Koinonia Maggio 2022


Un significativo testo di Ernesto Balducci su

 

LA VECCHIA FONTANA

 

Da giorni una frase del Papa mi danza nella memoria, come una spera di sole nell’acqua mossa: «La Chiesa, egli ha detto, è come la vecchia fontana del villaggio». Quante volte ho detto anch’io e ho sentito dire che la Chiesa è «la sorgente», «la fonte d’acqua viva», «l’acqua di vita eterna»! Immagini come Balducci queste appartengono al linguaggio stesso della Rivelazione; sono semplici e insostituibili. Ma proprio perché così antiche e così usate, non bastano quasi mai a suscitare in noi il- sentimento corrispondente. Han bisogno di un tocco di fantasia, di una di quelle tenui varianti con cui l’amore lega l’immagine antica alle memorie vive e fa trapassare la verità dal suo contesto originario e consunto al fresco tessuto su cui si muove ancora la spola del pianto e del riso.

Tra i motivi di riconoscenza che questo Papa ci offre, giorno dopo giorno, c’è appunto la sua capacità, davvero evangelica, di riportare le cose arcane nel giro delle immagini domestiche. Egli passa, con agilità non prevista dai protocolli, dal latino curiale al volgare contadinesco; ha il gusto sacerdotale del rito solenne e quello campagnolo del gesto libero e casalingo. Muore con lui una tradizione rinascimentale che deve aver tanto pesato sulla anima semplice di molti papi. La sua tentazione - mi sembra di capirlo - è di farsi il più possibile un uomo come gli altri, uscendo da una cornice consacrata dai secoli. Quel suo abbandonarsi senza ritegno, in ogni occasione, ai richiami variopinti della memoria, sicché le più gravi affermazioni dottrinali hanno sempre una miniatura aneddotica, quel suo bisogno di vedere in faccia la gente umile e di parlare da pari a pari, quel suo italiano da parroco di campagna, che ben combina il lessico arcaico con i capricci dell’immaginazione e del cuore: tutto questo fa di lui il pontefice più popolano e più popolare (nel senso pulito della parola) che la Chiesa abbia avuto in questi ultimi secoli.

Anche questo è un modo di servire la Chiesa, di riportarla a contatto dell’uomo comune, che capisce le cose solo quando scendono al livello delle verifiche quotidiane. Se uomini del genere arrivano a capire che la Chiesa è davvero «la vecchia fontana del villaggio», arrivano anche a rendersi conto d’aver sete di una acqua antica e nuova. E non siamo tutti uomini comuni? Disgraziato chi non lo è: sia chi, distinto per cultura e per posizione, si dimentica d’essere un beduino assetato, sia chi, uomo di chiesa, s’inorgoglisce e si smarrisce nelle alte speculazioni, dimenticandosi che la Chiesa non è un liquore per raffinati, ma un’acqua per le fauci.

L’acqua della vecchia fontana! La fontana è vecchia, ma vive, sempre nuova nel suo dono, e il villaggio vive di lei. I bambini la raggiungono trafelati, ricevono lo scroscio fresco sulla faccia riversa sotto la cannella e riprendono la corsa tergendosi la bocca; i vecchi fanno conca col palmo della mano e sorseggiano parcamente; le donne fan corona, con le brocche lucide, scambiandosi i progetti di cucina. Nel meriggio la fontana butta inutilmente, ma in realtà tutti, ciascuno a casa sua, vivono di lei. Anche la notte l’acqua canta e rende vivo il silenzio. Chi direbbe che una volta non c’era? Che un giorno lontano fu inaugurata tra la festa del villaggio? L’antico stupore è finito; ormai essa non può non esserci; non fa meraviglia perché è necessaria, è umile perché è di tutti; sembra un’invenzione della natura, ferma lì, ab aeterno, come la stella, come la montagna. I caffè e i bar spacciano intrugli di moda, che ieri non c’erano e domani non ci saranno, e attirano i clienti con luci e con suoni; la vecchia fontana non ha tutela contro la notte che scende; la sua nobiltà è la sua stessa natura. Di tanto in tanto qualcuno fa osservare (si tratta dei soliti pedanti!) che il tubo, di fuori ha la ruggine, che la vasca è sbrecciata, che il muschio, nel fondo, nasconde chi sa quali sporcizie. Osservazioni giuste, che trovano il consenso di tutti, ma non scuotono nessuno; basta che la fontana continui a buttare, come sempre.

Così, seguendo il filo della memoria, mi racconto la parabola della Chiesa, della vecchia fontana di cui Cristo parlò, seduto al pozzo di Giacobbe, accanto ad una donna venuta con la brocca ad attingere l’acqua. «Chi beve di quest’acqua, Egli disse alla donna, avrà ancora sete; chi invece beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete». È Lui, Cristo, con la sua parola e la sua grazia, l’acqua di vita eterna. La Chiesa è la fontana, Cristo è l’acqua viva: Dio li ha pensati insieme, dall’eternità. Ogni uomo che viene in questo mondo ha sete di quest’acqua, alcuni vedono la fontana ma non conoscono la propria sete, altri conoscono la propria sete ma non vedono la fontana. Noi conosciamo la sete e l’acqua, e abbiamo messo le nostre tende attorno alla polla d’acqua viva, come nomadi fortunati e, mentre il tempo rode le nostre ossa, la polla viva scorre entro di noi e ci fa eterni. Senza quest’acqua la sete resterebbe sete in eterno; la morte, morte; il peccato peccato; l’ignoranza, ignoranza. Tra una generazione e l’altra ci sarebbe soltanto il legame, fragile e inutile, della memoria e non quest’onda fresca, sempre identica e sempre diversa, che dall’interno ci sommuove trascinando il passato nel presente, il presente nel futuro e il futuro nella eternità. Chi ci darà la riconoscenza necessaria? Spesso ho invidiato i convertiti. Sono arrivati di lontano, dopo aver bevuto alle cisterne e alle pozzanghere, senza che la loro sete venisse meno, e un giorno sono entrati nel mio villaggio e hanno gridato di gioia, dinanzi alla vecchia fontana. Noi non abbiamo gridato; per quanto torniamo indietro nella memoria, non troviamo mai il giorno in cui lasciammo l’acqua amara del deserto per correre al fresco zampillo scaturito dalla roccia, al tocco miracoloso. Il miracolo ci precede! lo abbiamo ereditato senza avere ereditato lo stupore che lo accolse nei giorni antichi.

Ci resta appena una domestica simpatia per un dono divenuto ormai, per lunga prescrizione, un diritto! Riusciamo perfino ad abusarne senza timore. Senza timore sguazziamo nel fango: tanto, a due passi, c’è la fontana. Senza timore trascuriamo la nostra sete: tanto, a due passi, c’è la fontana. Non ci passa nemmeno in mente che, un giorno, potrebbe alzarsi un grido dalla piazza del villaggio: «La fontana è secca!». Correremmo affannati fuori del dolce orizzonte delle consuetudini e ci troveremmo inorriditi nel deserto antico.

 

Ernesto Balducci

Da Momenti di un pontificato, 2-20 novembre 1960

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