Koinonia Febbraio 2022


 

“JANE EYRE”

 

“Jane Eyre” è il titolo di un celebre romanzo scritto da Charlotte Brontë in forma autobiografica nel 1847. Romanzo che ha avuto un’immensa fortuna tanto da costituire il soggetto di ben cinque film (usciti negli anni 1934, 1943, 1970, 1996, 2011).

Tanto successo è sicuramente dovuto alla grande capacità letteraria dell’autrice che riesce a mantenere alta la suspense dall’inizio alla fine, alle personalità complesse dei protagonisti e anche, indubbiamente, all’instabile osservanza della morale vittoriana vigente nel tempo in cui uscì.

A tanti anni di distanza, il romanzo suscita ancora interesse e provoca discussioni tra i suoi lettori (nonché spettatori dei film). C’è chi vi ha notato soprattutto il tema del contrasto tra ceti sociali diversi, chi è rimasto colpito dall’insorgere tormentato della passione amorosa nei protagonisti, chi ha sottolineato l’emergere di un’esordiente esigenza di riscatto femminile.

Avendolo scoperto solo in età avanzata, vi ho trovato un’altra tematica che può interessare i lettori di Koinonia: i diversi modi di vivere la religiosità.

È utile premettere che l’autrice era figlia di un pastore protestante e di un’insegnante che esercitava la professione in una scuola religiosa, che da bambina fu affidata ad un collegio per figlie di ecclesiastici (che ricorda da vicino quello nel quale trascorre l’infanzia la protagonista del romanzo) e infine che, già adulta, si ricongiunse con una parte della sua famiglia costituita da due sorelle e un fratello, anch’egli pastore. Fu quindi, per tutta la vita, bersagliata da “insegnamenti religiosi” che, data la sua intelligenza e sensibilità, non poté fare a meno di rielaborare dentro di sé.

Il primo “maestro di religiosità” che compare nel romanzo è il direttore del collegio, uomo violento e crudele, convinto che, al fine di elevare lo spirito delle sue piccole allieve, occorresse mortificarne il corpo: le sottopone infatti a vere e proprie torture e mortificazioni sempre minacciandole di punizioni pesantissime, ultima delle quali il fuoco eterno.

In questo ambiente terribilmente ostile e duro (due sorelle della stessa Jane morirono di stenti) Jane fa amicizia con una bambina che viene descritta come un angelo: sempre serena e dolce con tutti, apparentemente insensibile alle vessazioni di cui è vittima, tutta presa dalla fede spontanea che la sostiene: la bambina, che rappresenta un secondo “modello” per la protagonista, muore di tisi provocando in Jane un dolore insanabile e un’ammirazione perenne.

Sebbene fosse riuscita a diventare insegnante in quello stesso collegio, la protagonista decide di uscirne e affrontare il mondo esterno a lei completamente ignoto. Trova lavoro come istitutrice in una prestigiosa dimora (Thornfield) di proprietà di un signore (Mr. Rochester) quasi sempre assente. Qui si matura la sua personalità: quella di una donna assolutamente integra e sincera, estremamente bisognosa di affetto, ma mai disposta a compromessi per ottenere consensi.

La sua tranquilla quotidianità cambia al ritorno di Mr. Rochester, un uomo inquietante, evidentemente oppresso da gravi problemi, che si comporta con lei ora in modo brusco, ora sensibile e affettuoso. Alcuni inquietanti episodi rendono l’atmosfera ancora più allarmante: una notte il letto di Mr. Rochester viene avvolto dalle fiamme (che Jane contribuisce a domare), una volta un ospite viene trovato gravemente ferito da armi da taglio (e anche questa volta è lei a prestare aiuto), una volta la stessa Jane ha la sensazione di essere minacciata.

Questi episodi contribuiscono a creare tra i due protagonisti una profonda intesa. Nonostante la differenza d’età, di ceto sociale e di esperienza di vita, tra i due nasce una vera passione: lui le chiede di sposarlo e lei accetta con slancio.

Durante la cerimonia nuziale, però, si presenta un uomo (lo stesso che era stato accoltellato) il quale annuncia che il matrimonio non può avvenire perché lo sposo ha già moglie. Nello sgomento generale, Mr. Rochester conduce i presenti a conoscere la moglie nascosta: una donna pericolosamente folle, autrice dei terribili tentati omicidi che erano avvenuti a Thornfield dove viveva custodita da una domestica non sempre attenta.

A Jane si impone di scegliere: o vivere da concubina con l’uomo che ama (e che la supplica di non lasciarlo) o fuggire da Thornfield per sempre. Qui prevale in lei l’insegnamento religioso ricevuto dalla sua stessa famiglia e condiviso dalla società del tempo: una donna può accettare di vivere con un uomo solo se diventa sua moglie. La sua decisione è immediata: fugge senza portare con sé né denaro né alcun genere di conforto.

Dopo alcuni giorni di digiuno e di vita randagia, esausta, giunge davanti ad una casa dove cade svenuta. Lì è soccorsa da due sorelle che la accolgono e se ne prendono cura. Un loro fratello, un uomo giovane e molto avvenente, sembra interessato a Jane e le procura un lavoro. In seguito, si viene a sapere che i tre fratelli sono parenti di Jane.

Anche questa nuova felice sistemazione, però, si interrompe bruscamente: il giovane, che è un pastore protestante e che vive la sua vocazione con estrema intransigenza, propone a Jane un matrimonio finalizzato però, soltanto, a rendergli realizzabile la sua scelta di partire in missione. Un ennesimo “modello” di vocazione religiosa che suscita in lei un inflessibile rifiuto.

È in quel momento che Jane capisce l’errore commesso quando era fuggita da Thornfield: avere rifiutato di condividere la sua vita con l’uomo che amava e dal quale era ricambiata, solo perché non era possibile celebrare un regolare sacramento di matrimonio.

Non racconterò il finale del romanzo non solo per non togliere a chi desiderasse di leggerlo il piacere di scoprirlo, ma anche perché il finale è ininfluente ai fini di quello che desideravo raccontare: un percorso maturativo tracciato da una scrittrice coraggiosa in un’epoca bigotta.

 

Anna Marina Storoni Piazza

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