Koinonia Febbraio 2022
Papa Francesco a “Che tempo che fa” come Paolo all’Areopago di Atene
TUTTO BENE, MA NON È TUTTO...
L’evento televisivo di ieri sera, con Papa Francesco intervistato a “Che tempo che fa”, ha senz’altro un suo senso compiuto come messaggio alla coscienza umana e sociale di oggi: parole efficaci sullo stato delle cose nella nostra umanità e di invito ad una conversione di tendenza, con esortazioni ed insegnamenti pratici appropriati. Insomma, una visione molto realistica del mondo e insieme il mondo sognato un po’ da tutti, affidato alla buona volontà di ciascuno. Tutto perfettamente plausibile ed ineccepibile, e senz’altro di grande aiuto per una nuova consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Ma volendo collocare la singolarità dell’evento in un contesto più ampio di dialogo chiesa-mondo, di annuncio del vangelo agli uomini – qualcosa di non detto ma certamente sotteso – si potrebbe parlare di un messianismo senza messia o messia presunto. E allora viene da pensare a Paolo ad Atene, quando viene condotto da filosofi epicurei e stoici all’Areopago per sapere da lui cosa dicesse quel ciarlatano con la sua predicazione e gli chiedono: “Potremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? Poiché tu ci fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa vogliono dire queste cose”. Possiamo leggere in Atti 17, 22-34 con quanta abilità Paolo abbia dato la sua risposta, cercando convergenze di pensiero e di credenze, fino a quando viene liquidato quando quei sapienti “sentirono parlare di risurrezione dei morti”. E cioè quando Paolo arrivò, al di là di ogni possibile intesa di massima, ad annunciare Cristo, “l’uomo che (Dio) ha stabilito” per giudicare il mondo.
Senza nulla togliere alle parole del Papa, viene però da chiedersi se non ci sia il rischio di un inganno di cui essere avvertiti e da cui guardarsi, da interrogarsi su come arriva lo specifico annuncio cristiano e della chiesa al mondo. E se per caso non si vada incontro ad una nuova forma di temporalismo dopo quello politico e territoriale, quello ideologico, quello social e quello etico: il “temporalismo umanitario” e in qualche modo anche psicologico.
Ascoltando il Papa impegnato sul fronte delle tragiche e assurde emergenze umane, non potevo non pensare al contrapposto fronte interno alla chiesa, fatto di sentimento religioso, di liturgie avulse, di celebrazioni accattivanti, di preghiere incessanti, ma sempre al di fuori o lontani dalla tragedia del mondo che il Papa ha evidenziato sotto gli occhi di tutti. E allora è inevitabile chiedersi: come stanno assieme e comunicano questi due mondi? Non dovrebbe essere il Popolo messianico di Dio – la chiesa appunto – il segno e strumento di salvezza in senso totale per l’umanità? Quella umanità nuova che il papa fa sognare non dovrebbe avere nella chiesa di Dio il suo punto di forza?
Anche qui è la chiesa che Papa Francesco sembra sognare quando gli viene chiesto come immagina il futuro della chiesa, salvo poi prendere atto di un certo stato di cose e di stallo dentro di essa, ma alla fine anch’egli come Paolo arriva ad evocare lo “scandalo della croce” al di là di ogni potenza e sapienza umana: “Senza la carne di Cristo non c’è intesa possibile, senza la carne di Cristo non c’è redenzione possibile. Dobbiamo tornare al centro un’altra volta: ‘Il verbo si è fatto carne’. In questo scandalo della croce, del verbo incarnato, c’è il futuro della Chiesa”. Come farsi portatori di simile messaggio al mondo quando esso è compromesso in partenza da una chiesa clericale e autoreferenziale?