Koinonia Maggio 2022


Pro-memoria per i Vescovi

 

SINODO?

O si fa eucarestia o non è

 

Questo pro-memoria per i Vescovi è per ricordare loro il Documento pastorale dell’Episcopato italiano del 1983 “Eucarestia, comunione e comunità”: una occasione mancata per quella “conversione pastorale” che si penserebbe di ottenere col Sinodo in corso. È mancata la convinzione e la determinazione di portare alla base quanto si dice nel documento: una base del resto che va avanti per forza d’inerzia e recepisce solo quanto serve alla propria conservazione.  

Le intenzioni sono molto chiare: quelle di raccogliere il messaggio che viene dalla Eucarestia e consegnarlo alle Chiese che sono in Italia, con questo auspicio: “L’Eucaristia sia sempre più «centro e vertice» delle comunità cristiane e la sua forza plasmatrice si sveli in autenticità di vita e in generosità di opere”. Per quanto riguarda invece il documento si dice: ”Con Eucaristia, comunione e comunità, siamo al cuore del rinnovamento pastorale, avviato nella nostra Chiesa dopo il Concilio. Nell’Eucaristia, infatti, ritroviamo, quasi in mirabile sintesi, le scelte pastorali che hanno guidato la nostra riflessione e il nostro impegno in questi ultimi anni. Si tratta di scelte permanenti che l’Eucaristia ripropone: la priorità della parola di Dio, fonte di vita e di conversione che apre i cuori alla fede; l’inscindibile nesso tra Parola, Sacramenti e Vita cristiana, che ogni celebrazione eucaristica fa rivivere come dono e compito; il dono della comunione per edificare un’autentica comunità ecclesiale, che trova nell’Eucaristia la sua fonte e il suo culmine”.

Prima di lanciare altre iniziative pastorali “risolutive” e globali, non sarebbe stato male confrontarsi con questi propositi: per chiedersi quanto siano stati rispettati, quale sia il percorso fatto per poter ripartire. Ha poco senso abbandonare propositi e progetti dichiarati vitali, per poi enfatizzare nuove soluzioni come se nulla fosse successo. Il riferimento è al Sinodo, che forse ha in sé questo vizio di fondo: si propone all’insegna della “partecipazione, comunione e missione”, la stessa prospettiva che aleggia dal Concilio in poi, a cui però è mancata la necessaria continuità, tra omissioni, resistenze, lacune e ritardi. La consultazione dal basso del Sinodo di fatto è partecipazione, ma non può rimediare a mancate modificazioni strutturali, per “un itinerario di fede a sostegno della vita e della missione delle comunità cristiane”. Non c’è il rischio di un circolo vizioso involutivo, che porta solo a soluzioni nominali di apparato?

Al n. 9 del documento, con riferimento alla esperienza e alla testimonianza dei discepoli di Emmaus, si dice in maniera molto efficace: ”I due discepoli, gli Undici e gli altri che erano con loro dicevano: davvero il Signore è risorto (Luca 24, 34-35). Per loro l’annunzio di Pasqua passa attraverso il gesto eucaristico, assumendo la carica dirompente di un annunzio che scuote e converte. Così sarà sempre per la comunità cristiana. L’annunzio pasquale è la ragion d’essere della Chiesa e della sua missione. Se per ipotesi assurda non risuonasse più, Chiesa ed Eucaristia, indissolubilmente congiunte, cesserebbero di esistere. Con l’annunzio del Risorto, l’Eucaristia viene riconsegnata al mondo perché si salvi, trasfigurandosi in umanità nuova”. Altro che facile spiritualismo!

Viene così prospettata una immagine di chiesa fatta vangelo, comunità missionaria per natura, di cui l’Eucarestia è fonte e apice. Per cui non basta una sua finalizzazione  missionaria aggiuntiva, ma è necessaria una modificazione reale nel modo di intenderla e di viverla. Ed è qui il punto in cui si giocano partecipazione, comunione e missione. La vanificazione dell’annuncio compromette chiesa ed eucarestia, e forse alla radice dei problemi dalla chiesa c’è l’assenza o la scarsa qualità di un annuncio affidato più che altro all’assuefazione mentale e verbale. Fare ricorso ad accorgimenti e aggiustamenti vari per ridare forza all’annuncio, è come voler ridare sapore al sale!

Al n.21 del documento, con riferimento ad Atti 2, 42, si legge: “Accoglienza della Parola, frazione del pane, in un clima di preghiera, con la presenza dell’apostolo, sono il fondamento della comunità: di lì sgorga l’unione fraterna dei cuori. La fedeltà a questo cammino di fede, che segna l’esistenza della Chiesa, si manifesta con evidenza e si attua nella celebrazione eucaristica. Essa diviene così fonte e culmine della vita della Chiesa e sorgente perenne da cui si alimenta la comunione”.

La “predicazione del vangelo” è al tempo stesso origine e fine della missione della chiesa: “La Chiesa è Chiesa proprio perché mandata: e nell’Eucaristia affonda le radici della sua missione, per attingere alla vita del Risorto… Fare l’Eucaristia in memoria di Cristo, servo obbediente, sofferente e glorificato, diventa gesto autentico e pieno solo per quelli che dalla celebrazione escono con la chiara coscienza di essere inseriti attivamente nella grande missione ecclesiale” (n.55). Certo, se adottassimo questo criterio per valutare le nostre celebrazioni, ci accorgeremmo che il fattore psicologico e sociologico del sentimento religioso oscura il mistero della fede.

La seconda parte del documento è dedicata alla revisione di vita e all’impegno “delle comunità cristiane in vista di una testimonianza piena e integrale che desuma dalla Eucaristia la sua carica interiore e il suo metodo evangelico”. Ma ci sono altri criteri di esame molto stringenti di valore teologico: “Non si può essere Chiesa senza l’Eucaristia. Non si può fare Eucaristia senza fare Chiesa. Non si può mangiare il pane eucaristico senza fare comunione nella Chiesa. Queste affermazioni, che raccolgono l’esperienza viva e la tensione costante della comunità cristiana di ogni tempo, riconducono ad interrogarci, nell’oggi, sulla nostra fede, per verificare la reale portata di questo vincolo indissolubile tra Chiesa ed Eucaristia. Molti cristiani vivono senza Eucaristia; altri fanno l’Eucaristia ma non fanno Chiesa; altri ancora celebrano l’Eucaristia nella Chiesa, ma non vivono la coerenza dell’Eucaristia. Una autentica comunità ecclesiale, che voglia vivere la comunione, pone al suo centro l’Eucaristia e dall’Eucaristia assume forma, criterio e stile di vita: l’Eucaristia è la vita, ed è la scuola dei discepoli di Gesù” (n.61).

Se dire sinodo è dire chiesa, e se chiesa equivale ad eucarestia, anche sinodo ed eucarestia si corrispondono. Ma in realtà, quale percezione, visione, prospettiva teologica di chiesa ispira, orienta la consultazione sinodale, perché non si riduca a procedura? Dove e quale spessore teologico e fondamento di fede al cammino sinodale? Come aspettarsi che sia la base a prospettare soluzioni e prospettive di chiesa, quando essa stessa dovrebbe ritrovare un proprio modo di essere “popolo ben disposto per il Signore”?  

È necessario tornare a farsi discepoli in un rapporto nuovo con l’eucarestia, al di là di ogni efficientismo, intimismo e formalismo: “Il nostro radicarci nell’Eucaristia ci libera dalla logica dell’efficienza: mettendoci in comunione personale con il corpo e il sangue di Cristo, ci fa vivere la logica della croce e ci fa maturare per la risurrezione” (n.62). “È qui la vera sequela di Cristo, liberata dai rischi dell’intimismo o del formalismo esteriore, diventata sottomissione al Padre e accoglienza del suo giudizio e del suo progetto sulla nostra vita, sulla storia, sull’ambiente, sugli uomini. Tale sequela è fatta di ascolto, di preghiera, di sacrificio, ed è presenza responsabile, incarnata nelle vicende del tempo ove solo si compie il cammino della santità, e di operosa attesa della venuta gloriosa del Signore” (n.63).

Un avvertimento chiaro viene da queste parole: “Molte altre preoccupazioni, di ordine sociale e di ordine pastorale, stanno giustamente a cuore alla Chiesa italiana, anche per la sua missione nel paese. Sono preoccupazioni che devono essere attentamente studiate, con il contributo delle scienze umane e di più vaste competenze. Ma alla fine, per vivere la comunione che viene da Dio, la comunità cristiana deve tutto misurare sull’Eucarestia, per esprimere nella sua vita l’abbandono adorante della fede” (n.65).

Se poi vogliamo prendere atto della disaffezione o dell’approssimazione di tanti verso l’eucarestia, si presentano  altri interrogativi: “Dinanzi a questa situazione occorre seriamente interrogarsi: perché tanti battezzati interrompono il loro rapporto con l’Eucaristia o lo vivono ad intermittenza? È perdita o debolezza di fede? È perché il rito non è significativo per i problemi essenziali della vita? È perché si è allentato o smarrito il senso comunitario della preghiera o dell’appartenenza alla comunità ecclesiale? Oppure perché l’esperienza comunitaria dell’Eucaristia è puramente esteriore e non tocca in profondità la coscienza personale?” (n.66).

Al n. 68 continua la diagnosi della situazione su cui intervenire: “Ma la ragione ultima della disaffezione all’Eucaristia va ricondotta, anche a questo proposito, alla crisi che tocca la risposta di fede e il senso di appartenenza alla comunità e alla sua missione. Per questo, compito permanente della evangelizzazione è quello di riproporre la centralità dell’Eucaristia nella vita del cristiano e della comunità, mostrando come in essa confluisce e da essa parte ogni realtà e ogni impegno di autentica comunione nella Chiesa e tra gli uomini. Tutto ciò è possibile attraverso opportuni itinerari di fede che conducono alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e personale della propria adesione a Cristo e seguono gradualmente il cristiano dall’infanzia alla maturità”.

Non si tratta di una centralità cultuale o devozionale, che riduce l’Eucarestia ad  “una pratica usuale di nessuna incidenza nella vita quotidiana… scadenza di calendario che non attrae a Cristo”; ma è da mettere in atto una esperienza di fede che favorisca “il superamento di uno dei più gravi rischi oggi lamentato: la separazione tra fede e celebrazione, tra celebrazione e vita, tra celebrazione delle opere di Dio da una parte e delle opere dell’uomo dall’altra” (n.69). Non è questa la chiamata a sinodo a cui rispondere dal vivo dentro la stessa celebrazione eucaristica non standardizzata? Il momento e il luogo sinodale per eccellenza è l’assemblea liturgica radunata per fare memoria del Signore!

Sta di fatto che rimane questa la scelta della Chiesa italiana, che esorta all’impegno nell’ambito della carità, a far tesoro di tutti gli strumenti e documenti  pastorali prodotti nei venti anni dal Concilio, “con la speranza che da essi si possa attingere ispirazione e incoraggiamento all’impegno di comunione intraecclesiale e alla testimonianza nel mondo” (n.74). Ma la centralità è sempre la stessa: “Vogliamo, nello stesso tempo, ricordare che solo nell’Eucaristia ogni nostra parola, ogni nostro rito, ogni nostro gesto trovano il loro più profondo significato e realizzano la loro più vera intenzionalità. Tutta l’azione pastorale deve essere, in certo modo, azione eucaristica. Pertanto ogni iniziativa pastorale, così come ogni partecipazione alla vita ecclesiale, deve essere ricondotta all’Eucaristia come al suo centro nevralgico e al suo alveo naturale” (n.74).

Anche il Sinodo, quindi, dovrebbe ritrovare nel mistero eucaristico il “suo centro nevralgico e il suo alveo naturale”. Non è da pensare ad un’applicazione su vasta scala di questa scelta pastorale; ma essa è pur sempre la prospettiva di fondo, e sarebbe sufficiente che ci fossero spazi di libertà per muoversi nella direzione indicata.

 

Alberto Bruno Simoni op

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