Koinonia Giugno 2022


SIGNIFICATIVI MOMENTI SINODALI

 

Luciano Martini e il Sinodo fiorentino

 

La rapida eclisse del Sinodo Fiorentino, oltre che essere una perdita per la Chiesa locale e un affievolirsi della sua risonanza profetica, è anche un torto nei confronti di quanti lo hanno  voluto e realizzato  nella speranza. Tra questi va senz’altro annoverato il nome di Luciano Martini che ha dato il meglio di sé per questa impresa di credente e di uomo di cultura. Ne fa giustizia Renzo Bonaiuti in un suo approfondito studio su di lui “Nel Sinodo della chiesa fiorentina” (in “Esperienza religiosa e passione civile in Luciano Martini”, Le lettere 2013, pp. 339-384), che chiude con queste parole: “Potrei riassumere l’atteggiamento di Luciano Martini, come ricerca critica e nello stesso tempo cordiale, dell’anima di verità presente nelle varie opzioni e nelle persone che le esprimono. Per concludere, i suoi contributi si caratterizzarono per una capacità di discernimento, in cui l’adesione convinta alle linee portanti del Concilio Vaticano II e la serietà e l’onestà intellettuale, producono atteggiamenti propositivi, anche quando esprimono osservazioni e rilievi. Il richiamo alla necessità di non giungere a semplificazioni sbrigative o a superficiali mozioni di carattere immediato, ispirano costantemente i suoi interventi che sottolineano l’indispensabilità dello studio dei problemi, col coinvolgimento e il confronto delle varie sensibilità”. In questa nostra panoramica prospettica del Sinodo fiorentino come segno dei tempi, di Luciano Martini riprendiamo la presentazione su “Testimonianze” del documento conclusivo, a dimostrazione del suo equilibrio critico e della sua visione globale dei problemi.

 

 

LA CONCLUSIONE DEL SINODO DELLA CHIESA FIORENTINA*

 

Il 34° Sinodo della Chiesa fiorentina si è concluso con la celebrazione liturgica della veglia di Pentecoste del ‘92. I due documenti sinodali promulgati dal vescovo Piovanelli, quello della prima fase del «vedere» e quello conclusivo nell’ottobre del ‘92, presentano per la Chiesa fiorentina un modello e mete che recepiscono molte delle istanze positive emerse durante le sue tre sessioni (per i documenti relativi, compresi quelli approvati dall’assemblea a conclusione della fase del «giudicare» e dell’«agire», «accolti» ma non firmati dal vescovo, cfr. 34° Sinodo della Chiesa fiorentina. Primo dopo il Vaticano II. Documento conclusivo, a cura di «Toscana Oggi», Firenze 1992). In primo luogo, in ambedue i documenti viene affermata l’esigenza di rendere sempre più operativa nella vita ecclesiale fiorentina un’effettiva «logica di comunione» che già si è manifestata nella coralità dell’esperienza sinodale, e anzi ne ha costituito l’elemento più positivo e destinato forse a lasciare maggior traccia. Si tratta cioè, come si esprimeva con limpida efficacia il documento della fase del «vedere» (cfr. n. 2.2), di far sì che «a tutti sia offerta una concreta possibilità di parola», e a tutti sia prestato «ascolto amoroso e attento», in modo che da essa nessuno dei credenti possa essere «escluso, né in via di diritto, né in via di fatto». Solo così sarà possibile elevare il livello di presenza di ciascun fedele nella vita ecclesiale e realizzare quella conversione dal «clericalismo alla corresponsabilità» e quella «Chiesa tutta ministeriale» (Documento finale, nn. 119 e 39), nella quale ogni cristiano abbia «la possibilità effettiva di partecipare alla comune missione». Lo scambio di messaggi fra la comunità dell’Isolotto e l’assemblea sinodale, realizzato durante l’ultima sessione, mostra quanto si voglia prendere sul serio questo intento. Si tratta, però, di un obiettivo dal quale, a giudizio dello stesso documento finale, si è ancora lontani (cfr. n. 39), e per il cui perseguimento si prevede la messa in opera di precisi strumenti, a cominciare dalla creazione in ogni parrocchia dei consigli pastorali, costituiti su base in larga prevalenza elettiva, secondo le indicazioni statutarie proposte da un apposito documento della curia fiorentina. Ma questa meta potrà essere pienamente conseguita via via che prenderà corpo nei ritmi della vita ecclesiale fiorentina - attraverso un dialogo in piccoli gruppi intorno a temi specifici, destinato poi ogni anno a sfociare in un’assemblea ecclesiale generale - quella «sinodalità permanente» (cfr. Documento finale, n. 121), che dovrebbe costituire una delle conseguenze più rilevanti del dopo-sinodo. Per i prossimi anni, a partire da quello in corso, il tema proposto («Costruire rapporti per crescere nella speranza») è destinato a favorire ancora l’approfondimento dell’impegno secondo la logica della comunione e della solidarietà nella vita ecclesiale e nella società. Il documento conclusivo pone inoltre in forte evidenza come questo rinnovamento interiore della Chiesa fiorentina, lungi dall’essere inteso come fine a se stesso, debba configurarsi come elemento indispensabile per un passaggio «da una Chiesa centrata su se stessa ad una Chiesa al servizio del Regno» (cfr. Documento finale, n. 120). Derivano da questa impostazione, da un lato, un’attenzione molto marcata ai temi dell’evangelizzazione e dei suoi rapporti con la catechesi e i sacramenti, dall’altro, uno spazio considerevole inerente alle tematiche del «servizio all’uomo», della carità, del volontariato, della partecipazione politica e della pace. Il Sinodo fiorentino fa così proprie le linee di fondo della pastorale della Chiesa italiana, della quale accoglie gli elementi più vitali e positivi. Sono qui da sottolineare, nell’evangelizzazione, il primato dato alla «testimonianza del regno di Dio nel vivo della storia» (Documento finale, n. 16), e nella catechesi, soprattutto in quella degli adulti (opportunamente definita «con e per gli adulti»), il rilievo dato più che alla dimensione indottrinante, a quella «comunicativa e dialogica» (cfr. Documento finale, n. 36). Nella trattazione poi dei temi inerenti alla testimonianza al servizio dell’uomo, oltre a mettere in luce il valore di quelle presenze e di quelle attenzioni rivolte agli ultimi, agli immigrati, ai malati e agli anziani, già così significative in molti ambiti della Chiesa fiorentina, viene dato largo spazio al tema della pace nel mondo e alle responsabilità della Chiesa e dei credenti in questa direzione.

Nel cap. 5 del documento finale (Beati i costruttori di pace) vi è, in verità, un certo ridimensionamento delle accentuazioni «pacifiste» presenti nel corrispondente capitolo del documento assembleare conclusivo della fase del «giudicare». In particolare, è venuto meno il richiamo all’«opzione preferenziale» nei confronti del «servizio civile praticato attraverso l’obiezione di coscienza» (recepita anche nel documento assembleare conclusivo della fase del «vedere»): il che ha provocato una certa delusione nella maggioranza dell’assemblea che quella formulazione aveva approvato. Ma è restata intatta la sottolineatura della necessaria rilevanza per la Chiesa fiorentina dell’impegno per la pace, in coerenza con l’eredità esplicitamente richiamata della testimonianza di don Milani e di la Pira e con le posizioni assunte da Giovanni Paolo II, soprattutto durante la guerra del Golfo. Di esso è infatti richiamato in tutta la sua pregnanza il radicamento biblico, si sottolinea come risponda a un’«esigenza fondamentale di ogni uomo», e se ne mette in luce la valenza «sovversiva» («La pace [...]esige cambiamenti del presente; chiede di correggere molte proposte di pace che mirano a salvaguardare diritti acquisiti e sicurezze a danno di altri», n. 113). Infine, proprio per garantirne in qualche modo il maggior radicamento e la più larga diffusione si prevede che debba essere istituita in diocesi la commissione Justitia et pax col fine di curare la «formazione permanente» alla pace nei diversi operatori pastorali e di promuovere una cultura adeguata ad essa in tutte le istanze ecclesiali.    

Nonostante queste molteplici aperture del Sinodo alla realtà culturale circostante, è restata però a mio giudizio carente la messa a fuoco del rapporto fra la Chiesa locale fiorentina e il suo territorio, soprattutto la sua città. Su di essa e sul rapporto con la sua cultura e con i suoi stili di vita si è detto troppo poco di incisivo e caratterizzante. È questo uno degli aspetti in relazione a cui il Sinodo fiorentino ha deluso le attese cui aveva dato luogo. Il rapporto con la città e con il territorio è andato via via indebolendosi e alla fine il tentativo di dar luogo a un incontro e a uno scambio significativi ha avuto scarso esito. La Chiesa fiorentina non ha saputo rivolgere, soprattutto dopo la prima fase del «vedere», messaggi significativi capaci di provocare una riflessione ed una discussione approfondita e visibile. Ma anche i gruppi sociali e culturali della città, a loro volta, non hanno saputo o, più probabilmente, non hanno ritenuto di individuare motivi di interesse sufficienti a provocare e interpellare la Chiesa fiorentina in occasione di una manifestazione tanto significativa della sua vita. Anche questa volta, insomma, la città ha scontato le sue stanchezze e i suoi ripiegamenti ormai cronici.

Una Chiesa fiorentina, contrassegnata da un permanente stile «sinodale», che invece voglia provocare e farsi provocare, accanto alla strategia dei piccoli passi per ottenere un’adeguata maturazione del complesso dei suoi partecipanti, con cui ha inteso caratterizzare il cammino del suo 34° Sinodo, dovrebbe sempre più porsi in condizione di cogliere con forza adeguata le opportunità di un kairòs che si fa sempre più urgente ed esigente. Il rischio, invece, è che, una volta segnate con tanta lucidità le piste di un nuovo cammino, declini la volontà di intraprendere il percorso da esse individuato.

 

Luciano Martini

* «Testimonianze» n. 353, 1993, pp. 68-69

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