Koinonia Febbraio 2022
COME LEGGERE IL CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA:
ESSERE IMPARZIALI, NON NEUTRALI
Ho sempre ammirato don Samuel Ruiz, il compianto vescovo del Chiapas (Messico), esponente di primo piano della Teologia India della Liberazione (1). Quando negli anni ‘90 i Maya di quello stato si sollevarono contro il governo per richiedere giustizia sociale, fu chiamato a fare da intermediario tra le istituzioni statali e il popolo in rivolta. Quando si accorse che il governo tirava per le lunghe le trattative, restando per giunta inerte di fronte alle continue violenze inflitte da guardie prezzolate sui contadini indifesi, nella speranza che la rivolta sbollisse da sé, il coraggioso vescovo si dimise dal suo incarico con queste parole:” Bisogna essere imparziali, ma mai neutrali”, a significare che, se è giusto valutare con obiettività ragioni e torti delle parti in causa, non si poteva tuttavia tacere che in quella contesa le ragioni erano con tutta evidenza dalla parte degli insorti.
Sono convinto che questa deve essere la stella polare di ogni essere umano, e in particolare dello storico, nel giudicare i fatti del proprio tempo e quelli del passato.
Sovente, però, non avviene così. Molti commentatori che si spacciano per storici travisano i fatti, o addirittura li tacciono. Pensiamo, ad esempio, al tentativo degli ultraconservatori che vorrebbero riscrivere la storia della Resistenza italiana chiamandola “guerra civile”, equiparando pertanto i combattenti per la libertà ai loro avversari fascisti.
Un esempio attuale di questo “strabismo” storico lo troviamo nel giudizio che per lo più giornalisti televisivi e non assumono nei riguardi del conflitto Israele-Palestina. Ad esempio nei momenti caldi dello scontro dell’estate scorsa - pensiamo ai razzi lanciati da Hamas contro il territorio di Israele e ai bombardamenti israeliani su Gaza - i palestinesi erano presentati come gli unici responsabili del conflitto, dato che avevano attaccato per primi, e pertanto dovevano prevedere la “necessaria” risposta dell’aviazione israeliana, col suo strascico impressionante di distruzione e di morte. In apparenza tutto regolare, la guerra è guerra.
E no, signori, niente di regolare. Non si possono presentare quei drammatici avvenimenti senza inquadrarli nel loro contesto storico, senza mettere in rilievo la decennale sofferenza dei palestinesi che di fatto hanno perso il loro stato, ridotti come sono a vivere in frammenti di territorio, separati gli uni dagli altri, sottoposti ogni giorno ai soprusi di sempre nuovi coloni ebrei che invadono le loro terre o che distruggono i loro raccolti, mentre i soldati israeliani rimangono impassibili di fronte a tali violenze. E quando i giovani palestinesi si ribellano, quando lanciano pietre contro l’esercito israeliano, i soldati rispondono col fuoco, e i morti sono tanti, troppi. Per non parlare dei palestinesi arrestati e imprigionati, tutti terroristi, secondo le accuse. Terroristi che lanciano pietre. Da molto tempo, infatti, non si sentono più atti di vero terrorismo, come quando kamikaze palestinesi provocavano stragi sugli autobus o nei ristoranti.
Di fronte a questa tragica realtà la maggior parte dei media si presentano neutrali, dato che c’è violenza da entrambe le parti, quando non apertamente filoisraeliani. Sarà per la coscienza sporca dell’Occidente di non aver impedito l’orrore della shoah, per cui la ragione sarà sempre dalla parte degli ebrei? Sarà anche per questo, certo; ma soprattutto per ragioni politiche, essendo Israele, stretto alleato degli USA, il presidio dell’Occidente in Medio Oriente.
E allora si prendono per buone, o al massimo si presentano senza commenti, le dichiarazioni dei leader israeliani sulla bontà e lungimiranza della loro politica.
Intervistato da un giornalista di Repubblica (2) Yair Lapid, attuale ministro degli esteri israeliano afferma: “Vogliamo dare un orizzonte a milioni di palestinesi a Gaza e di israeliani nelle comunità confinanti, la cui volontà di condurre una vita normale è costantemente minacciata dal terrorismo di Hamas”. E ancora, tirando in ballo il governo italiano: “Crediamo che le democrazie come l’Italia debbano opporsi alle infinite risoluzioni diffamatorie contro Israele all’ONU e usare il proprio peso morale e voto per respingere gli attacchi mirati contro di noi”.
L’ONU viene dunque presentato come fiancheggiatore di terroristi: un bel modo per screditare l’unico organismo mondiale che tenta di comporre i conflitti fra i popoli e gli stati, anche se con scarso successo, purtroppo. E, anche se per prudenza non viene direttamente tirato in ballo, uguale giudizio da parte del governo israeliano è da attribuire allo stesso papa Francesco, dato che in mille occasioni si è speso a favore dei palestinesi, in quanto hanno diritto ad avere un proprio stato.
Bruno D’Avanzo
(1) Per Teologia India si intende un aspetto della Teologia della Liberazione latinoamericana che sottolinea la necessità di valorizzare le culture dei popoli nativi, per cui il messaggio cristiano, in quei contesti umani e sociali, deve necessariamente “inculturarsi”, assumendo “un volto indio”.
(2) Sharon Nizza, “Lapid: a Gaza sviluppo in cambio di sicurezza”, la Repubblica, 24-12-2021