Koinonia Febbraio 2022
“E se tu raguardi la navicella del padre tuo Domenico”
Santa Caterina da Siena parla di “Officio del Verbo”
E se tu raguardi la navicella del padre tuo Domenico, dilecto mio figliuolo, egli l’ordinò con ordine perfecto, ché volse che attendessero solo a l’onore di me e salute de l’anime col lume della scienzia. Sopra questo lume volse fare il principio suo, non essendo però privato della povertá vera e volontaria. Anco l’ebbe, e, in segno ch’egli l’aveva e dispiacevali il contrario, lassa per testamento a’ figliuoli suoi per ereditá la maladiczione sua e la mia, se essi posseggono o tengono possessione veruna in particulare o in generale, in segno ch’egli aveva electa per sua sposa la reina della povertá. Ma per piú proprio suo obiecto prese il lume della scienzia, per stirpare gli errori che a quello tempo erano levati. Egli prese l’officio del Verbo, unigenito mio Figliuolo. Drictamente nel mondo pareva uno apostolo: con tanta veritá e lume seminava la parola mia, levando la tenebre e donando la luce. Egli fu uno lume, che Io porsi al mondo col mezzo di Maria, messo nel corpo mistico della sancta Chiesa come stirpatore de l’eresie.
Perché dixi «col mezzo di Maria»? Perché Maria gli die’ l’abito: commesso fu l’officio a lei dalla mia bontá. In su che mensa fa mangiare e’ figliuoli suoi col lume della scienzia? Alla mensa della croce, in su la quale croce è posta la mensa del sancto desiderio, dove si mangia anime per onore di me. Egli non vuole ch’e’ figliuoli suoi attendano ad altro se non a stare in su questa mensa col lume della scienzia, a cercare solo la gloria e loda del nome mio e la salute de l’anime. E, acciò che non attendano ad altro, tolle la cura delle cose temporali, ché vuole che sieno poveri. Vero è che egli mancava in fede, temendo che non fussero proveduti? Non mancava, ché egli era vestito delle fede, ma con ferma speranza sperava nella providenzia mia.
Vuole che observino l’obbedienzia, sieno obbedienti a fare quello che sonno posti. E perché il vivere inmondamente obfusca l’occhio de l’intellecto; e non tanto de l’intellecto, ma per questo miserabile vizio ne manca il vedere corporale; unde egli non vuole che lo’ sia inpedito questo lume, col quale lume meglio e piú perfectamente acquistano el lume della scienzia: però pone il terzo voto della continenzia, e in tucti vuole che l’observino con vera e perfecta obbedienzia. Bene che al dí d’oggi male s’observi; anco la luce della scienzia pervertono in tenebre con la tenebre della superbia: non che questa luce in sé riceva tenebre, ma quanto a l’anime loro. Dove è superbia non può essere obbedienzia; e giá ti dixi che tanto era umile quanto obbediente, e tanto obbediente quanto umile. E, trapassando il voto de l’obbedienzia, rade volte è che non trapassi quel della continenzia, o mentalmente o actualmente.
Sí che egli ha ordinata la navicella sua legata con questi tre funicelli: con obbedienzia, continenzia e vera povertá. Egli la fece tucta reale, non strignendola ad colpa di peccato mortale. Alluminato da me, vero lume, con providenzia providde a quegli che fussero meno perfecti; ché, benché tucti quegli che observano l’ordine sieno perfecti, nondimeno anco in vita è piú perfecto uno che un altro; e, perfecti e non perfecti, tucti ci stanno bene in questa navicella. Egli s’acostò con la mia Veritá, mostrando di non volere la morte del peccatore, ma che si convertisse e vivesse. Tucta larga, tucta gioconda, tucta odorifera, uno giardino dilectosissimo in sé; ma e’ miseri non observatori de l’ordine, ma trapassatori, l’hanno tucto insalvatichito, tucto ingrossato con poco odore di virtú e lume di scienzia in quegli che si notricano al pecto de l’ordine. Non dico «ne l’ordine», che in sé, com’Io ti dixi, ha ogni dilecto; ma non era cosí nel principio suo, che egli era uno fiore: anco c’erano uomini di grande perfeczione: parevano uno sancto Pavolo, con tanto lume, che a l’occhio loro non si parava tenebre d’errore che non si dissolvesse.
Raguarda il glorioso Tommasso, che con l’occhio de l’intellecto suo tucto gentile si specolava nella mia Veritá, dove acquistò lume sopranaturale e scienzia infusa per grazia; unde egli l’ebbe piú col mezzo de l’orazione che per studio umano. Questi fu una luce ardentissima, che rende lume ne l’ordine suo e del corpo mistico della sancta Chiesa, spegnendo le tenebre de l’eresie.
Raguardami Pietro vergine e martire, che col sangue suo die’ lume nelle tenebre delle molte eresie; che tanto l’ebbe in odio, che se ne dispose a lassarvi la vita. E, mentre che visse, l’exercizio suo non er’altro che orare, predicare, disputare con gli eretici e confessare, annunziando la veritá e dilatando la fede senza veruno timore. Ché non tanto ch’egli la confessasse nella vita sua, ma infine a l’ultimo della vita. Unde, nella extremitá della morte, venendoli meno la voce e lo ’nchiostro, avendo ricevuto il colpo, egli intinse il dito nel sangue suo: non ha carta questo glorioso martire, e però s’inchina e scrive in terra confessando la fede, cioè il «Credo in Deum». El cuore suo ardeva nella fornace della mia caritá, e però non allentò e’ passi voltando il capo adietro, sapendo che doveva morire (però che, prima che egli morisse, gli revelai la morte sua); ma, come vero cavaliere, senza timore servile, egli esce fuore in sul campo della bactaglia.
E cosí molti te ne potrei contiare, e’ quali, perché non avessero il martirio actualmente, l’avevano mentalmente, sí come ebbe Domenico. Odi lavoratori, che questo padre misse nella vigna sua a lavorare, extirpando le spine de’ vizi e piantando le virtú! Veramente Domenico e Francesco sonno stati due colonne nella sancta Chiesa: Francesco con la povertá, che principalmente gli fu propria, come decto è; e Domenico con la scienzia.
Dal “Dialogo della divina Provvidenza”, cap. 158