Koinonia Giugno 2022


SIGNIFICATIVI MOMENTI SINODALI

 

2 - Comunità dell’Isolotto e Comunità di base

 

Uno degli aspetti più significativi e promettenti del Sinodo, almeno nelle intenzioni e nelle scelte comportamenti del Card.Piovanelli, è stata la disponibilità e la richiesta di incontro e di dialogo con le realtà di base presenti nella Diocesi e di cui la Comunità dell’Isolotto è rappresentativa. Il Notiziario di questa comunità (nn. 237,238,239 - Apr.Mag.Giu. 1989) riporta la “Riflessione per un contributo al Sinodo Diocesano, nell’orizzonte delle tematiche del IX Convegno nazionale CDB”. Vi si legge: “Il nostro coinvolgimento nel Sinodo diocesano è stato originato da una sollecitazione da parte del cardinale Silvano Piovanelli. Egli è venuto ad incontrarci all’Isolotto, insieme al Segretario del Sinodo don Vincenzo Savio, il 24 novembre 1988 proprio per ascoltare - egli stesso ci ha detto - le nostre osservazioni e punti di vista sulle tematiche sindacali. Al termine dell’incontro, l’Arcivescovo ci ha invitato a raccogliere in una sintesi unitaria i numerosi interventi, come contributo nostro al Sinodo”. L’abbondante documentazione del Notiziario potrà risultare utile nel caso la problematica la si volesse riprendere. Insieme al Notiziario, Paolo Ricciardi ci ha gentilmente inviato - dall’Archivio della Comunità dell’Isolotto - il testo dell’intervento di Enzo Mazzi nell’incontro con l’Arcivescovo, che riportiamo come possibile chiave di lettura, in quanto presenta in maniera molto lucida il nodo irrisolto del dopo-concilio. Non risolto anche grazie all’inerzia e all’indolenza dominanti.

 

24 novembre 1988. Incontro col card. Silvano Piovanelli

in occasione del Sinodo della Chiesa fiorentina.

 

INTERVENTO DI ENZO MAZZI

 

  Quale può essere la nostra collocazione in relazione al Sinodo fiorentino, quale il nostro contributo.

  Da varie parti, sostanzialmente anche da parte del Vescovo, almeno stando a quanto si dice, ci viene fatto un discorso di questo tipo:

- Ormai il vostro orizzonte di esperienze, di idee, modi di vita sta diventando orizzonte comune, almeno come tendenza; il processo di trasformazione culturale ed ecclesiale per i quale vi siete impegnati in questi trent’anni ha messo le gambe c’è a Firenze finalmente un Vescovo aperto e disponibile, nei limiti delle sue possibilità, a dare spazio a tale processo; dunque non vi resta che rinunciare agli aspetti inaccettabili per l’ortodossia canonica e trovare una collocazione nel panorama del progressismo cattolico fiorentino fedele, ritrovare voce in un coro armonico, dare sostegno alla linea che punta ad aprire spazi di apertura oggi e magari una successione progressista a papa Wojtyla. 

   Questo della successione progressista ovviamente non si dice ma aleggia su tutto.

Altri ci dicono:

- Smettete di dare tanta importanza alla Chiesa empirica, visibile. La Chiesa è soprattutto mistero, sacramento, corpo di Cristo. Lasciate che il potere ecclesiastico giochi alla teocrazia. Offrite una obbedienza formale e poi fate quello che volete nel vostro angolo di mondo. Non serve fare i martiri per mura che cadranno da sé: basta girarci intorno come gli ebrei fecero con le mura di Gerico.

   Sono due posizioni estreme e opposte verso cui abbiamo rispetto. Ma credo che pochi o punti fra noi le condividano.

  Perché mai se appaiono così ragionevoli?

  Partiamo dalla seconda: è una posizione assai di moda oggi, nell’epoca della frantumazione sociale. Siamo talmente bombardati in tutti i sensi: dall’atomo alle immagini, che ognuno cerca di rintanarsi in un rifugio come ai tempi della guerra.

Il teologo Cristian Duquoc dice questo:

 “Accettare che la Chiesa, con il pretesto che la sua essenza vera non è di questo mondo, sia gestita da persone che sacrificano all’angoscia e alla paura, significa accettare di vivere da schizofrenici”. Noi siamo sulle posizioni espresse da questo teologo francese. Non ci rassegniamo alla schizofrenia. E si sappia che sono molti i cattolici che non accettano questa schizofrenia.

  E torniamo alla prima posizione.

 La premessa l’ha sintetizzata bene padre Balducci: “Le comunità di base hanno l’egemonia ma non hanno il potere”. È una tesi troppo ottimista e non priva di ambiguità. Ma sostanzialmente Balducci ci trova d’accordo. Egli non trae conclusioni e fa molto bene. Altri però ne traggono e ci dicono: “rientrate dunque nei ranghi perché insieme si possa raggiungere quel potere che ci manca”.

  Ma lo sapevamo già 20 anni fa che la nostra proposta di Chiesa era contagiosa e lo sapevano anche i poteri che si allearono per renderci inoffensivi. 

  Già 20 anni fa si tentò di coinvolgerci in una strategia politica con una pressione sul Vaticano perché questo contagio non fosse soffocato con l’ottenere una promozione di Florit a presidente di una Commissione pontificia e la sua sostituzione con una personalità progressista.

  Ci rifiutammo di essere coinvolti in operazioni di questo tipo.

 Perché mai? Forse perché ci sentiamo superiori, puri, inossidabili? Niente affatto.

   Sapevamo bene di essere coinvolti nello scontro che si era aperto per gestire il post-Concilio e più in generale per governare la trasformazione della società. Ma non potevamo accettare di smarrire totalmente la nostra identità che era collocata da tempo nell’orizzonte prevalentemente evangelico-profetico e non in quello principalmente ecclesiastico-politico. Eravamo un po’ come David che doveva affrontare il gigante ma non poteva farlo con le armi della logica guerriera. Dentro l’elmo e la corazza non era più David. Era se stesso solo con gli strumenti della propria cultura pastorale: la fionda e le pietre levigate del fiume.

   Non si dica, non si dica più che noi non accettiamo la Chiesa istituzione. È una menzogna che ci ferisce. Non accettiamo che l’aspetto istituzionale abbia il primato sullo Spirito che soffia dove vuole. Non accettiamo che la corazza dell’apparato di leggi, riti, formulazioni di verità, opere assistenziali abbia il primato sull’amore. Non accettiamo che la comunione si misuri sul grado di obbedienza disciplinare. Non accettiamo che in base alle leggi del sabato si escluda dalla Chiesa il diverso.

    Questa è la nostra identità più profonda, più intima. Solo rivestiti da questa identità possiamo portare il nostro contributo al Sinodo.

    E si tenga presente che questa è l’identità di tante altre comunità cristiane-cattoliche in tutto il mondo.

 

   Alcuni spunti di proposta.

   Il Sinodo - è stato detto - dovrebbe esprimere uno spirito di conversione e di nuova convergenza. Ebbene, secondo me, senza ricostruire e disinquinare la memoria storica recente, dal Concilio in poi, non c’è possibilità di vera conversione e di riconciliazione.

  Che è successo nella Chiesa italiana e più specificamente nella Chiesa fiorentina nel dopo-Concilio?

   Che tipo di operazione è il canonizzare separatamente Dalla Costa, La Pira, don Milani, separatamente fra loro e separatamente dagli altri?

    A chi serve, quale politica nasconde separare, contrapporre queste personalità rispetto ad Altre quali ad esempio Vannucci, Rosadoni, Balducci, Borghi anche rispetto alla realtà Isolotto-Casella-Vingone?

 Che rapporto c’è fra la normalizzazione della Chiesa fiorentina e la normalizzazione delle Chiese di Torino, Bologna. Ravenna?

    Quale relazione fra la repressione contro le esperienze conciliari fiorentine e la repressione contro centinaia di esperienze simili in tutta Italia?

    Quale intreccio fra la violenza subita dalle Comunità cristiane come quelle dell’Isolotto, Parma, Conversano, Lavello, Palermo... ecc. e la violenza subita da migliaia di giovani studenti, sindacalisti, operai nel biennio ’68-’69?

   Nella ricerca si dovrà includere anche l’analisi degli errori, irrigidimenti, ingenuità dei movimenti innovativi. Non ci sottraiamo a una ricostruzione critica, purché sia comprensiva.

   Se al Sinodo non è permesso porsi queste domande significa che non si può percorrere in modo credibile la strada della ricerca della verità, della conversione e della convergenza.

   Non esiste un caso Isolotto. Esiste il «Caso dopo-Concilio». Noi siamo solo un sintomo, un segno. Quando si esorcizzano i segni vuol dire che si è venuti a patti col diavolo.

   Se al Sinodo fosse dato il compito di attenuare o rendere inoffensivo o recuperare il sintomo, che può essere rappresentato dalla nostra o da altre realtà scomode, vuol dire che si intende lasciare intatto il cancro profondo. Ed è un cancro che, secondo il mio parere, continua a produrre effetti deleteri. Ecco il secondo spunto di proposta.

    Alcuni fatti degli ultimi tempi:

   -Il tentativo vaticano di limitare il potere delle Conferenze episcopali.

   -La «normalizzazione» delle Chiese del Terzo Mondo, africane, asiatiche e in particolare latino-americane.

    -La nomina sistematica di vescovi ostili alle comunità di base; la rimozione dai loro uffici e a volte l’allontanamento dai loro paesi di centinaia di sacerdoti, religiosi, animatori; l’Associazione «Lumen 2000», la stessa che ha organizzato il «rosario mondiale» del papa il 6 giugno, con la sponsorizzazione della BIC, finanzia e organizza un progetto di trasmissioni via satellite per conto del CELAM (Consiglio Episcopale Latino-Americano), progetto che i Vescovi progressisti dei diversi continenti vedono come uno dei sistemi di normalizzazione e restaurazione e una nuova forma di colonizzazione spirituale; diversi Vescovi brasiliani hanno ricevuto dalla Santa Sede lettere di ammonimento, fra questi il più noto è Pedro Casaldaliga.

   -L’offensiva contro i teologi e i vescovi non allineati: mons. Huntausen di Seattle negli USA; p. Currano e ora p. Mattew Fox, domenicano il quale ha ricevuto la proibizione di parlare e scrivere per un anno; al Congresso mondiale dei teologi svoltasi all’Università del Laterano i teologi, facendo eco alle dure condanne di Giovanni Paolo II, hanno chiesto l’allontanamento dalle Università teologiche dei loro colleghi che hanno pareri diversi. Il rappresentante dei teologi moralisti, mons. Caffarra ha definito «non solo atei, ma antiteisti, anti-dio» i teologi che insegnano il primato della coscienza e fra questi ha nominato esplicitamente padre Bernard Haering.

   -L’attacco contro il nuovo movimento missionario (Zanotelli, Melandri...).

   -Questo scontro fra Opus Dei-CL e parte dell’episcopato da un lato e dall’altro A.C.I., gesuiti, p. Sorge-Pintacuda, associazionismo e parte dell’episcopato.

Cosa ci dicono questi fatti e tanti altri simili?

 Ci dicono che c’è una dialettica di potere nella Chiesa e ci danno anche la dimensione di tale scontro sia a livello orizzontale (in tutti i settori) che verticale (dimensione planetaria).

 La posta in gioco è l’identità della Chiesa nella società del dominio delle multinazionali (finanza-tecnologia-informazione)

  I nuovi accentramenti di potere hanno strumenti per controllare e condizionare tutti gli aspetti della realtà umana, meno un «quid», un qualche cosa di profondo che loro sfugge: la dimensione spirituale, la dimensione che trascende ogni scienza e misura.

Hanno bisogno di una multinazionale che controlli questa dimensione e la riconduca nei loro disegni.

  La tentazione di diventare la multinazionale della produzione e del controllo dei beni religiosi, etici, assistenziali, anche critici, è molto forte per le Chiese e in specie per la cattolica.

   I mezzi messi a disposizione sono colossali ed efficaci. Si avrebbe un Medioevo con il nuovo Impero e la nuova Chiesa ancora alleati-nemici.

Il Sinodo vuole interrogarsi su tali problemi? Vuol vedere l’uso dei media, i finanziamenti pubblici, l’uso delle strutture statali per l’insegnamento cattolico, il finanziamento delle opere di volontariato, anche nell’ottica di questa tentazione di mondanizzazione?

   A Parigi dal 10 al 16 ottobre si è svolto un Simposio di cardinali, Vescovi, teologi e saggisti. Da persone prestigiose, non da poveri diavoli, è stato denunziato il pericolo di una sorta di «centralismo pastorale romano» di nuovo conio a cui, è stato detto, occorre rispondere con una nuova prospettiva pastorale che dovrebbe saper sintetizzare tradizioni diverse, argomentare sviluppi non privi di fratture, dare ragione di «scandali» storicamente riconoscibili. Insomma capire la distanza fra la realtà di fatto e le grandi utopie.

Parole difficili di Vescovi e teologi. Per dire, però, le cose che stiamo dicendo noi: che c’è un legame stretto fra il ricostruire e disinquinare la memoria storica del dopo-Concilio e progettare un futuro non più basato sulla cultura della violenza e del potere.

  Se il Sinodo non affronta con onestà e serietà questi nodi a me sembra come una casa costruita sulla sabbia.

  Che farebbe l’autorità ecclesiastica fiorentina se domani venisse dal «Centro l’ordine di rimuovere dall’insegnamento, che so... un don Chiavacci, perché segue le posizioni blasfeme di Haering? Il Sinodo verrebbe convocato e coinvolto?

   E se si colpisse don Stinghi come è stato colpito don Ciotti? Il Sinodo avrebbe qualcosa da dire e da decidere? Voglio chiudere facendo nostre le parole di una lettera fresca d’inchiostro.

  È una lettera che venti Vescovi hanno inviato al card. Ratzinger in sostegno e solidarietà col loro confratello mons. Pedro Casaldaliga:

 «I principi per i quali mons. Casaldaliga è richiamato oggi e per i quali espone la propria vita sono i nostri principi e le nostre cause. In nome di Cristo non possiamo non vivere la fede in tutte le sue dimensioni. Nulla ci farà abbandonare il servizio reale ai poveri indigeni, il cammino dei lavoratori e degli operai e la solidarietà latino-americana, specialmente nei confronti dei popoli oppressi dell’America centrale. Preghiamo il Signore e speriamo che in breve sia fatta chiarezza su tutto questo con un senso di unità e di rispetto per il cammino della Chiesa di Dio in America latina»

  «Nulla ci farà abbandonare...». In questa frase è la nostra prassi, questo è il nostro sogno per tutta la Chiesa e l’intera società. Stavo per dire: non toglieteci almeno i sogni! Non lo dico, non lo penso, perché i sogni nessuna struttura, nessun potere, nessuna pressione potrà mai toglierceli.

 

Enzo Mazzi

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