Koinonia Giugno 2022


Sermone del Pastore Prof. Paolo Ricca del 17.4.2022

SUL VANGELO DI MARCO 16, 1-8

  

Cari Fratelli e Sorelle, avete sentito bene: le donne alle quali era stato dato il primo annuncio della risurrezione di Gesù “fuggirono via dal sepolcro perché erano prese da tremito e sbigottimento e non dissero nulla a nessuno perché avevano paura”. Così termina il più antico racconto della risurrezione che ci sia stato trasmesso. Nessun “Alleluia!”, nessun grido di giubilo, nessun canto di gioia come quelli che abbiamo cantato noi e la chiesa cristiana canta da duemila anni. Tutto al contrario: paura, tanta paura, fin dall’inizio, quando videro il giovane vestito di bianco, cioè avvolto nella luce, “furono spaventate”. Ma non c’era nulla di spaventoso, al contrario. E il giovane disse alle donne una cosa che avrebbe dovuto riempirle di gioia, avrebbe dovuto renderle felici: “Gesù è vivo, colui che voi cercate tra morti è risuscitato, non è qui, vi aspetta in Galilea”. Ma questo annuncio - il primissimo annuncio della risurrezione - come viene accolto? Le donne furono prese da «tremito e sbigottimento» e fuggirono via dal sepolcro e non dissero niente a nessuno perché avevano paura. Ma paura di che cosa? Ditemelo voi! Qui non c’è assolutamente nulla di cui si debba avere paura. Una paura quindi del tutto inspiegabile e anch’io non riuscivo a spiegarmela finché è sorto in me uno strano pensiero. Ho pensato che forse la paura ingiustificata e perciò inspiegabile delle donne non è altro che lo specchio di una nostra paura che non osiamo confessare neppure a noi stessi, una paura nuova che non avevamo mai provato e non avevamo mai pensato di poter provare: la paura del Dio della risurrezione che si manifesta agli uomini e alle donne il giorno di Pasqua. Sì, questo è il pensiero strano che mi è venuto: potrebbe darsi che abbiano paura del Dio della risurrezione. Ci sta bene il Dio della Creazione, della Natura, dell’Ambiente, del succedersi delle Stagioni, del Clima, della Vita. Non abbiamo paura del Dio della Creazione. Ci sta bene anche il Dio della risurrezione, purché risusciti i morti, di questo Dio non abbiamo paura. Abbiamo invece paura del Dio che risuscita i vivi. Ci sta bene che Dio ci risusciti quando saremo morti. Ma che voglia risuscitarci ora che siamo vivi ci sembra troppo presto. Ci fa paura questo io che ci vuole cambiare, ci vuole trasformare in uomini nuovi, vuole che nasciamo di nuovo. No, no; non ci piace questa idea, ci basta essere nati una volta, va bene come siamo, non vogliamo farci raggiungere da questo Dio che risuscita non solo i morti, ma anche i vivi. Perciò scappiamo come le donne, loro non sapevano perché, noi ora lo sappiamo: abbiamo paura del Dio che risuscita i vivi. Via, via da questo Dio che non possiamo imbalsamare, via da questo sepolcro vuoto, via da questo Dio pericoloso che risuscita i vivi, che vuole fare di noi uomini nuovi addirittura, ma noi restare quelli che siamo, al massimo migliorare e correggere qualche difetto. Essere un po’ meno egoisti, un po’ più gentili, un po’ meno scontrosi, un po’ più affabili, un po’ meno avari, un po’ più generosi; ecco questo lo possiamo accettare. Eppure il cristianesimo è proprio questo: non migliorare un po’, ma morire e risuscitare in Cristo, come dice l’apostolo Paolo - se lo vogliamo ascoltare - «Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (…) e ci ha risuscitati con lui»: eccolo il Dio della risurrezione, che risuscita i vivi prima dei morti, eccolo il Dio pericoloso che ci vuole cambiare tanto da fare di noi degli uomini nuovi, come noi avremmo immaginato di poter diventare (Efesini 2, 4-6). E ancora: «Siete stati sepolti con Cristo nel battesimo, nel quale siete stati anche risuscitati con lui mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti» (Colossesi 2,12). Qui tutto diventa chiaro: per risuscitare i vivi ci vuole la stessa potenza di Dio necessaria per risuscitare Gesù dai morti. Dirò di più: è più facile risuscitare i morti che risuscitare i vivi. Perché i morti non ostacolano l’opera di Dio, invece noi la ostacoliamo, la temiamo, fuggiamo lontano dal Dio che risuscita i vivi. Pensate che cosa succederebbe se in Ucraina e in Russia la chiesa ucraina e la chiesa russa fossero quello che dovrebbero essere in base al messaggio di Pasqua e cioè corpi di pace che si interpongono tra i due eserciti: la guerra diventerebbe impossibile. Come l’uomo di Piazza Tienanmen, che col suo corpo ha fermato quattro carri armati! Ma dove è la chiesa che imita quell’uomo? La vocazione della Chiesa è appunto questa: in quanto «corpo di Cristo» può essere solo «corpo di pace» perché «Cristo è la nostra pace» (Efesini 2,14). Sarebbe la vera celebrazione della Pasqua. Invece abbiamo dovuto assistere ancora un volta a gerarchi delle due parti che benedicono i loro eserciti - una vera profanazione del nome di Dio. Sì, anche questo ci dice l’Evangelo di oggi: c’è anche una fuga da Pasqua che è dipinta al vivo da queste donne che non riescono a imbalsamare Gesù. Questa fuga dura da duemila anni e dobbiamo chiederci se non ci siamo anche noi in questa fuga da Pasqua; dobbiamo chiederci se abbiamo trovato il coraggio di fare quello che ci dice ancora l’apostolo Paolo: rivestire l’uomo nuovo che è il nostro vestito pasquale e che è il Cristo stesso, come dice nella lettera ai Galati: «Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (Galati 3,27). Si dice spesso che «l’abito non fa il monaco», ma qui lo fa, eccome: Cristo fa il cristiano, è lui l’abito nuovo, il nostro abito pasquale che siamo invitati a indossare. È lui «la nostra Pasqua» (I Corinzi 5,7). 

E allora parliamo di lui, e non di noi con le nostre paure e le nostre fughe. Parliamo di lui, che Dio ha risuscitato dai morti, come il giovane vestito di bianco annuncia alle donne sperando così di tranquillizzarle e invece questo annuncio le spaventa ancora di più. Il giovane dice due cose soltanto, due brevissime frasi, che però sono il sancta sanctorum della religione cristiana, perché sono due modi diversi di dire la stessa cosa e cioè che Gesù è risuscitato, come dice lui stesso dell’Apocalisse: «fui morto, ma ecco sono vivente nei secoli dei secoli» (Apocalisse 1,18). Ma il giorno di Pasqua non è risuscitato solo Gesù, è risuscitata anche la fede in Gesù, che era completamente morta con la morte di Gesù. Ed è proprio perché con la risurrezione di Gesù è risuscitata anche la fede in lui, che è nata la religione cristiana e, con lei, la Chiesa. Molti pensano che esiste la Chiesa perché è esistito Gesù. Ma non è così: la Chiesa esiste perché Gesù è risorto. Se non fosse risorto non ci sarebbe cristianesimo, non ci sarebbe la Chiesa. Tutto era finito con la morte di Gesù, tutto ricomincia la sua risurrezione.  

Ma che cos’è propriamente la risurrezione di Gesù? Che cosa diciamo quando affermiamo che è risuscitato? La risurrezione di Gesù non è come quella di Lazzaro che Gesù ha risuscitato. Lazzaro è tornato alla vita di prima, Gesù NO, non è tornato alla vita di prima. Quella di Gesù è una risurrezione completamente diversa; non è un ritorno al passato, un ripristino della prima creazione, ma l’inizio di qualcosa di nuovo, di originale, di inedito, di mai visto prima. Gesù risorto non viene riconosciuto né da Maria di Magdala, né dai due discepoli di Emmaus, né degli Undici discepoli, che quando lo vedono credono di vedere un fantasma. La risurrezione è l’inizio di una nuova umanità, ecco perché è chiamato «primogenito fra i molti fratelli». Gesù risorto non è più il Gesù di prima, ma è sempre Gesù, il Figlio di Maria, il rabbino itinerante, l’uomo-per-gli-altri, l’amico dei peccatori pur essendo senza peccato, il Guaritore dei corpi e delle anime, Colui che ha portato in terra il perdono dei peccati, che fino ad allora era riservato in esclusiva a Dio, Colui che dalla croce sulla quale era stato inchiodato ha chiesto a Dio di perdonare coloro che lo hanno messo in croce: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno», Colui che come risorto poteva mostrare a Tommaso i segni dei chiodi nelle mani e la ferita nel costato, per indicare una completa continuità personale. È sempre il Gesù di prima, ma con un corpo diverso, un «corpo di luce» potremmo dire, non più opaco come il corpo terreno. L’Apostolo Paolo lo chiama «corpo spirituale». Quindi Gesù risorto è sempre lo stesso Gesù, ma non più com’era prima, ma potremmo dire con un nuovo vestito, un vestito di luce. La risurrezione e dunque questo: l’apparizione in questo mondo dell’uomo nuovo, l’alba di un mondo nuovo. 

  Ma poi il giovane dice alle donne una seconda cosa: “Colui che voi cercate non è qui, ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea” (vv. 6,7). Anche qui ci sono due cose da notare. La prima è questo verbo «precedere». È sempre lui il primo, sempre lui che prendere iniziativa, è lui che cerca, è lui che chiama, è lui che comincia. Noi possiamo solo rispondere. «Non siete voi che avete scelto me, sono io che ho scelto voi». Essere cristiani significa seguire Gesù, andargli dietro. È lui la Via; «la via» o «la nuova via» o «la via di Dio» (Atti 18,26) è il primo nome del cristianesimo (Atti 9,2; 22,6; 24,14). Il cristianesimo non è altro che questo: seguire Gesù. Se diventa qualcos’altro, non è più cristianesimo, anche se si chiama sempre così. Credere in Gesù e seguire Gesù non sono necessariamente la stessa cosa. Il grande filosofo Kierkegaard ci ha avvertito sulla differenza che c’è tra gli ammiratori Gesù e gli imitatori di Gesù: i suoi ammiratori sono tanti, i suoi imitatori sono pochi. È facile lodare Gesù, è difficile seguirlo. Permettetemi di fare un solo esempio: Gesù è stato un non violento e ha insegnato la non violenza. Il cristianesimo nella sua lunga storia, non è stato affatto non violento, non l’ha mai insegnato e non l’insegna neppure oggi; deplora e condanna la violenza, ma non insegna la non violenza. È uno dei tanti esempi di un cristianesimo che crede in Gesù, ma non lo segue, non gli va dietro, non segue il suo esempio. È sempre grande per i cristiani il rischio di credere in Gesù senza però seguirlo, di essere «ammiratori e non imitatori». “Egli vi precede”, dice il giovane alle donne e a noi: chiediamoci almeno se siamo dei cristiani che si accontentano di credere in Gesù, o siamo anche disposti a seguirlo. “Egli vi precede in Galilea”. Perché in Galilea? Perché non a Gerusalemme, la Città Santa? Gesù ci precede in Galilea, perché quelle è una terra di confine, la Galilea è una frontiera che separa la Palestina dal mondo pagano. La Galilea, dove era iniziata la storia del Gesù storico, inizia ora la storia del Cristo risorto, sul confine del mondo al quale annunciare la buona notizia del perdono, della riconciliazione e della vittoria sulla morte. È vero: un altro mondo è possibile, anzi è già cominciato. È cominciato con Gesù. Seguendo lui, diventerà una realtà. Celebrare la Pasqua significa questo: celebrare la nascita di una nuova umanità, capace di dar vita a un mondo nuovo. Allora, Buona, anzi Buonissima Pasqua che è il contrario di quello che accade in Ucraina. Amen.

 

Pastore Paolo Ricca 

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