentazione estrema (cfr. ivi 22,53). Una conferma autorevole viene dalla lettera agli Ebrei che parla di Cristo che libera coloro che per timore della morte sono soggetti a schiavitù per tutta la vita (Eb 2,15). È il vasto mondo delle tendenze possessive e aggressive che, se non sono moderate con intelligenza, forza, perseveranza rendono molto arduo, se non del tutto impossibile avanzare nella via per la quale lo Spirito porta a conciliare la fede nella verità e la libera perseveranza nella sequela. Più la persona resiste alle pressioni che la trattengono dal volersi e realizzarsi provvidenza in e con e per Cristo, più si conforma con il disegno del Padre; più consente al Padre e alla sua opera, più è in grado di conoscere e costruire se stessa in verità. Il consenso a Dio in noi procede in sintonia con quello che porta noi a dimorare in Dio.

Le difficoltà che ostacolano il retto uso dei beni sono quelle stesse che trattengono dal prendere in mano la propria storia per volerla in quella di tutti, per protendersi in unione solidale verso il bene nostro in tutti e del tutto in Dio.

Barare alla fedeltà, pensare e agire da furbi, provvedere all’interesse privato facendo astrazione dalla relazione multipla con quello di tutti, è mancanza di saggezza di vita e perciò disordine morale, è sottrarsi al piano di Dio sull’uso dei beni. Egli vuole da noi che ci riconosciamo creature e persone nel creato e gestiamo in verità e libertà i beni che integrano il benessere umano. Amare Dio è amarci dell’amore degli altri, amare concretamente è vigilare per non diventare schiavi delle ricchezze al punto da non essere più liberi di disporne. Evitare l’ingiusta appropriazione dei beni è provvedere a noi senza dimenticare che aver maggiori beni economici significa anche disporre di maggiori possibilità per soccorrere ai bisogni di tutti. Siamo amministratori non padroni dei beni. Un saggio amministratore è fedele. onesto, previdente, dispensa anche, non solo accumula.

Nel tempo l’unica via alla conoscenza e alla docilità a Dio passa attraverso l’umano, va dal visibile all’invisibile, dalla parola alla realtà, dall’immagine all’esemplare. Ogni concezione e realizzazione imperfetta e selettiva della nostra identità di persone responsabili della propria crescita, si riflette sulla maniera riduttiva ed imperfetta di rapportarsi a Dio. Chi prende in mano se stesso, in atteggiamento magnanimo e magnifico, in umiltà e perseveranza, in solidarietà e convergenza. in sollecitudine e contemplazione, in responsabilità e celebrazione, cammina nella via della Provvidenza. Essa non si attua senza di noi, a nostro danno, ma in noi e con noi.

La fede cristiana non è astratta in nessuno dei suoi enunziati. Coinvolge la realtà cosmica umana e spirituale di cui facciamo parte, impegna a lasciarsi riconciliare e cioè a comportarsi da collaboratori di Cristo nel rendere nuova la creazione in modo che ogni realtà diventi piena (cf. 2Cor 5,18ss). Il Magistero degli ultimi anni ribadisce sempre con più vigore e frequenza che la dottrina sociale ed economica della Chiesa è teologia e come tale fa parte del messaggio che la comunità cristiana è mandata ad annunziare e cioè a realizzare in modo visibile e credibile.

 

3. Perché la previdenza non contrasti la docilità alla Provvidenza: prospettive

 

Il peccato implica sempre una dose di ignoranza e soprattutto concorre a potenziare la falsa intelligenza delle verità che maggiormente dovrebbero contrastare le inclinazioni non buone, quelle che più resistiamo a correggere. Il proverbio conferma che il peggiore sordo è quello che non vuol sentire. Le verità a cui in genere prestiamo nessuna attenzione sono quelle che scomodano, che contrastano o no il nostro istintivo sentire. La passione fa velo al retto rapporto alla verità, accresce gli alibi di impotenza, di esagerato bisogno, legittima pretesti e accuse, fa indulgere, secondo i casi, a forme di fatalismo, di agnosticismo, di indifferenza, di accusa e di attribuzione ad altri, alle strutture, dei frutti della nostra stessa ignavia. Gli «occhi che non vedono», determinano situazioni che anche se recano comodo, non sono vere e costituiscono la matrice di tutte le forme di falsa previdenza. A titolo esemplificativo ne accenno qualcuna.

Le «prudenze individualiste». Rendono incapaci di avvertire le svolte decisive della storia, disattendono che sono preparate dalla divina Provvidenza e che sono portatrici di utilità e di gioia per tutto il popolo e non solo per pochi privilegiati. La vigilanza solerte fa leggere con gratitudine e responsabilità ciò che è avvenuto nella storia dell’umanità a partire dalla nascita di Cristo, e rende attenti e disponibili ad assecondare i grandi impulsi missionari, di presenza alla storia, di umanizzazione delle strutture, di politiche sane e umane. Vedere la storia umana nella verità e nello spessore di quella del Cristo è percepire al vivo come la Provvidenza ci interpella attraverso i micro e macro eventi della vita. Le persone chiuse nella prigione dei propri interessi, trascurano tutto questo e diventano incapaci di godere del bene umano.

Nella sfera socio-politica vedono i problemi della globalizzazione, dei diritti dei popoli, della pace del mondo, del superamento dei fondamentalismi, dell’ecologia, della vita umana, ecc. solo nell’ottica del proprio interesse o anche della rivendicazione di pretesi diritti libertari. Spesso non credono nella Provvidenza ma non rinunziano a forme di pseudo garanzia quali quelle che inducono a pratiche di divinazione, superstizioni, indebita maggiorazione di ogni possibile rischio quasi che tutto concorra al male non al bene del popolo di Dio.

Non meno nociva la previdenza selettiva delle persone che con leggerezza disattendono gli indicativi della scienza, della medicina, dell’economia, o fanno conto solo su di essa. Quanti genitori sono preoccupati solo della salute fisica della famiglia, della formazione scolastico-professionale e trascurano del tutto ciò che concerne la loro vita spirituale o la delegano ad altre persone. Prendono ogni precauzione per la tutela del capitale, ricorrono ad ogni genere di pressione per assicurare ai propri figli un titolo di studio o un impiego, intervengono con autorità, a volta con durezza quando è in questione il benessere fisico o l’attività professionale ma poi si trincerano dietro ogni alibi per esimersi dall’intervenire quando si incamminano per vie nocive per il proprio bene spirituale: rispetto la sua volontà, sono questioni sue, non so come parlare...

Anche nella vita spirituale disattendiamo gli avvertimenti che sono frutto di lunga e profonda esperienza, indulgiamo ad ogni moda, ci fidiamo solo del nostro giudizio, seguiamo la legge del Signore in ciò che fa comodo, e poi siamo sempre a lamentarci di tutto e di tutti, quasi che nulla vada bene, ogni cosa sia un disastro, ciò che viene proposto e chiesto sia impossibile. Analoghe le espressioni delle fedeltà parassite, accidiose. Si arrestano ad ogni difficoltà, incapaci di scuotere se stesse, di affrontare con energia e perseveranza le situazioni, si limitano a fare quanto chiesto senza mai sintonizzarsi con il bene personale e generale, senza mai prendere iniziative che scomodano, sempre pronte a calcolare, a far prevalere l’utile sul vero, il vantaggio immediato sul bene. Si persevera nell’errare e quando maturano i frutti della caparbia e stolta gestione, accusiamo Dio che non interviene, che tarda a compiere i miracoli che dovrebbero tamponare i nostri sbagli.

Le previdenze ribelli, non sono meno frequenti e pericolose. Pullulano con espressioni opposte, e convergenti nei risultati, sia nei contesti a prevalente tendenza individualista sia in quelli a orientamento collettivista. In entrambi i casi le persone sono intente a salvaguardare il proprio interesse e a sottrarsi alle attese del bene comune ritenuto quando non armonizzano con quello privato. Questa tendenza rende o ribelli e disattenti alle indicazioni sul bene umano o passivi esecutori di ordini. Ciò è particolarmente grave in materia di ubbidienza ai pastori. Coloro che sanno che il peccato non è un evento innocuo e lo commettono con leggerezza, disobbedendo a quanto l’autorità ingiunge e coloro che eseguono in modo parassita le norme omettono di prendersi cura del proprio bene e della propria inclinazione alla verità e vivono in modo rozzo e indifferente la propria condizione di battezzati.

La ragione illuminata dalla fede dovrebbe indicarci la via del bene e sottrarci all’insidia del male e ce ne serviamo per i calcoli e le previsioni destinate a premunirci contro ogni possibile eventuale infortunio che possa insidiare il futuro e per tentare tutte le lotterie che dovrebbero garantirci un tenore di vita carico di ogni agio. Quando la Chiesa dichiara che alcuni comportamenti sono nocivi, fanno male alle persone, alla famiglia, alla comunità, ascoltiamo tutte le critiche che vorrebbero farci credere che essa sbaglia e poi quando il male ci invade diventiamo vittime di rabbioso silenzio, indulgiamo all’ingiuria blasfema contro il Signore: «Non è giusto, non si prende cura di noi». Sono tutti atteggiamenti che, quale ne sia la legittimazione, sono indice di falsa previdenza.

 

Dalmazio Mongillo op

 

In Credere oggi, 1/1999, pp.49-60

.